
La fortuna del mito di Orfeo
Orfeo (gr. ᾿Ορϕεύς) Mitico figlio di Eagro e di una delle Muse (Polimnia o Calliope), cantore che piega al suono della sua lira gli animali e tutta la natura.
1. Il mito di Orfeo
I due miti legati alla figura di O. sono quello della katàbasis (discesa agli inferi) che O. compie per riportare in vita la sposa morta, Euridice, e quello della morte avvenuta per sbranamento da parte delle menadi. Secondo una versione O. sarebbe riuscito a riportare Euridice dagli inferi, mentre secondo quella diventata classica avrebbe fallito nell’impresa, per aver violato la condizione di non voltarsi indietro lungo il percorso verso la terra. Quanto alla morte, essa viene attribuita anche al fulmine di Zeus. Secondo una leggenda antica la testa di O. ucciso, insieme con la lira, avrebbe raggiunto, trasportata dalle onde del mare, l’isola di Lesbo, dove la testa dava oracoli in un tempio di Dioniso, mentre la lira era conservata nel tempio di Apollo.
2. I culti orfici
L’importanza della figura mitica di O. non si fonda tanto sui racconti variamente modellati nella tradizione poetica, quanto sul fatto che egli era il prototipo mitico di coloro che aderivano al movimento religioso che oggi chiamiamo orfismo; egli ne sarebbe stato il fondatore e autore di vari scritti ‘teologici’ che andavano sotto il suo nome.
La Tracia fu il centro di diffusione di movimenti religiosi a carattere mistico-orgiastico confluiti nel culto dionisiaco e, appunto, nei cosiddetti culti orfici, che fiorirono nella Grecia antica nel 6°-5° sec. a.C. Questi non riuscirono a prendere il sopravvento sulla religione nazionale dei Greci e, pur influenzando notevolmente la spiritualità ellenica (per es., Pitagora, Platone ecc.), restarono ai margini della vita greca, anche in senso geografico, fiorendo soprattutto nella Magna Grecia e a Creta; a loro volta subirono l’influsso della religione nazionale e vi furono tentativi di inserirli in questa. Per l’orfismo, l’anima umana è di origine e natura divina, la sua tomba è il corpo (σῶμα σῆμα); la vita è una condizione impura da cui l’anima – attraverso una serie di reincarnazioni e il raggiungimento della purità, mediante l’iniziazione orfica e la vita ascetica prescritta dall’orfismo – deve liberarsi per tornare alla sua condizione divina. Questo concetto si esprime nel mito orfico di Dioniso Zagreo, bambino divino, figlio di Zeus e Persefone, sbranato e divorato dai Titani; dalle ceneri di questi, fulminati da Zeus, nasce l’umanità che così porta in sé l’essenza divina assorbita e il peccaminoso elemento titanico.
Gli orfici vivevano in comunità iniziatiche appartate, portavano speciali vesti bianche, osservavano numerose norme e interdizioni (per es., non mangiavano carne, salvo nel rito dell’omofagia) e avevano cimiteri propri. Sono state ritrovate diverse laminette d’oro iscritte che erano sepolte con i morti; le iscrizioni riaffermano la natura divina del morto orfico che ormai ha superato il ciclo delle rinascite e danno indicazioni sull’itinerario che l’anima deve percorrere nell’oltretomba.
Oltre al ricordo di opere attribuite al mitico O., documentano l’orfismo opere assai tarde come i Litica, le Argonautiche orfiche e gli Inni orfici. Questi sono una raccolta di 87 inni di autore ignoto: si tratta di invocazioni e preghiere di tipo liturgico che presentano i caratteri del sincretismo della tarda età ellenistica con accenti neoplatonici. Risalgono probabilmente al 4°-5° sec. d.C. e contengono motivi esoterici e misteriosofici.
3. La fortuna del mito di Orfeo
Nel 4° sec. a.C., con le nuove tendenze razionalistiche, si cominciò a dissentire sulla personalità di O. e a negare (con Aristotele) la sua esistenza. La letteratura ellenistica e l’arte figurativa trattarono il mito di O. sempre più liberamente. I Romani lo derivarono dagli alessandrini: si ricordino la descrizione nelle Metamorfosi di Ovidio e l’episodio finale del 4° libro delle Georgiche di Virgilio. L’arte della tarda antichità predilesse il motivo di O. che ammansisce le fiere (noto fin dal 1° sec.) adottato anche dall’arte cristiana, con varie implicazioni allegoriche (fra le quali quella del buon pastore).
Fra le opere teatrali ispirate al mito di Orfeo ed Euridice spiccano la Favola di Orfeo (Mantova, giugno 1480) di A. Poliziano, di tono idillico e pastorale, primo esempio di opera drammatica del tutto distaccata dalla religiosità medievale; la commedia El marido más firme di Lope de Vega, l’autoEl divino Orfeo di Calderón de la Barca e la tragedia Orphée di J. Cocteau (Parigi, Théâtre des Arts, 15 giugno 1926, compagnia Pitoëff) che, in un virtuoso equilibrio tra ironia e senso del magico, utilizza il mito come punto di partenza per l’esposizione della propria poetica (lo stesso Cocteau dedicò al personaggio, con il quale si era identificato, due film, Orfeo nel 1950 e Il testamento di Orfeo nel 1960). Molte le elaborazioni musicali dello stesso mito: l’Orfeo (Mantova, 24 febbraio 1607) di C. Monteverdi – su libretto di Alessandro Striggio che presenta analogie con il testo dell’Euridice di Rinuccini –, la cui genialità drammatica si rivela pienamente nella ricchezza inventiva, in grado di superare compiutamente quanto di schematico poteva ravvisarsi nel “recitar cantando” di Peri e Caccini; l’intermezzo Orfeo dolente (Firenze, 1616) di D. Belli; le opere La morte di Orfeo (1619) di S. Landi; Orfeo (Parigi, 1647) di S. Rossi; Orfeo ed Euridice (Vienna, 5 ottobre 1762 e, in una nuova versione francese, Parigi, 1764) di C. W. Gluck, su libretto di R. de’ Calzabigi – primo frutto della riforma gluckiana –, di un’intensa ma misurata coerenza drammatica, che abbandona gli schemi dell’opera metastasiana in nome di una nuova essenzialità, preannunciando già i nuovi ideali estetici del classicismo viennese; l’Orfeo di J. G. Naumann (Copenaghen, 1786) e di F. J. Haydn (1791); il poema sinfonico Orfeo (1854) di F. Liszt; l’operetta Orphée aux Enfers (Parigi, Bouffes Parisiens, 21 ottobre 1858) di J. Offenbach su libretto di H. Crémieux e L. Halévy; la scena drammatica La mort d’Orphée (1878) di L. Delibes; il mimodramma Orphée (Pietroburgo, 1914) di Roger-Ducasse; l’opera Orfeo ed Euridice (1923) di Křenek su testo di O. Kokoschka; la trilogia dell’Orfeide (Düsseldorf, 1925) di G. Malipiero; l’opera Les malheurs d’Orphée (Bruxelles, 1926) di D. Milhaud; l’opera da camera in un atto La favola di Orfeo (Venezia, 1932) di A. Casella; il balletto Orpheus (New York, 1948) di Stravinskij, con coreografia di Balanchine. § Nel cinema, è da ricordare il film Orfeo negro di Marcel Camus (1957), trasposizione del dramma in chiave moderna Orfeu da Conceiçao (1955), del poeta brasiliano Vinícius de Morais: notevole la colonna sonora, che ha conquistato il mondo col ritmo nostalgico del samba.
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