Le lettere al padre di Virginia Galilei

Le lettere al padre di Virginia Galilei

Virginia Galilei, figlia illegittima del celebre scienziato Galileo e della veneziana Marina Gamba, nacque a Padova nel 1600. Si trasferì da Padova a Firenze nel 1611. Entrò con la sorella Livia (Suor Arcangela) – una di 13 e l’altra di 12 anni – nel Monastero di S. Matteo in Arcetri dell’Ordine delle Sorelle Povere nel 1613 assumendo il nome di Suor Maria Celeste. Morì a Arcetri, Firenze nel 1634, otto anni prima del padre.«Suor Maria Celeste fu una vittima del padre. Il grande Galilei, tutto preso dalle sue ricerche e dalle sue questioni scientifiche, sacrifica le figlie e sopratutto questa, di ‹squisitissimo animo› come egli ben dice. Egli sa misurare la distanza tra pianeta e pianeta, non quella da cuore a cuore; egli sa cosa è il significato di un ‹molto› in un calcolo di numeri, ma non in una valutazione di affetti.» (Giovanni Ansaldo, 1927)


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 2 3

1.

A Firenze

San Matteo, 10 maggio 1623

Molto Illustre Signor Padre.
Sentiamo grandissimo disgusto per la morte della sua amatissima sorella e nostra cara zia; ne abbiamo, dico, gran dolore per la perdita di lei e ancora sapendo quanto travaglio ne avrà avuto V. S. [Vostra Signoria], non avendo lei, si può dir, altri in questo mondo, né potendo quasi perder cosa più cara, sì che possiamo pensar quanto gli sia stata grave questa percossa tanto inaspettata. E, come gli dico, partecipiamo ancor noi buona parte del suo dolore, se bene dovrebbe esser bastato a farci miglior conforto la considerazione della miseria umana, e che tutti siamo qua come forestieri e viandanti, che presto siamo per andar alla nostra vera patria nel Cielo, dove è perfetta felicità, e dove sperar doviamo che sia andata quell’anima benedetta. Sì che, per l’amor di Dio, preghiamo V. S. a consolarsi e rimettersi nella volontà del Signore, al quale sa benissimo che dispiacerebbe facendo altrimenti; e anco farebbe danno a sé ed a noi, perché non possiamo non dolerci infinitamente, quando sentiamo ch’è travagliata e indisposta, non avendo noi altro bene in questo mondo che lei.
Non gli dirò altro, se non che di tutto cuore preghiamo il Signore che la consoli e sia sempre seco, e con vivo affetto la salutamo.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

2.

In Villa

10 agosto [1623]

Molto Illustre Signor Padre.
Il contento che mi ha apportato il regalo delle lettere che mi ha mandato V. S. scrittegli da quell’illustrissimo Cardinale, oggi sommo Pontefice, ci è stato inesplicabile, conoscendo benissimo in quelle, qual sia l’affezione che le porta, e quanta stima faccia della sua virtù. Le ho lette e rilette con gusto particolare, e glie le rimando come m’impone, non l’avendo mostrate ad altri che a Suor Arcangela, la quale insieme meco ha sentito estrema allegrezza, per veder quanto lei sia favorita da persona tale. Piaccia pure al Signore di concedergli tanta sanità quanta gli è di bisogno per adempire il suo desiderio di visitar Sua Santità, acciocchè maggiormente possa V. S. esser favorita da quella; e anco vedendo nelle sue lettere quante promesse gli faccia, possiamo sperare che facilmente avrebbe qualche aiuto per nostro fratello.
Intanto noi non mancheremo di pregar il Signore, dal quale ogni grazia deriva, che gli dia di ottener quanto desidera, purché sia per il meglio.
Mi vo immaginando che V. S. in questa occasione avrà scritto a Sua Santità una bellissima lettera per rallegrarsi con lei della dignità ottenuta, e, perché sono un poco curiosa, avrei caro, se gli piacesse, di vederne la copia, e la ringrazio infinitamente di queste che ci ha mandate, e ancora dei poponi a noi gratissimi. Le ho scritto con molta fretta, imperò la prego a scusarmi se ho scritto così male. La saluto di cuore insieme con l’altre solite.

figliuola Affezionatissima
S. M. C.

3.

In Villa

13 agosto 1623

Molto Illustre Signor Padre.
La sua amorevolissima lettera è stata cagione che io a pieno ho conosciuta la mia poca accortezza, stimando io che così subito dovessi V. S. scrivere a una tal persona, o per dir meglio al più sublime signore di tutto il mondo. Ringraziola adunque dell’avvertimento, e mi rendo certa che, mediante l’affezione che mi porta, compatisca alla mia grandissima ignoranza e a tanti altri difetti che in me si ritrovano. Così mi foss’egli concesso il poter di tutti essere da lei ripresa e avvertita, come io lo desidero e mi sarebbe grato, sapendo che avrei qualche poco di sapere e qualche virtù che non ho.
Ma poiché, mediante la sua continua indisposizione, ci è vietato infino il poterla qualche volta rivedere, è necessario che pazientemente ci rimettiamo nella volontà di Dio, il quale permette ogni cosa per nostro bene.
Io metto da parte e serbo tutte le lettere che giornalmente mi scrive V. S., e quando non mi ritrovo occupata, con mio grandissimo gusto le rileggo più volte, sì che lascio pensare a lei se anco volentieri leggerò quelle che gli sono scritte da persone tanto virtuose e a lei affezionate.
Per non la infastidire di troppo, farò fine, salutandola affettuosamente insieme con Suor Arcan-gela e l’altre di camera, e Suor Diamante ancora.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

4.

A Firenze

San Matteo, 17 agosto 1623

Molto Illustre Signor Padre.
Sta mattina ho inteso dal nostro fattore che V. S. si ritrova in Firenze indisposta: e perché mi par cosa fuora del suo ordinario il partirsi di casa sua quando è travagliata dalle sue doglie, sto con timore, e mi vo immaginando che abbia più male del solito.
Pertanto la prego a darne ragguaglio al fattore acciocchè, se fosse manco male di quello che temiamo, possiamo quietar l’animo. Ed invero che io non m’avveggo mai d’esser monaca se non quando sento che V. S. è ammalata, poiché allora vorrei poterla venir a visitare e governare con tutta quella diligenza che mi fosse possibile. Orsù ringraziato sia il Signore Iddio d’ogni cosa, poiché senza il suo volere non si volta una foglia.
Io penso che in ogni modo non gli manchi niente, pur veda se in qualche cosa ha bisogno di noi e ce l’avvisi, che non mancheremo di servirla al meglio che possiamo. Intanto seguiteremo, conforme al nostro solito, di pregare nostro Signore per la sua desiderata sanità, e anco che gli conceda la sua santa grazia. E per fine di tutto cuore la salutiamo insieme con tutte di camera.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

5.

A Firenze

San Matteo, 21 agosto 1623

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Desiderosa oltremodo d’aver nuove di V. S. mando costì il nostro fattore, e per un poco di scusa gli mando parecchi pescetti di marzapane, quali, se non saranno buoni come quelli d’Arno, non penso che siano per essere cattivi affatto per lei, e massimamente venendo da San Matteo.
Non intendo già d’apportargli incomodo o fastidio con questa mia, per causa dello scrivere, ma solo mi basta d’intendere a bocca come si sente, e perché se niente possiamo in suo servizio ce l’avvisi. Suor Chiara si raccomanda a suo padre e a suo fratello e a V. S. di tutto cuore; e il simile facciamo ambedua noi, e dal Signore Iddio gli preghiamo e desideriamo la perfetta sanità.
Ricevemmo i poponi e’ cocomeri buonissimi, e ne la ringraziamo.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

6.

A Firenze

San Matteo, 28 agosto 1623

Molto Illustre Signor Padre.
Ci dispiace grandemente il sentire che per ancora V. S. non pigli troppo miglioramento, anzi che se ne stia in letto travagliata e senza gusto di mangiare, che tanto intendemmo ieri da messer Benedetto. Niente di manco abbiamo ferma speranza che il Signore, per sua misericordia, sia per concedergli in breve qualche parte di sanità, non dico in tutto, parendomi quasi impossibile, mediante le sue tante indisposizioni, quali continuamente la molestano, e le quali indubitatamente gli saranno causa di maggior merito e gloria nell’altra vita, essendo da lei tollerate con tanta pazienza.
Ho cercato di provveder quattro susini per mandargli e gliene mando, se bene non sono di quella perfezione che avrei voluto; pure accetti V. S. il mio buon animo.
Gli ricordo che quando riceve risposta da quei signori di Roma, m’ha promesso di concedermi che ancor io la possa vedere; dell’altre lettere, che m’aveva promesso mandarmi, non starò a dirgli niente, imaginandomi che le tenga in villa. Per non l’infastidire troppo non gli dico altro, se non che di tutto cuore la saluto insieme con Suor Arcangela e l’altre solite. Nostro Signore la consoli e sia sempre seco.

figliuola Affezionatissima
S. M. C.

7.

A Firenze

San Matteo, ultimo d’agosto 1623

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Ho letto con gusto grandissimo le belle lettere da lei mandatemi. La ringrazio, e gliene rimando con la speranza però d’averne per l’avvenire a veder dell’altre. Mandogli appresso una lettera di Vincenzio acciocchè con comodo gliela mandi.
Ringrazio il Signore, e mi rallegro con lei del suo miglioramento, e la prego a riguardarsi più che gli è possibile fino a tanto che non racquista la desiderata sanità. La ringrazio delle sue troppo amorevolezze, che in vero, mentre che ha male, non vorrei che di noi si pigliassi tanto pensiero. La saluto con ogni affetto, insieme a Suor Arcangela, e da Nostro Signore gli prego abbondanza della sua grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste G.

8.

A Bellosguardo

San Matteo, ultimo di settembre [1623]

Amatissimo Signor Padre.
Le mando la copiata lettera, con desiderio che sia in sua satisfazione, acciocché altre volta possa V. S. servirsi dell’opera mia, essendomi di gran gusto e contento l’occuparmi in suo servizio.
Madonna non si trova in comodità di comprar vino, fino che non sarà finito quel poco ch’abbiamo ricolto, sì che fa sua scusa appresso di lei, non potendo dargli satisfazione, e la ringrazia dell’avviso datogli intorno al vino. Quello che ha mandato a Suor Arcangela è assai buono per lei e ne la ringrazia: e io insieme con lei ne la ringrazio del refe e altre sue amorevolezze.
Per non tenere a bada il servitore non dirò altro, se non che la saluto caramente in nome di tutte e dal Signore Iddio gli prego ogni desiderato contento.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

9.

A Bellosguardo

[autunno 1623 ?]

Amatissimo Signor Padre.
Le frutta che V. S. ha mandate mi sono state gratissime, per esser adesso, per noi, quaresima; sì come anco a Suor Arcangela il caviale; e la ringraziamo.
Vincenzio si ritrova molto a carestia di collari, se bene egli non ci pensa, bastandogli averne uno imbiancato ogni volta che gli bisogna; ma noi duriamo molta fatica in accomodargli, per esser assai vecchi, e perciò vorrei fargliene quattro con la trina insieme con i manichini; ma perché non ho né tempo né danari per farli, vorrei che V. S. supplissi a questo mancamento col mandarmi un braccio di tela batista e 18 o 20 lire almanco per comprare le trine, le quali mi fa la mia signora Ortensa molto belle; e perché i collari usano adesso assai grandi, vi entra assai guarnizione; dopo che Vincenzio è stato così obediente a V. S. che porta sempre i manichini, perciò, dico, egli merita di avergli belli; sì che Ella non si maravigli se domando tanti danari. Per adesso non dirò altro, se non che di cuore saluto ambeduoi, insieme con Suor Arcangela. Il Signore la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

10.

In Villa

San Matteo, 20 ottobre 1623

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Gli rimando il resto delle sue camice che abbiamo cucite e anco il grembiale quale ho accomodato meglio che è stato possibile. Rimandogli anco le sue lettere, che, per esser tanto belle, m’hanno accresciuto il desiderio di vederne delle altre. Adesso attendo a lavorare nei tovagliolini, sì che V. S. potrà mandarmi i cerri per metter alle teste, e gli ricordo che bisogna che siano alti, per esser i tovagliolini un poco corti.
Adesso ho rimesso di nuovo Suor Arcangela nelle mani del medico, per vedere, con l’aiuto del Signore, di liberarla dalla sua noiosa infermità, che a me apporta infinito travaglio.
Da Salvadore ho inteso che V. S. ci vuol venire presto a vedere, il che molto desideriamo; ma gli ricordo ch’è obbligato a mantener la promessa fattaci, cioè di venire per star una sera da noi, e potrà star a cena in parlatorio, perché la scomunica è mandata alla tovaglia e non alle vivande.
Mandogli qui inclusa una carta, la quale, oltre al manifestargli qual sia il nostro bisogno, gli porgerà anco materia di ridersi della mia sciocca composizione; ma il veder con quanta benignità V. S. esalta sempre il mio poco sapere, m’ha dato l’animo a far questo. Scusimi adunque V. S., e con la sua solita amorevolezza supplisca al nostro bisogno. La ringrazio del pesce, e la saluto affettuosamente insieme con Suor Arcangela. Nostro Signore gli conceda intera felicità.

figliuola Affezionatissima
S. M. C.

11.

In Villa

San Matteo, 29 ottobre [1623 ?]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
S’io volessi con parole ringraziar V. S. del presente fattoci, oltre che non saprei a pieno sodisfare al nostro debito, credo che a lei non sarebbe molto grato, come quella che, per sua benignità, ricerca più presto da noi gratitudine d’animo che dimostrazioni di parole e cerimonie. Sarà dunque meglio che nel miglior modo che possiamo, ch’è con l’orazione, cerchiamo di riconoscere e ricompensar questo e altri infiniti, e di gran lunga maggiori, benefizi che da lei ricevuti abbiamo.
Gl’avevo domandato dieci braccia di roba, con intenzione che pigliassi rovescio stretto e non questo panno di tanta spesa e così largo e bello, quale sarà più che a bastanza per farne le camiciuole.
Lascio pensar a lei quale sia il contento che sento in legger le sue lettere che continuamente mi manda; che solo il vedere con quale affetto V. S. si compiace di farmi partecipe e consapevole di tutti i favori, che riceve da questi signori, è bastante a riempirmi d’allegrezza. Se bene il sentire che così presto deve partirsi mi pare un poco aspro, per aver a restar priva di lei, e mi vado immaginando che sarà per lungo tempo, né credo d’ingannarmi.
E V. S. può credermi, poiché gli dico il vero, che dopo lei, io non ho altri che possa darmi consolazione alcuna; non per questo mi voglio dolere della sua partita, parendomi che più presto mi dorrei de’ suoi contenti; anzi me ne rallegro, e prego e pregherò sempre Nostro Signore che gli conceda perfetta sanità e grazia di poter far questo viaggio prosperamente, acciò con maggior contento possa poi tornarsene in qua, e viver felice molti anni: che così spero che sia per seguire con l’aiuto di Dio.
Gli raccomando bene il nostro povero fratello, se ben so che seco non occorre, e la prego ormai a perdonargli il suo errore, scusando la sua poca età ch’è quella che l’ha indotto a commetter questo fallo, che, per esser stato il primo, merita perdono: sì che torno a pregarla che di grazia lo meni in sua compagnia a Roma, e là, dove non gli mancheranno l’occasioni, gli dia quegli aiuti che l’obbligo paterno e la sua natural benignità e amorevolezza ricercano.
Ma perché temo di non venirgli a fastidio, finisco di scrivere, senza finir mai di raccomandarmeli in grazia. E gli ricordo che ci è debitore d’una visita che ci ha promesso, è molto tempo. Suor Arcangela e l’altre di camera la salutano infinite volte.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste G.

12.

A Bellosguardo

San Matteo, 21 novembre 1623

Molto Illustre Signor Padre.
L’infinito amore ch’io porto a V. S. ed anco il timore che ho che così subito freddo, ordinariamente a lei tanto contrario, gli causi il risentimento de’ suoi soliti dolori e d’altre sue indisposizioni, non comportano ch’io possa star più senza aver nuove di lei: mando adunque costì per intender qualcosa sì dell’esser suo come anco quando pensa V. S. doversi partire. Ho sollecitato assai in lavorare i tovagliolini, e sono quasi al fine; ma nell’appiccare le frange trovo che di questa sorte, che gli mando la mostra, ne manca per dua tovagliolini, che saranno quattro braccia. Avrò caro che le mandi quanto prima, acciò che possa mandarglieli avanti che si parta; che per questo ho preso sollecitudine in finirgli.
Per non aver io camera dove star a dormire la notte, Suor Diamante, per sua cortesia, mi tiene nella sua, privandone la propria sorella per tener me; ma a questi freddi vi è tanto la cattiva stanza, che io, che ho la testa tanto infetta, non credo potervi stare, se V. S. non mi soccorre, prestandomi uno de’ suoi padiglioni, di quelli bianchi che adesso non deve adoperare. Avrò caro d’intendere se può farmi questo servizio. E di più la prego a farmi grazia di mandarmi il suo libro [Il Saggiatore], che si è stampato adesso, tanto che io lo legga, avendo io gran desiderio di vederlo.
Queste poche paste che gli mando, l’avevo fatte pochi giorni sono, per dargliene quando veniva a dirci addio. Veggo che non sarà presto come temevo, tanto che gliele mando, acciò non indurischino. Suor Arcangela seguita sempre a purgarsi, e se ne sta non troppo bene con dua cauteri che se gli sono fatti nelle cosce. Io ancora non sto molto bene, ma per esser omai tanto assuefatta alla poca sanità, ne faccio poca stima, vedendo di più che al Signore piace di visitarmi sempre con qualche poco di travaglio. Lo ringrazio, e lo prego che a V. S. conceda il colmo d’ogni maggior felicità. E per fine di tutto cuore la saluto in nome mio e di Suor Arcangela.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Se V. S. ha collari da imbiancare potrà mandarceli.

13.

A Bellosguardo

San Matteo, 10 dicembre 1623

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Pensavo di poter presenzialmente dar risposta a quanto mi disse V. S. nell’amorevolissima sua lettera scrittami già son parecchi giorni. Veggo che il tempo ne impedisce, sì che mi risolvo con questa mia notificargli il mio pensiero. Dicogli adunque che il sentire con quanta amorevolezza Lei si offerisce ad aiutare il nostro monastero, mi apportò gran contento. Lo conferii con Madonna e con altre Madri più attempate, quali mi mostrorno quella gratitudine che ricercava la qualità dell’offerta; ma perché stavano sospese, non sapendo infra di loro a che risolversi, Madonna scrisse per questo al nostro Governatore, ed egli rispose, che per esser il monastero tanto bisognoso, gli pareva che ci fossi più necessità di adimandar qualche elemosina che altro. Fra tanto io ho discorso più volte sopra questo con una monaca, ch’è di giudizio, e di bontà mi pare che sopravanzi tutte l’altre; ed ella mossa, non da passione, o da interesse alcuno, ma da buon zelo, m’ha consigliato, anzi pregato a domandargli cosa che a noi indubitatamente sarebbe molto utile e a V. S. molto facile ad ottenere: cioè che da Sua Santità ci impetrassi grazia che potessimo tener per nostro confessore un Regolare o Frate che dir lo vogliamo, con condizione di cambiarlo ogni tre anni, come si costuma per l’altre; e per questo di non levarsi dall’obedienza dell’ordinario, ma solo per ricever da questo i Santi Sacramenti: ed è questo a noi tanto necessario che non si può dire, e per moltissime cause, alcune delle quali ho qui notate nell’inclusa carta che gli mando.
Ma perché so che non può V. S., mediante una semplice mia parola, muoversi a dimandar questo, oltre all’informarsene con qualche persona esperimentata, potrà, quando vien qui, cercar così dalla lunga d’intender qual sia circa di questo l’animo di Madonna, e di qualcun’altra di queste più attempate, senza però mai scoprir la causa per la quale gliene dimanda. E di grazia non ne parli niente con messer Benedetto, perché senz’altro lo manifesterebbe a Suor Chiara, e lei poi a tutte le monache; ed eccoci rovinate, perché in fra tanti cervelli è impossibile che non ci siano variati umori; e per conseguenza qualcuna, a chi potessi dispiacere questo, e metter qualche impedimento acciò non si ottenessi. E pure anco non è conveniente, per rispetto di dua o tre, privar tutte in comune di tanto utile che di questo, sì per lo spirituale come per il temporale, ne potrebbe riuscire.
Resta adesso che V. S. con il suo retto giudizio, al quale ci apportiamo, vada esaminando se gli par lecito il domandar questo, e in che modo si deva domandare per ottenerlo più facilmente; perché, quanto a me, mi pare che sia domanda lecita, tanto più per averne noi estrema necessità.
Ho voluto scrivergli oggi, perché, essendo il tempo tanto quieto, penso che V. S. sia per venir da noi avanti che torni a rompersi, e acciò che già sia informata dell’uffizio che è necessario che faccia con questo vecchie, come già gli ho detto.
Perché temo d’infastidirla più troppo, lascio di scrivere, riserbando molte cose che mi restano per dirgliene alla presenza. Oggi aspettiamo monsignor Vicario che viene per l’elezione della nuova Abbadessa. Piaccia a Dio che sia eletta quella ch’è più conforme al suo volere; e a V. S. conceda abbondanza della sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

[ Segue il memoriale di Suor Maria Celeste ]

La prima e principal causa, che ne muove a domandar questo, è il veder e il conoscere che la poca cognizione ed esperienza, ch’hanno questi preti, degli ordini e obblighi ch’abbiamo noi religiose, ci dà grand’occasione, o, per dir meglio, buona licenza che viviamo sempre più dilandito e con poca osservanza della regola nostra; e chi dubita che, mentre viviamo con poco timor di Dio, non siamo anco per vivere in continua miseria quanto alle cose temporali? Dunque bisogna levar la prima causa ch’è questa che già gl’ho detto.
La seconda è che, per ritrovarsi il nostro monastero nella povertà che sa V. S., non può sodisfar ai confessori, che ogni 3 anni si partono, dando loro il dovuto salario avanti che si partino: onde che io so, tre di quelli che ci sono stati hanno a avere buona somma di danari, e con questa occasione vengono spesse volte qui a desinare, e pigliano amicizia con qualche monaca; e, quel ch’è peggio, ci portano in bocca, e si dolgon di noi dovunque vanno, sì che siamo la scorta di tutto il Casentino, di dove vengono questi nostri confessori, usi più a cacciar lepre che a guidar anime. E credami V. S. che se io volessi raccontargli le goffezze di questo, che abbiamo al presente, non verrei mai alla fine, perché sono incredibili e infinite.
La terza sarà, che un Regolare non sarà mai tanto ignorante, che non sappia molto più d’uno di questi tali, o se non saprà, non andrà almanco per ogni minimo caso che fra di noi occorra, a domandar consiglio in vescovado o altrove, come si deva portare o governare, come tutto il giorno fanno questi preti; ma ne addimanderà a qualche padre letterato della sua Religione. E così le nostre cause si sapranno in un convento solo e non per tutto Firenze, come si sanno al presente. Dopo che, se non altro per esperienza, saprà benissimo un frate i termini che deva tenere con monache, acciò che vivine più quiete che sia possibile; dove che un prete, che vien qui senza aver, si può dir, cognizione di monache, ha compito il tempo determinato di 3 anni che ci deve stare, avanti ch’abbia imparato quali siano gli obblighi ed ordini nostri.
Non domandiamo già più i padri d’una Religione che d’un’altra, rimettendoci nel giudizio di chi ne impetrerà e concederà tal grazia. Ben è vero che quelli di Santa Maria Maggiore, che molte volte son venuti qui per confessori straordinari, ci hanno dato gran satisfazione; e credo che farebbono più il caso nostro. Prima, per esser Padri molto osservanti e in buona venerazione; e dopo questo, perché non ambiscono a gran presenti, ne si curano (essendo usi a viver poveramente) di far una vita esquisita, come altri d’altra Religione hanno voluto, quando ci son venuti; e come fanno i preti che ci son dati per confessori, che, venendo qui per tre anni soli, in quel tempo non cercano altro che l’utile e interesse proprio, e quanta più roba possono cavar da noi, più valenti si reputano.
Ma, senza ch’io stia ad estendermi più oltre con altre ragioni che gli potrei addurre, può V. S. informarsi in quale stato si trovavano prima il monasterio di San Jacopo, quello di Santa Monaca ed altri, e in quale si trovano al presente, poiché son venuti al governo di frati che hanno saputo ridurli per la buona strada.
Non per questo domandiamo di levarci dall’obbedienza dell’ordinario, ma solo d’esser sacramentate e governate da persone esperimentate, e che sappiano qualcosa.


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14.

A Roma

San Matteo, 26 aprile 1624

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Grandissimo contento ci ha apportato il sentire (per la lettera mandata d’ordine di V. S. a M. Benedetto) il suo prospero viaggio fino in Acquasparta, e sommamente ne ringraziamo Dio benedetto. Godiamo anco dei favori che ha ricevuti dal signor Principe Cesis, e stiamo con speranza d’aver occasione di molto più rallegrarci, quando intenderemo il suo arrivo in Roma, essendo V. S. stata da gran personaggi tanto desiderata, ancorché io mi persuada, che questi suoi contenti siano contrappesati con molto disturbo, mediante l’improvvisa morte del signor D. Virginio Cesarini da lei tanto riverito ed amato. Ne ho preso io molto disgusto, solamente pensando al travaglio che averà avuto V. S. per la perdita di così caro amico, e tanto più ch’era così vicino a doverlo presto rivedere; e certo che questo caso ne da materia da considerare quanto sieno fallaci e vane tutte le speranze di questo mondaccio.
Ma, perché non vorrei che V. S. credesse ch’io voglia sermoneggiar per lettera, non dirò altro, salvo che, per avvisarla dell’esser nostro, gli dico che stiamo benissimo, ed affettuosamente la salutiamo, in nome di tutte le monache. Ed io gli prego da nostro Signore il compimento d’ogni suo giusto desiderio.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


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15.

In Villa

San Matteo, 19 dicembre 1625

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Del cedro, che V. S. m’ordinò ch’io dovessi confettare, non ne ho accomodato se non questo poco, che al presente gli mando, perché dubitavo che per esser così appassito, non dovesse riuscir di quella perfezione che io avrei voluto, come veramente non è riuscito. Insieme con esso gli mando dua pere cotte per questi giorni di vigilia. Ma, per maggiormente regalarla, gli mando una rosa, la quale, come cosa straordinaria in questa stagione, dovrà da lei esser molto gradita; e tanto più che insieme con la rosa potrà accettar le spine che in essa rappresentano l’acerba passione del nostro Signore; e anco le sue verdi frondi che significheranno la speranza, che (mediante questa santa passione) possiamo avere, di dover, dopo la brevità ed oscurità dell’inverno della vita presente, pervenire alla chiarezza e felicità dell’eterna primavera del ciclo; il che ne conceda Dio benedetto per sua misericordia.
E qui facendo punto, la saluto insieme con Suor Arcangela affettuosamente, e stiamo ambedue col desiderio di saper come stia V. S. al presente di sanità.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Gli rimando la tovaglia nella quale mandò involto l’agnello; e V. S. ha di nostro una federa, che mandammo colle camicie, una paniera ed una coperta.

16.

A Bellosguardo

[dicembre 1625 ?]

Amatissimo Signor Padre.
Non saprei come meglio ringraziar V. S. di tante cortesie, se non con dirli che prego nostro Signore che la rimeriti con l’aumento della sua santa grazia, e le conceda felicissime le presenti feste, questo e molti anni appresso, e finalmente a Vincenzio nostro al quale mando, per adesso, duoi collari e 2 para di manichini nuovi: la carestia del tempo non mi ha concesso che possa far il merlo da per me, e per ciò mi scuserà se non saranno a sua intera satisfazione: non mancherò anco di fargliene con la trina, sì come ho promesso. Suor Arcangela se la passa alquanto meglio, ma però se ne sta in letto, ed ora appunto viene il confessore da lei, e perciò non sarò più lunga: si godino stasera questi pochi calicioni per colazione, e qui di tutto cuore mi raccomando ad ambiduoi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


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L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

17.

A Firenze

San Matteo, primo giorno di quaresima 1625 [25 marzo 1626]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
L’aver V. S. lasciato li giorni passati di venir a visitarne (essendo stato il tempo assai quieto, lei, per quanto ho inteso, con sanità, e senza l’occupazione della Corte) sarebbe bastante a causar in me qualche timore che forse in parte diminuito l’amore che grandissimo ne ha sempre dimostrato. Se non che gli effetti dell’amorevolezza sua inverso di noi tanto frequenti, mi liberano da questo sospetto: sì che più presto m’inclino a credere ch’ella vada differendo la visita, mediante la poca satisfazione che riceve dal venirci, tanto da noi, mediante la nostra, non so s’io mi dica dappocaggine, non sappiamo dargliene più, quanto dall’altre, che per altre cagioni poco gliene danno.
E per questo lascio di lamentarmi con lei, come farei se non avessi questo pensiero; e solo la prego a conformarsi (con il lasciarsi da noi rivedere) se non in tutto al suo gusto, almeno al nostro desiderio; il quale sarebbe di star continuamente da lei, se ne fossi lecito, per farli quelli ossequi che i suoi meriti e il nostro debito ricercherebbono. E poiché questo non ci è concesso, non mancheremo già di satisfare a questo debito, col tenerla raccomandata al Signore che gli conceda la sua grazia in questa vita, e il paradiso nell’altra.
Dubito che Vincenzio non si lamenti di noi, perché indugiamo tanto a mandarli i collari che ci mandò a domandar, dicendo che ne aveva carestia. Di grazia V. S. ci mandi un poco di tela batista acciò gliene possiamo cucire, e anco ci dia qualche nuova di lui, che lo desideriamo. E se a lei occorre qualche cosa per suo servizio, nella quale possiamo impiegarci, si ricordi che ci è di gusto grandissimo il servirla. E qui facendo fine, a V. S. mi raccomando insieme con Suor Arcangela.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

18.

A Firenze

[Quaresima 1626 ?]

Amatissimo Signor Padre.
I cedrati mandatimi da V. S. accomoderò conforme al suo gusto molto volontieri: e per farne l’agro ed i morselletti, penso che vi bisogneranno due libre di zuccaro, e, caso che gli sia di gusto, un poco di musco buono; il tutto mi sarà caro perché mi ritrovo assai scarsa di danari: e se vuole che gli accomodi dei fiori di ramerino, che tanto soglion gustarli, potrà mandar più quantita di zuccaro. La sottocoppa non l’aviamo avuta; ma costì ci hanno bene di nostro una guastada, ed una piattellina bianca.
Non vorrei già ch’ella si prendesse tanto pensiero di noi; ma più tosto attenda a procurar di conservarsi in sanità; e di grazia, quando ritorna in villa, lasci di star nell’orto, fino che non siano migliori tempi, perché credo che questo gl’abbia nociuto assai: perché ho molta fretta, finisco, e la saluto con tutto il cuore. Il Signore gli conceda la sua grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Aspetto il zuccaro quanto prima, perché i cedri patirebbono, e se per sorte gliene venisse qualcun’altro alle mani, mi sarà gratissimo per un altro mio bisogno, che gli dirò a bocca, che non vedo l’ora.

19.

A Bellosguardo

[Pasqua 1626 ?]

Amatissimo Signor Padre.
Ringraziarne V. S. delle sue molte amorevolezze, le quali ci godremo per suo amore. I fiori che ha mandati, al mio conto, faranno 4 barattoli, e, perché sono assai umidi, aspetteremo gli altri, giacché gli adoperiamo alquanto appassiti, e V. S. dice volerli mandare. Vo appunto adesso lavorando intorno ai duoi cedri mandatimi ultimamente, che credo riusciranno meglio degli altri.
Gli annunzio felicissima la santissima Pasqua, questo e molti anni appresso, e me le raccomando di tutto cuore insieme con Suor Arcangela.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 2 7

      20.[ ? ]

[Quaresima dell’ anno 1627 ?]

Amatissimo Signor Padre.
Con mio grandissimo contento intesi l’altro giorno che V. S. stava bene, il che non segue già di me, poiché da domenica in qua mi ritrovo in letto con un poca di febbre, la quale (secondo che dice il medico) sarìa stata di considerazione, se un poco di flusso di corpo sopraggiuntomi non gli avessi tagliata la strada e ridotta di presente in poca quantità. Io, già che Dio benedetto mi fa grazia di mantenermi V. S., prevalendomi di questa abilità, a lei ricorro in tutte le mie necessità, con quella confidenza che più un giorno dell’altro mi somministra la sua cordiale amorevolezza; e particolarmente adesso che mi trovo bisognosa di governarmi mediocremente bene per rimediare alla mia estrema debolezza, avrei caro che V. S. mi somministrassi qualche quattrino per provvedere ai miei bisogni che sono tanti, che a me sarìa troppo faticoso l’annoverargli, e a lei quasi impossibile in altra maniera il sovvenirgli. Solo gli dirò che la provvisione che ci dà il monastero è di pane assai cattivo, di carne di bue, e di vino che va in fortezza; io mi godo il suo, del quale ne ho ancora un fiasco e mezzo, e non me ne fa di bisogno per ancora, perché bevo pochissimo. Basta, lo partecipo anco con le altre com’è il dovere, e particolarmente con Suor Luisa alla quale gustò fuor di modo l’ultimo fiasco che V. S. mandò, che fu assai chiaro, cioè di poco colore e assai valore. Se nel suo pollaio si trovasse una gallina che non fosse buona per uova, sarebbe buona per farmi del brodo che devo pigliar alterato. Intanto non avendo altro, gli mando 12 fette di pasta reale a ciò se la goda per mio amore; e la saluto insieme con tutte le amiche e con la madre Badessa, mia molto cortese e favorevole amica. Nostro Signore la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

21.

A Bellosguardo

San Matteo, vigilia di Natale 1627

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Desiderando io che in queste santissime feste di Natale, e in molte altre ancora, V. S. arrivi al colmo d’ogni bramata consolazione, vengo con questi pochi versi a fargliene felicissimo augurio, e prego il Signor Iddio, che in questi benedetti giorni il suo animo goda tranquilla pace, e il simile a tutti di casa.
Mando alcune coserelle per i fanciullini dello zio, il collare maggiore con i manichini sarà d’Albertino, gli altri due degli altri più piccoli, e il canino della bambina, le paste di tutti, eccetto i mostacciuoli che sono per V. S. Accetti la buona volontà che sarebbe pronta per far molto di più.
Ricevei il vino e anco il rabarbaro; la ringrazio; e prego il Signore che le rimeriti tante sue amorevolezze con l’aumento della sua santa grazia. Con che per fine mi raccomando a tutti molto affettuosamente.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 2 8

L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

22.

A Bellosguardo

San Matteo, 4 marzo 1627 [1628]

Amatissimo Signor Padre.
Credo veramente che l’amore paterno inverso dei figli possa in parte diminuirsi, mediante i mali costumi e portamenti loro; e questa mia credenza vien confermata da qualche indizio che me ne dà V. S. parendomi che più presto vadia in qualche parte scemando quel cordiale affetto che per l’addietro ha inverso di noi dimostrato; poiché sta tre mesi per volta senza venire a visitarne, che a noi paion tre anni, ed anco da un pezzo in qua, mentre però si ritrova con sanità, non mi scrive mai mai un verso.
Ho fatta buona esamina per conoscer se dalla banda mia ci fossi caduto qualche errore che meritassi questo castigo, ed uno ne ritrovo (ancorché involontario) e questo è una trascuraggine o spensieritaggine ch’io dimostro verso di lei, mentre non ho quella sollecitudine che richiederebbe l’obbligo mio di visitarla e salutarla più spesso con qualche mia lettera; onde questo mio mancamento, accompagnato da molti demeriti che per altro ci sono, è bastante a somministrarmi il timore sopra accennatoli. Sebbene, appresso di me, non a difetto può attribuirsi, ma piuttosto a debolezza di forze, mentre che la mia continua indisposizione m’impedisce il poter esercitarmi in cosa alcuna; e già più d’un mese ho travagliato con dolori di testa tanto eccessivi che né giorno né notte trovavo riposo. Adesso che, per grazia del Signore, sono mitigati, ho subito presa la penna per scriverle questa lunga lamentazione, che, per essere di carnevale può piuttosto dirsi una burla. Basta insomma che V. S. si ricordi che desideriamo di rivederla, quando il tempo lo permetterà; intanto gli mando alcune poche confezioni che mi sono state donate. Saranno alquanto indurite, avendole io serbate parecchi giorni con speranza di dargliele alla presenza. I berlingozzi sono per l’Anna Maria e i suoi fratellini. Gli mando una lettera per Vincenzio, acciò questa gli riduca in memoria che siamo al mondo, perché dubito ch’egli non se lo sia scordato, poiché non ci scrive mai un verso. Salutiamo per fine V. S. e la zia di tutto cuore, e da nostro Signore gli prego vero contento.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

23.

A Firenze

San Matteo, 18 marzo 1627 [1628]

Amatissimo Signor Padre.
Perché non saprei indovinare che cosa potessi mandargli che gli gustassi, ho pensato che forse gli sarà più grato qualche cosa per presentare alla signora Barbera e altre che la governano, alle quali ancor io (per amor di V. S.) mi confesso molto obbligata. Per questo adunque gli mando queste poche paste, acciò le godine per amor nostro in questi giorni di digiuno; e se V. S. ne mandasse a chieder qualche cosa che gli fossi di gusto, non potrebbe farne maggior grazia di questa, che pur desideriamo d’esser buone in qualche minima cosa per lei.
Ieri mi cavai un dente che mi dava grandissimo travaglio, sì che adesso per grazia del Signore resto libera dai dolori che per due mesi m’hanno tormentata, ancorché resto ancora con la testa non troppo sana. Spero però, con progresso di qualche poco tempo, di dover restarne libera, se piacerà a Dio, il quale io prego che a V. S. conceda perfetta sanità; e per fine a lei, a Vincenzio, e alla zia e a tutti di casa mi raccomando insieme con Suor Arcangela.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

24.

A S. Spirito

San Matteo, 22 marzo 1627 [1628]

Amatissimo Signor Padre.
Gli mando l’acqua di cannella, che, per esser fatta di fresco, non so se gli piacerà. Se non ha più stillato, potrà render la guastada al nostro fattore che glie ne manderò dell’altro; e se la pera cotta gli è gustata, lo dica, che ne accomoderò un’altra; ma dubito che, mediante la stagione, non siano adesso poco buone. Saluto la zia e tutti di casa; non dico Vincenzio perché non so se sia partito; avrò ben caro d’intenderlo. V. S. stia allegramente, acciò possa guarir presto affatto, e venire da noi, siccome lo desideriamo ed Ella ci ha promesso, e, se gli occorre qualcosa avvisi. Nostro Signore gli doni la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

25.

A Firenze

24 marzo 1627 [1628]

Amatissimo Signor Padre.
Non potendo io assisterla con la persona, siccome sarebbe il mio desiderio (che non per altro mi par alquanto difficile la clausura) non tralascio già d’accompagnarla continuamente con il pensiero e desiderio di sentirne nuove ogni giorno; e perché ieri l’altro il fattore non potette vederla, lo rimando oggi, con scusa di mandargli due morselletti di cedro. Intanto V. S. potrà dirgli se vuol qualcosa da noi, e se la pera cotogna gli è niente piaciuta, acciò possa accomodarne un’altra. Finisco, per non noiarla di soverchio, senza finir mai di raccomandarmele, e di pregar nostro Signore per la sua intiera sanità, e il simile fa Suor Arcangela e l’altre amiche.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

26.

A Firenze

San Matteo, 25 marzo 1628

Amatissimo Signor Padre.
L’allegrezza che sentiamo del suo progresso in salute è inestimabile, e con tutto il cuore ne ringraziamo il Signor Iddio dator d’ogni bene. Per non trasgredir al suo comandamento, tanto amorevole, gli dico che io, per comandamento del medico, non fo quaresima, e che, per essere sdentata avanti tempo, avrò caro s’ella mi manderà un poco di carne di castrato che sia grassa, che pur di questa ne mangio qualche poca. Suor Arcangela si contenta di qualche cosetta per far colazione la sera; e particolarmente un poco di vino bianco ci sarà molto grato. Tanto gli dico per obedirla, e certo che resto confusa ch’Ella, mentre si ritrova indisposta, pigli di noi tanto pensiero; ma non si può dir altro se non ch’ella è padre, e padre amorevolissimo, nel quale, dopo Dio benedetto, è riposta ogni nostra speranza. Piaccia pur allo stesso Signore di conservarcelo ancora, se così è per sua salute. E qui per fine me li raccomando di cuore.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

27.

A Bellosguardo

[marzo/aprile 1628]

Amatissimo Signor Padre.
Il tempo d’oggi tanto quieto mi dava mezza speranza di riveder V. S. Poiché non è venuta, ci è stata molto cara la venuta del grazioso Albertino, avendoci egli dato nuova che V. S. sta bene, e che presto verrà a vederci, insieme con la zia; ma, questo ma guasta ogni cosa; quel sentire ch’Ella sia ritornata così presto al solito esercizio dell’orto, mi dispiace non poco; perché, essendo ancora l’aria assai cruda e V. S. debole del male, dubito che non gli faccia danno. Di grazia V. S. non si scordi così presto in che termini ella sia stata, e abbia un poco di amore più a sé stessa che all’orto; ancor ch’io creda che, non per amore ch’abbia all’orto, ma per il gusto che ne piglia, si metta a questo risico. Ma in tempo di quaresima, par che si convenga far qualche mortificazione: V. S. facci questa, privisi per qualche poco di questo gusto.
Scrissi l’altro giorno a V. S. che se per sorta aveva qualche altro cedro, mi sarebbe stato grato; e ora di nuovo la prego che, se avessi comodità di provvedermene uno o due mi farebbe grandissimo piacere; quando non fossino nostrali non importerebbe, perché dovendo il Cavalier Marzi, ch’è tornato nostro Governatore, venir a darne l’acquasanta questa settimana santa, siamo in obbligo Suor Luisa ed io di regalarlo di qualche galanteria nella nostra bottega; e vorremmo fargli 4 di quei morselletti che tanto gli piacciono, quelli di V. S. non sono ancora asciutti; perché il tempo non mi ha servito se non oggi. Gli mando parecchie uve accomodate, e 6 pine che saranno pei ragazzi. La ringrazio della carne, e perché sto adesso tanto bene, penso di ripigliar la quaresima venerdì prossimo, perciò V. S. non piglierà pensiero di mandarmene più: per fine la saluto insieme con la zia; Dio benedetto la feliciti.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

28.

A Bellosguardo

8 aprile 1628

Amatissimo Signor Padre.
La ringraziamo infinitamente (Suor Luisa e io) de’ cedri a noi gratissimi, sì perché vengono da lei, sì anco perché non avevamo miglior mezzo per averli. I cibi da quaresima ci sono stati gratissimi, e particolarmente a Suor Arcangela. Io vivo tanto regolatamente, per desiderio ch’ho di star sana, che V. S. non deve dubitare ch’io disordini, e dell’uova non mangerò per obidirla. Le immagini mi sono state molto care, e avrò caro che, quando V. S. risponde alla Mechilde, la ringrazi per nostra parte e gli renda duplicati saluti.
Rimando i collari dei ragazzi, e nel fondo della paniera vi sono 8 morselletti, e due ne abbiamo presi per noi, già ch’ella per sua amorevolezza ce li concede. Ho fatto anco (del zuccaro, che mandò) un poca di conserva d’agro di cedro e di quella di fiori di ramerino, ma non sono ancora in ordine per poterli mandare.
Mi rallegro del suo progresso in sanità, e prego nostro Signore che gliela renda perfettamente, se è per il meglio. E per finire me li raccomando insieme con Suor Arcangela e Suor Luisa.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

La zia ci s’intende.

29.

A Bellosguardo

San Matteo, 10 aprile 1628

Amatissimo Signor Padre.
La liberalità e amorevolezza di V. S. in alcuna maniera non compatisce d’esser paragonata con l’avarizia del Papazzoni; ma piuttosto (quando ci fossino forze corrispondenti all’animo) a quella d’Alessandro Magno. O per dir meglio, io, quanto a me, assomiglierei V. S. al pellicano, che siccom’egli, per sostentare i suoi figli, sviscera sé stesso, così lei per sovvenire alle necessità di noi sue care figlie, non avrebbe riguardo di privar sé stessa di cosa a Lei necessaria. Or quanto meno dovrò io dubitare che gli dia molestia il pensiero di dovermi mandare tre o quattro libbre di zucchero, acciò ch’io possa condir per lei i credri mandatimi? Certo ch’io non temo punto che questo pensiero e affanno abbia avuto forza di causargli una minima palpitazion di cuore, e con questa sicurtà ho tardato a dargli risposta. Oltre che sopragiungendo il medico (appunto quando m’ero messa a scrivere) chiamato da me per causa della mia maestra che si ritrova ammalata, già son parecchi giorni, e convenendomi assistere a lei e dopo a tre altre ammalate, mi fu impossibile il poter allora satisfare all’obligo mio, già che in quell’azione non mi era lecito mandar altre in mio scambio. Scusimi perciò V. S. della tardanza, e la prego che per carità mi mandi (per detta mia maestra) questo fiaschette pieno di vino di casa sua: che basta che non sia agro, già ch’il medico glielo vieta, e il nostro del convento è assai crudo.
Ancora desidero di sapere se V. S. potessi farmi aver da Pisa, quando vi sarà fiera, parecchie braccia di calisse per due monache poverette che mi si raccomandano. Caso che ella possa farmi il servizio, manderò la mostra e otto scudi ch’hanno voluto già consegnarmi per questo effetto. Perché ho molta fretta non dico altro, se non che prego nostro Signore che gli doni la sua santa grazia, e a Lei, alla zia, e a tutti i rabacchini mi raccomando.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

30.

A Bellosguardo

19 aprile [1628]

Amatissimo Signor Padre.
I cedrati sono bellissimi, e della vista loro mi compiaccio assai, siccome anco della diligenza e manifattura che si ricerca in accomodarli, sì perché questo esercizio mi gusta, e molto più perché ho occasione d’impiegarmi in servizio di V. S. cosa a me più grata più ch’altra del mondo.
Gli mando l’altro barattolo di conserva di fiori di ramerino, che appunto avevo fatto del zuccaro avanzatomi dei morselletti, li quali non sono ancora in stagione ch’io glieli possa mandare, sì come anco l’agro, il quale non è però riuscito male affatto.
Quanto alla quantità del zuccaro, che ricercano i vasetti simili a questo che gli mando, non vuol essere manco di sei once per ciascuno, anzi che l’altro che gli mandai ne prese sette, e credami che non dico la bugia, sebbene ho detto in caffo, come si suol dire in proverbio: ma V. S. vuol la burla meco, perché sa bene che non gli direi bugie, in questo genere in particolare.
Intanto se V. S. ha votati tre vasi di vetro ch’ha di mio, potrà mandarmeli quando manderà i fiori, acciò li possa riempire. E vorrei anco che facessi una buona rifrusta per casa, adesso che si da l’acquasanta, e se vi fosse qualche vasetto o ampolle vote che siano per la spezieria, si levassi questo impaccio, che a noi servirebbono di grazia, o qualche scatola: basta, V. S. m’intende.       Quanto ai cantucci, faremo il conto che ne avvisa V. S., già che la quaresima è finita. Gli mando un poca di pasta reale per sé, e quattro pasterelle per i ragazzi. La ringrazio del vino, il quale parteciperò con la Nonna e amiche, ché veramente non è per me. La saluto con tutto l’affetto insieme con la zia; e prego il Signore che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

31.

A Bellosguardo

San Matteo, 28 aprile 1628

Amatissimo Signor Padre.
L’aver visto qualche giorno addietro il tempo assai quieto, e che V. S. non sia venuto da noi, mi fa sospettare o ch’Ella non si senta troppo bene o vero che sia andata a Pisa. Per certificarmene mando questa donna costì, e con questa occasione gli mando tutti i morsellini ch’ho fatti; quelli cinque separati dagli altri sono dei due cedrati che mandò ultimamente, e credo che saranno di maggior bontà degli altri, sì per essere stati migliori i cedri e più freschi, come anco perché è il zucchero più raffinato, che perciò sono anco più bianchi, e me l’ha donato Suor Luisa, già che del suo non n’avevo più. Dubito che V. S. non si sia scordata di mandarmi gli altri fiori di ramerino i quali aspetto ogni giorno, sì come mi disse V. S. nell’ultima sua. Glieli ricordo, perché penso che siano per durar poco. Se V. S. va a Pisa avanti che venga a vederci, si ricordi del mio servigio, cioè del calisse, del quale già gli ho trattato.
Vorrei anco che V. S. vedessi se per sorte avessi in casa da mandarmi un pochette di lucchesino tanto che mi facessi un panno da stomaco, perché adesso, che si cavano gli altri panni da verno, patisco assai, per aver lo stomaco freddo e debole. Perché mi ritrovo molto occupata non dico altro, se non che me li raccomando di tutto cuore, e prego il Signore che gli conceda vera felicità.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

32.

A Bellosguardo

San Matteo, giorno di san Martino del 1628 [11 novembre]

Amatissimo Signor Padre.
Essendo io stata tanto senza scriverle, V. S. potrebbe facilmente giudicare ch’io avessi dimenticato, sì come potrei io sospettare ch’Ella avesse smarrita la strada per venir a visitarci, poiché è tanto tempo che non ha per essa camminato: ma sì come poi sono certa che non tralascio di scriverle per la causa suddetta, ma sì bene per penuria e carestia di tempo, del quale non ho mai un’ora che sia veramente mia, cosi mi giova di credere ch’Ella, non per dimenticanza, ma sì bene per altri impedimenti lasci di venir da noi; e tanto più adesso che Vincenzio nostro viene in suo scambio, e con questo ci acquietiamo, avendo da esso nuove sicure di V. S. le quali tutte mi sono di gusto, eccetto quella per la quale intendo ch’Ella va la mattina nell’orto; questa veramente mi dispiace fuori di modo, parendomi che V. S. si procacci qualche mala stravagante e fastidioso si come l’altra invernata gli intervenne. Di grazia privisi di questo gusto che torna in tanto suo danno; e se non vuol farlo per amor suo, faccilo almeno per amor di noi suoi figliuoli che desideriamo di vederla giugnere alla decrepità; il che non succederà s’Ella così si disordina. Dico questo per pratica, perché ogni poco ch’io stia ferma all’aria scoperta mi nuoce alla testa grandemente: or quanto più farà danno a Lei!
Quando Vincenzio fu ultimamente da noi, Suor Chiara gli domandò otto o dieci melarance; adesso essa torna a domandarle a V. S. se sono mediocremente mature, avendo a servirsene lunedì mattina.
Gli rimando il suo piatto, dentrovi una pera cotta, che credo non le spiacerà, e questa poca pasta reale.
Se hanno collari da imbiancare potranno mandarli insieme con un’altra paniera e coperta che hanno di nostro. Saluto V. S. e Vincenzio molto affettuosamente, e il simile fanno Suor Arcangela e le altre di camera. Il Signore gli conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

33.

A Bellosguardo

San Matteo, 10 dicembre 1628

Amatissimo Signor Padre.
Dovrei continuamente ringraziare Iddio benedetto, il quale compiacendosi di visitarmi con qualche travaglio insieme mi dà molte consolazioni, una delle quali, anzi la maggiore in questo mondo, è il mantener in vita V. S., e mantenerla, dico, con pronta volontà di sovvenirmi in ogni mio bisogno, ché veramente, s’io non conoscessi in lei questa prontezza, mal volentieri m’arrischierei ad infastidirla così spesso; ma per finirla ormai gli dico che Suor Arcangela da otto giorni in qua si ritrova ammalata, e se bene nel principio ne feci poca stima parendomi che fossi il male d’infreddatura, finalmente vedo adesso ch’ella ha necessità di purgarsi; poiché, oltre al cader nella solita maninconia, è anco soprapresa da un catarro in tutta la vita, ma in particolare nelle gambe, che gli causa certi enfiati piccoli e rossi sì che non può muoversi senza estrema fatica. Conosco che il suo bisogno è di cavarsi sangue (già che non ha mai il benefizio necessario) e per questa causa aspetto questa mattina il medico: ma perché non ho assegnamento nessuno di danaro per questo bisogno, la prego, per amor di Dio, che mi cavi da questo pensiero con mandarmene qualcuno, essendo in molta necessità per molte cause, le quali sarei troppo tediosa se volessi raccontarle. Se il tempo lo concedessi, avrei caro che ci venissi Vincenzio, con il quale potrei dir liberamente i miei affanni, che non sono però superflui, venendo da Dio. Gli mando una pera cotta, di quelle così belle che mi mandò ultimamente. Ho imparato questa nuova foggia di cuocerle che forse più le piacerà, e avrò caro che mi rimandi la coperta, ché non è mia. La saluto per fine affettuosamente, e prego il Signore che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

34.

A Bellosguardo

[dicembre 1628 ?]

Amatissimo Signor Padre.
La improvvisa nuova datami da Vincenzio nostro della conclusione del suo parentado, e parentado così onorato, ha causato in me tale allegrezza che non saprei come meglio esprimerla, salvo che con dirle, che tanto quanto è grande l’amore che porto a V. S., tanto è il gusto che sento d’ogni suo contento, il quale suppongo che in questa occasione sia grandissimo; e perciò vengo di presente a rallegrarmi seco, e prego nostro Signore che la conservi per lungo tempo, acciò possa godere quelle satisfazioni che mi pare gli promettino le buone qualità di suo figliuolo e mio fratello, al quale io accresco ogni giorno l’affezione, parendomi giovane molto quieto e prudente.
Avrei fatto con V. S. più volentieri quest’offizio in voce, ma poich’Ella così si compiace, la prego che almanco mi dica per lettera il suo gusto circa il mandar a visitar la sposa: cioè se sia meglio il mandar a Prato quando vi andrà Vincenzio, o pure aspettar ch’ella sia in Firenze, già che questa è cerimonia solita di noi altre, e tanto più che per essere lei stata in monastero, saprà queste usanze. Aspetto adunque la sua risoluzione. E frattanto la saluto di cuore.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 2 9

L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

35.

A Bellosguardo

San Matteo, 4 gennaio 1628 [1629]

Amatissimo Signor Padre.
Mi giova di credere che V. S. per ritrovarsi in questi giorni assai occupata non abbia potuto altrimenti venir da noi; onde, desiderosa di saper qualcosa, mi son risoluta di scriverle di nuovo, dicendole che circa al visitar la sposa, indugerò quando piacerà a V. S. bastandomi di saperlo qualche giorno avanti, e farò anco capitale dell’amorevole offerta ch’Ella mi fa di aiutarmi, poiché, come discreta, può giudicare che, nel termine nel quale mi ritrovo, le forze non corrispondino né all’animo, né al debito mio. Onde gli mando in nota le cose di più spesa che per far un bacino di paste ci bisognano, lasciando per me gl’ingredienti di minor costo. Oltre a ciò V. S. potrà vedere se vuole ch’io gli faccia altre paste, come biscottini col zoccolo, e simili; perché credo senz’altro che spenderebbe manco che pigliandole dallo speziale, e noi le faremmo con tutta la diligenza possibile.
Desidero di più ch’Ella mi dica il suo gusto quanto al presentare qualche cosa alla medesima sposa, perché io non desidero se non di compiacer a V. S. Il mio pensiero sarebbe di farle un bel grembiule, sì perché sarebbe cosa utile, come anco a noi di manco spesa, potendo lavorarlo da per noi; e questi collari e grandiglie, che usano adesso, non sappiamo farli.
Dubiterei di non far sproposito, domandando a V. S. di queste bagattelle, se non sapessi ch’Ella, così nelle cose piccole come nelle grandi, ha di gran lunga più retto giudizio che non abbiamo noi altre. E perciò a Lei mi rimetto. E per fine mi raccomando insieme con Suor Arcangela, e a Vincenzio ancora.
Il Signore la feliciti.
Potrà consegnare al fattore la paniera dei collari con 3 coperte, cioè un grembiule sudicio, un asciugatoio e una pezzuola.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

36.

A Bellosguardo

22 marzo 1628 [1629]

Amatissimo Signor Padre.
Restammo veramente tutte satisfatte della sposa, per esser molto affabile e graziosa; ma sopr’ogni altra cosa ne dà contento il conoscer ch’ella porti amore a V. S., poiché supponghiamo che sia per farle quegli ossequi che noi le faremmo se ci fossi permesso. Non lasceremo già di far ancor noi la parte nostra inverno di lei, cioè di tenerla continuamente raccomandata al Signor Iddio, ché troppo siamo obbligate, non solo come figlie, ma come orfane abbandonate che saremmo, se V. S. vi mancassi.
Oh se almeno io fossi abile ad esprimerle il mio concetto! Sarei sicura ch’Ella non dubiterebbe ch’io non l’amassi tanto teneramente quanto mai altra figlia abbia amato il Padre: ma non so significarglielo con altre parole, se non con dire ch’io l’amo più di me stessa: poiché, dopo Dio, l’esser lo riconosco da lei, accompagnato da tanti altri benefizi che sono innumerabili, sì che mi conosco anco obligata e prontissima, quando bisognassi, ad espor la mia vita a qualsivoglia travaglio per lei, eccettuatone l’offesa di sua Divina Maestà.
Di grazia V. S. mi perdoni se la tengo a tedio troppo lungamente, poiché talvolta l’affetto mi trasporta. Non m’ero già messa a scriver con questo pensiero, ma sì bene per dirle che se potessi rimandar l’oriuolo sabato sera, la sagrestana che ci chiama a mattutino l’avrebbe caro; ma se non si può mediante la brevità del tempo che V. S. l’ha tenuto, sia per non detto: ché meglio sarà l’indugiar qualche poco e riaverlo aggiustato, caso che n’abbia bisogno.
Vorrei anco saper s’Ella si contentassi di far un baratto con noi, cioè ripigliarsi un chitarrone ch’Ella ci donò parecchi anni sono e donarci un Breviario a tutte due; poiché quelli che avemmo quando ci facemmo monache sono tutti stracciati, essendo questi gli instrumenti che adoperiamo ogni giorno; ove che quello se ne sta sempre alla polvere e va a risico d’andar male, essendo costretta, per non far scortesia, a mandarlo in presto fuor di casa qualche volta.
Se V. S. si contenta, me ne darà avviso acciò possa mandarlo: e quanto ai Breviari non ci curiamo che siano dorati, ma basterebbe che vi fossino tutti i Santi di nuovo aggiunti, e avessino buona stampa, perché ci serviranno nella vecchiaia, se ci arriveremo.
Volevo fargli della conserva di fiori di ramerino, ma aspetto che V. S. ci rimandi qualcuno dei miei vasi di vetro, perché non ho dove metterla; e così se avessi per casa qualche barattolo o ampolla vota che gli dia impaccio, a me sarebbe grata per la bottega.
E qui, per fine, la saluto di cuore insieme con Suor Arcangela e tutte di camera. Nostro Signore la conservi in sua grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

37.

A Bellosguardo

San Matteo, 8 luglio 1629.

Amatissimo Signor Padre.
L’incomodità ch’io ho patita dappoi che sono in questa casa, mediante la carestia di cella, so che V. S. in parte lo sa, ed ora io più chiaramente gliel’esplicherò, dicendole che una piccola celletta, la quale pagammo (conforme all’uso che abbiamo noi altre) alla nostra maestra trentasei scudi, sono due o tre anni, mi è convenuto, per necessità, cederla totalmente a Suor Arcangela, acciò (per quanto è possibile) ella stia separata dalla suddetta nostra maestra, che, travagliata fuor di modo dai soliti umori, dubito che con la continua conversazione gl’apporterebbe non poco detrimento; oltre che per essere Suor Arcangela di qualità molto diversa dalla mia e piuttosto stravagante, mi torna meglio il cedergli in molte cose per poter vivere in quella pace e unione che ricerca l’intenso amore che scambievolmente ci portiamo. Onde io mi ritrovo la notte con la travagliosa compagnia della maestra (se bene me la passo assai allegramente coll’aiuto del Signore, dal quale mi sono permessi questi travagli indubitamente per mio bene) e il giorno sono quasi peregrina, non avendo luogo ove ritirarmi un’ora a mia requisizione. Non desidero camera grande o molto bella, ma solo un poca di stanzuola, come appunto adesso me se ne porge l’occasione d’una piccolina, che una monaca vuol vendere per necessità di danari; e, mediante il buon uffizio fatto per me da Suor Luisa, mi preferisce a molte altre che cercano comperarla. Ma perché la valuta è di scudi 35, e io non ne ho altri che dieci, accomandatimi pur da Suor Luisa, e cinque n’aspetto della mia entrata, non posso impossessarmene, anzi dubito di perderla, se V. S. non mi sovviene colla quantità che me ne manca, che sono scudi 20.
Esplico a V. S. il bisogno con sicurtà filiale e senza cerimonie, per non offender quella amorevolezza da me tante volte esperimentata. Solo replicherò che questa è delle maggiori necessità, che mi possono avvenire in questo stato che mi ritrovo, e che, amandomi Ella come so che mi ama, e desiderando il mio contento, supponga che da questo me ne deriverà contento e gusto grandissimo, e pur anco lecito e onesto, non desiderando altro che un poco di quiete e solitudine. Potrebbe dirmi V. S. che per esser assai la somma che domando, io mi accomodi dei 30 scudi che tiene ancora il convento di suo: al che io rispondo (oltre che non è possibile averli in questo estremo, essendo in molta necessità la monaca venditrice) che V. S. promesse alla madre Badessa di non gli domandare se non veniva qualche occasione, mediante la quale il convento fossi sollevato e non astretto a sborsarli contanti; sì che non per questo penso che V. S. lascerà di farmi questa gran carità, la quale gl’adimando per l’amor di Dio, essendo ancor io nel numero dei poveri bisognosi posti in carcere, e non solo dico bisognosi, ma anco vergognosi, poiché alla sua presenza non ardirei di dire così apertamente il mio bisogno: né meno a Vincenzio; ma solo con questa mia a V. S. ricorro con ogni fiducia, sapendo che vorrà e potrà aiutarmi. E qui per fine mi raccomando con tutto l’affetto, sì come anco a Vincenzio e sua sposa. Il Signor Iddio la conservi lungamente felice.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

38.

A Firenze

San Matteo, 6 settembre 1629

Amatissimo Signor Padre.
Aviamo riavuta l’ampolla d’olio con li scorpioni, e la ringraziamo Suor Luisa ed io infinitamente. Volevamo, parecchi giorni sono, mandargli un poca d’acqua di cannella fatta da noi non è molto, che, avvicinandosi la stagione più fresca, pensiamo che gli deva esser grata; ma restiamo per l’incomodità che aviamo di chi la porti. Che se V. S. avessi la casa più appresso [com’io desidererei) non ci sarebbono queste difficoltà. Basta, aspetteremo la prima occasione e frattanto avrò caro di sapere come stia la Lisabetta e se vuol qualche cosa da noi. Quando V. S. manda la tela per i collari per lei e pezzuola per la cognata, avrò caro che mandi la mostra di un collare che gli stia bene, e similmente il refe bresciano che m’ha promesso, che ne lavorerò con esso la pezzuola: perché ho gran sonno, non dirò altro se non che mi vo a letto per cavarmelo, essendo assai notte. La saluto di cuore insieme con Suor Luisa e Suor Arcangela, e similmente Vincenzio e la sposa. Nostro Signore la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

39.

A Bellosguardo

10 novembre 1629

Amatissimo Signor Padre.
Mi dispiace in estremo il sentire l’indisposizione di V. S., e tanto più perché ordinariamente è più travagliata quando viene da noi; e ardirei di dire, se credessi indubitatamente che questa gita tanto le nocessi, che più presto mi contenterei di privarmi di vista tanto cara e desiderata; ma veramente ne incolpo molto più la contraria stagione. La prego ad aversi cura più che sia possibile.
Non poteva Suor Luisa mia aver maggior gusto quanto che vedendo che V. S. faccia capitale (se bene in piccola cosa) della nostra bottega; solo ha timore che non sia l’ossimele di quella esquisitezza ch’ella vorrebbe, dovendo servire per V. S. Gliene mandiamo once V come domanda, e se più gliene bisognerà siamo prontissime; ma perché ordinariamente si suol temperare con siroppo di scorza di cedro, anco di questo gli mandiamo, acciò veda se gli gusta: e, se altro gli occorre, dica liberamente. La ringrazio dei ritagli, e caso che n’abbia più, mi saranno gratissimi, e ancora io non lascierò di mandarle qualche amorevolezza per la Porzia [governante di Galileo]. Gli mando un poco di marzapane, che se lo goda per mio amore, e la saluto insieme con Vincenzio e la Cognata, della quale molto mi duole che si ritrovi in letto, e se gli bisogna qualche cosa ch’io la possi servire, lo farò molto volentieri. Nostro Signore doni a tutti la sua santa grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

40.

A Bellosguardo

San Matteo, 22 novembre 1629

Amatissimo Signor Padre.
Ora che alquanto è mitigata la tempesta dei nostri molti travagli, non voglio tralasciar di farne consapevole V. S., sì perché ne spero alleggerimento d’animo, come anco perché desidero d’esser scusata da lei, se già due volte gli ho scritto così a caso e non in quella maniera che dovevo. Perché veramente ero mezza fuori di me, mediante il terrore causato a me e a tutte l’altre dalla nostra maestra, la quale, sopraffatta da que’ suoi umori o furori, due volte ne’ giorni passati ha cercato d’uccidersi. La prima volta con percuotersi il capo e il viso in terra tanto forte, ch’era divenuta deforme e mostruosa; la seconda volta con darsi in una notte tredici ferite, due nella gola, due nello stomaco e l’altre tutte nel ventre. Lascio pensare a V. S. qual fosse l’orrore che ci sopraprese, quando la trovammo tutta sangue e così malconcia. Ma più ci da stupore che, nell’istesso tempo che si era ferita, ella fa romore perché si vadia in cella, domanda il confessore, e in confessione gli consegna il ferro ch’adoprò, acciò non sia visto da alcuno (se bene, per quanto possiamo conghietturare, fu un temperino); basta che apparisce ch’ella sia pazza e savia nel medesimo tempo, e non si può concluder altro se non che questi sono occulti giudizi del Signore, il quale ancora la lascia in vita, quando per ragioni naturali doveva morire, essendo le ferite tutte pericolose, per quanto diceva il cerusico; ché perciò siamo state a guardarla continuamente giorno e notte. Adesso siamo qui tutte sane, per grazia di Dio benedetto, e lei si tiene in letto legata, ma con le medesime frenesie, che perciò stiamo in continuo timore di qualche altra stravaganza.
Dopo questo mio travaglio voglio accennarle un’altra inquietudine d’animo sofferta da me. Dappoi in qua che V. S. per sua amorevolezza mi donò i 20 scudi che gli domandai (poiché alla presenza non ardii di dirle liberamente l’animo mio, quando ultimamente mi domandò se ancora avea avuto la cella) e ciò è ch’essendo io andata con i danari in mano a trovar la monaca che la vendeva, ella, ch’era in molta necessità, volentieri avrebbe accettati detti danari, ma di privarsi per amore della cella non si risolveva, sì che non essendo accordo infra di noi, non ne seguì altro, non pretendendo io altro che la presente comodità di quella stanzuola. La quale per aver accertata V. S. che avrei avuta, e non essendo sortito, ne presi grandissimo affanno, non tanto per restarne priva, quanto perché ho dubitato che V. S. si tenga aggirata, parendomi d’averle detto una cosa per un’altra, ancorché tale non fosse il mio pensiero; né mai avrei voluto aver questi danari, perché mi davano molta inquietudine. Che perciò, essendo sopravenuta alla madre Badessa certa necessità, io liberamente gliene prestai, ed ella adesso, per gratitudine e sua amorevolezza, m’ha promesso la camera di quella monaca ammalata; ch’io raccontai a V. S., la quale è grande e bella, e valeva 120 scudi ed ella si contenta di darmela per 80, che in questo mi fa grazia particolare, sì come in altre occasioni m’ha sempre favorita. E perché essa sa benissimo, c’hio non posso arrivare anco alla spesa di 80 scudi, s’offerisce di pigliar a questo conto i 30 scudi che già tanto tempo il convento ha tenuti di V. S,. purché ci sia il suo consenso, del che non mi par quasi di poter dubitare, parendomi che non sia da sfuggir questa occasione, essendo massime con molto mio comodo e satisfazione, la quale già so quanto a V. S. sia di gusto. Pregola adunque che mi dia qualche risposta, acciò io possa dar satisfazione alla madre Badessa, che dovendo fra pochi giorni lasciar l’offizio va di presente accomodando i suoi conti.
Desidero anco di sapere come V. S. si sente adesso che l’aria è alquanto rasserenata, e non avendo altro, gli mando un poco di cotognato condito di povertà, cioè fatto con mele, il quale, se non sarà il caso per lei, forse non spiacerà agli altri; alla cognata non saprei che mandarle, già che niente gli piace. Pure se avessi gusto a cosa alcuna fatta da monache, V. S. ce lo avvisi, che desideriamo di dargli gusto. Non mi sono scordata dell’obbligo che tengo con la Porzia, ma per ancora non m’è possibile il far cosa alcuna. Intanto se V. S. avrà avuti gli altri ritagli promessimi, avrò caro che me li mandi, aspettandoli io per metterli in opera con quelli ch’ho avuti.
Aggiungo di più che, mentre scrivo, la monaca suddetta ammalata ha avuto un accidente tale che pensiamo che sia per morire in breve; a tal che mi bisognerà dar il restante dei danari a Madonna, acciò possi far le spese necessarie per il mortorio.
Mi ritrovo nelle mani la corona d’agate donatami da V. S. la quale a me è superflua e inutile, e parmi che starebbe bene alla Cognata. La mando adunque a V. S., acciò veda se si contenta di pigliarla, e in cambio mandarmi qualche scudo per questo mio bisogno, che, se piacerà a Dio, credo pure che sarà l’ultimo di tanto gran somma; e per conseguenza non sarò più astretta ad infastidir V. S. ch’è quello che più mi preme. Ma infatti non ho, né voglio aver altri a chi voltarmi, salvo che a Lei e a Suor Luisa mia fedelissima, la quale per me si affatica quanto può; ma finalmente siamo riserrate e non aviamo quell’abilità che molte volte ci bisognerebbono. Benedetto sia il Signore che non lascia mai di sovvenirci; per amor del quale prego V. S. che mi perdoni se troppo l’infastidisco, sperando che l’istesso Signore non lascierà irremunerati tanti beni che ci ha fatti e fa continuamente, che di tanto lo prego con tutto l’affetto, e Lei prego che mi scusi se qui saranno degli errori, chè non ho tempo per rileggere questa lunga diceria.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 3 0L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

      41.A Bellosguardo

San Matteo, 4 gennaio 1629 [1630]

Amatissimo Signor Padre.
Il timore che ho, che la venuta qui di V. S. l’altro giorno non gli abbia cagionato l’accidente solito di maggior indisposizione, m’induce a mandarla a visitare di presente, con speranza però che non sia seguìto quello che temo, ma sì bene quel che desidero: cioè ch’Ella stia bene, il che non segue già qua fra di noi, poiché la maestra di Suor Luisa, cioè quella che V. S. non poteva creder l’altro giorno ch’avessi 80 anni, per esser così fiera, l’istessa sera fu soprapresa da male così repente di febbre, catarro e dolori, di tal maniera che si dà per spedita: e Suor Luisa perciò si ritrova in molto travaglio, perché l’amava grandemente. Oltre a ciò Suor Violante, per ordine del medico, se ne sta in letto con un poca di febbre; e, per quanto ne dice l’istesso medico, si può sperarne poco bene: ieri mattina prese medicina e si va trattenendo. Se V. S. facessi carità di mandarmi per lei un fiasco di vino rosso ben maturo, l’avrei molto caro, perché il nostro è assai crudo, e io voglio cercare, di quel poco che potrò, di aiutarla fino all’ultimo.
Tengo memoria del debito ch’ho colla Porzia, e perciò gli mando queste pezzuole che da per noi abbiamo lavorate, e questa cordellina, acciò veda se gli piace di donargliene da mia parte, e intanto procurar d’avere qualche altro ritaglio di drappo bello; basta: faccia V. S. in quella maniera che più gli piace. Si goderà sta sera queste uova fresche per amor mio, e per fine a Lei di tutto cuore mi raccomando insieme con tutte di camera. Il Signore la conservi in sua grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

42.

A Bellosguardo

21 gennaio 1629 [1630]

Amatissimo Signor Padre.
In risposta della sua gratissima gli dico che Suor Arcangiola sta bene, ed io poco manco che bene, già che per consiglio del medico Ronconi fo di presente un poco di purga piacevole, per ovviare, se sarà possibile, ad un’oppilazione duratami (fuor d’ogni mio solito) da sei mesi in qua, e credo che domattina piglierò una presa di pillole. Non mi sento veramente indisposizione particolare; ma, stando in questa maniera, dubito che mi verrebbe senz’altro. Suor Violante sta alquanto meglio, e va ancora purgandosi. Suor Giulia ci dà che fare assai, non agiutandosi niente da per sé, e, ogni volta che si leva dal letto, siamo 3 o 4 a portarla. Non credo senz’altro che sia per scamparla, essendo la febbre continua con andata di corpo. Io gli assisto continuamente, parendomi adesso il tempo di dimostrare a Suor Luisa l’affezione che gli porto, con levarle quelle fatiche ch’io posso.
Vincenzio tenne parecchi giorni l’oriuolo, ma da poi in qua suona manco che mai. Quanto a me, giudicherei che il difetto venissi dalla corda, che, per esser vecchia, non scorra. Pure, perché non me ne risolvo, glielo mando, acciò veda qual sia il suo mancamento, e lo raccomodi. Potrebb’anco esser che il difetto fossi mio per non saperlo guidare, che perciò ho lasciati i contrappesi attaccati, dubitando che forse non siano al luogo loro: ma ben la prego a rimandarlo più presto che potrà, perché queste monache non mi lascerebbono vivere.
Suor Brigida le ricorda il servizio, che gli ha impromesso, cioè la dote di quella povera fanciulla, e io avrei caro di saper se ha avuto per me dalla Porzia il servizio che li domandai. Non lo nomino acciò V. S. non mi dica fastidiosa, ma solo glielo ricordo.
Avrò caro anco di sapere se la lettera ch’io scrissi per Suor Maria Grazia fu conforme al desiderio di V. S., ché, quando ciò non fossi, procurerei d’emendar l’errore con scriverne un’altra, avendo scritta quella con molta penuria di tempo, il quale mi manca sempre per compire le mie faccende, e per disgrazia non posso tor alcun’ora al sonno, perché conosco che m’apporterebbe grandissimo nocumento alla sanità.
La ringrazio del servizio fattomi della muletta, la quale feci istanza che m’accomodassi, acciò che Suor Chiara, che la ricercava, non dubitassi ch’io non volessi che fossi servita. Gli rimando il fiasco voto, essendo a Suor Violante molto gustato il buon vino che v’era dentro, e la ringrazia.
Suor Arcangelo, quando l’altro giorno vedde l’involto di caviale che V. S. mandò, restò ingannata, credendosi che fossi certo cacio d’Olanda ch’è solita di mandarne, sì che se V. S. vuol ch’ella resti satisfatta, di grazia ne mandi un poco avanti che passi Carnevale.
Adesso ch’ho buona vena di cicalare non finirei così per fretta, se non dubitassi di venirle a fastidio o più presto causarle stracchezza; che perciò finisco con raccomandarmeli per mille volte, insieme con Suor Luisa e tutte di camera. Il Signore la feliciti sempre.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

43.

A Bellosguardo

San Matteo, 19 febbraio 1629 [1630]

Amatissimo Signor Padre.
So che V. S. è stata consapevole di tutti i miei disgusti, ché così mi fu dalla nostra Nora riferto; ed io non ho voluto dargliene parte per non essere sempre annunziatrice di cattive nuove; ma ben adesso gli dico che Suor Luisa, per la Dio grazia, sta assai bene, e Suor Arcangela e io stiamo benissimo: Suor Chiara ragionevolmente e le due vecchie all’ordinario: piaccia al Signore che anco V. S. stia con quella sanità ch’io desidero, ma non spero, mediante la crudezza del tempo; avrò caro d’averne la certezza, e intanto gli mando queste poche paste per far colazione la sera di queste vigilie.
Vincenzio c’inviò ieri sera un buon alberello di caviale, del quale Suor Arcangela ringrazia V. S., per esser questa sua e non mia porzione, perché non fa per me: io in quel cambio avrei più caro da far zuppa, e parecchi fichi secchi che fanno per il mio stomaco; la consuetudine degli altri anni mi fa forse troppo ardita; ma il sapere che a V. S. non è discara simil domanda, mi dà sicurtà.
L’oriolo che tante volte mandai in su e in giù, va adesso benissimo, essendo stato mio il difetto, che l’accomodavo un poco torto; lo mandai a V. S. in una zanetta coperta con uno sciugatoio, e non ho ricevuto né l’una né l’altro; se V. S. li ritrova per sorte in casa, avrò caro che gli rimandi. Non dirò altro di presente, se non che la saluto per parte di tutte le sopra nominate; e prego Dio benedetto che la conservi lungamente felice.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

44.

A Bellosguardo

San Matteo, 14 marzo 1629 [1630]

Amatissimo Signor Padre.
S’io fui sollecita a domandare a V. S., non vorrei anco esser troppo tarda a ringraziarla delle amorevolezze mandateci, le quali lunedì passato ci furono dalla cognata inviate, cioè un cartoccio di zibaldoni e tredici cantucci molto belli e buoni. Ce li andiamo godendo con riconoscimento dell’amorevolezza e prontezza di V. S. in satisfar sempre ad ogni nostro gusto. Ebbi anco alcuni pochi ritagli di drappi che m’imagino che venghino dalla Porzia.
Perché so che V. S. gusta di sentire ch’io non stia in ozio, gli dico che dalla madre Badessa (oltre alle mie solite faccende) sono assai esercitata, atteso che tutte le volte che gli occorre scrivere a persone di qualità, come Governatore, Operai e simili personaggi, impone a me tal carico, che veramente non è piccolo, mediante l’altre mie occupazioni, che non mi concedono quella quiete che perciò mi bisognerebbe; onde, per mia minor fatica e miglior indirizzo, avrei caro che V. S. mi provvedessi qualche libro di lettere familiari, sì come una volta mi promesse, e so che m’avrebbe osservato, se la dimenticanza non l’avesse impedito.
Vincenzio fu ier mattina da noi (forse per spazio d’un’ora) insieme con la cognata e sua madre, e da lei intesi che V. S. voleva andar a Roma, il che mi dette alquanto disturbo. Però m’acqueto, supponendo ch’Ella non si metterebbe in viaggio, se non si sentisse in stato di poterlo fare. Credo che avanti che ciò segua ci rivedremo, e perciò non replico altro. Se non che la saluto con tutto l’affetto insieme con tutte di camera, e prego il Signore che li conceda la sua santa grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

Se ha collari da imbiancare potrà mandarmeli, e si goda quest’uova fresche per nostro amore.

45.

A Bellosguardo

San Matteo, 6 aprile 1630

Amatissimo Signor Padre.
Speravo di potere in voce satisfare al debito che tengo con V. S. di darle le buone feste, e perciò ho differito fino a questo giorno, nel quale vedendo riuscir vane le mie speranze, vengo con questa a salutarla caramente, e rallegrarmi che siano passate felicemente le Sante feste di Pasqua, giovandomi di credere ch’Ella stia bene non solo corporalmente, ma anco spiritualmente, e ne ringrazio Dio benedetto. Solo mi da qualche disturbo il sentire che V. S. stia con tanta assiduità intorno ai suoi studii, perché temo che ciò non sia con pregiudizio della sua sanità. E non vorrei che, cercando d’immortalar la sua fama, accorciassi la sua vita; vita tanto riverita e tenuta tanto cara da noi suoi figli, e da me in particolare. Perché, sì come negli anni precedo gli altri, così anco ardisco di dire che li precedo e supero nell’amore inverso di V. S. Pregola pertanto che non s’affatichi di soverchio, acciò non causi danno a sé e afflizione e tormento a noi. Non dirò altro per non tediarla, se non che di cuore la saluto insieme con Suor Arcangela e con tutte le amiche, e prego il Signore che la conservi in sua grazia.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

46.

A Bellosguardo

14 aprile 1630

Amatissimo Signor Padre.
Non ho dubbio alcuno che V. S. non sia pronta a mandarmi molto volentieri quanto ier l’altro gli domandai; ma se per disgrazia la memoria non gli servissi, ho stimato necessario il tenergli ricordato il fiasco di vino, due ricotte e quell’altra cosa per dopo l’arrosto; non limone, o ramerino, come V. S. disse, ma cosa di fondamento secondo il mio gusto per domattina all’ora del desinare delle Monache. La staremo aspettando insieme con la cognata e Vincenzio, siccome ne promesse. E fra tanto pregandole da nostro Signore ogni desiderato contento, La salutiamo di cuore.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

47.

A Roma

San Matteo, 25 maggio 1630

Amatissimo Signor Padre.
Ho preso infinito contento, insieme con Suor Arcangela, di sentire che V. S. sta bene, il che più mi preme che altra cosa del mondo. Io sto ragionevolmente, ma non interamente bene, poiché ancora sono in purga mediante la mia oppilazione; e per questo e per le molte faccende che abbiamo in bottega in questo tempo non ho prima scritto a V. S. e alla signora Ambasciatrice. Mi perdoni la negligenza, e veda se l’inclusa sia a proposito; se no, ne aspetto la correzione. Suor Arcangela e tutte le altre stanno bene, eccetto Suor Violante che se ne sta con il suo solito flusso di corpo.
La madre Badessa saluta V. S. e le tien ricordato quanto in voce le disse: cioè che, se per sorte se li porgesse qualche occasione di procurar qualche elemosina per il nostro Monastero, faccia questa carità, d’affaticarsi per amor di Dio e nostro sollevamento; e io di più aggiungo che veramente par cosa stravagante il domandare persone così lontane, le quali, quando abbiano a far benefizio ad alcuno, lo vorranno fare ai loro vicini e compatrioti. Nondimeno io so cne V. S. sa, aggiustando il tempo, trovar delle occasioni da poter ottener l’intento suo; e perciò gli raccomando caldamente questo negozio, perché veramente siamo in estrema necessità, e se non fossi l’aiuto che aviamo di qualche elemosina, andremmo a risico di morirci di fame; ma sia pur sempre lodato il Signore, che con tutta la nostra povertà, non permette che patiamo d’altro che d’afflizione d’animo, per veder la nostra madre Badessa continuamente afflitta per questa causa; e io particolarmente molto gli compatisco, e vorrei poterla aiutare, portandoli affezione più che ordinaria. Le ricordo ancora le reliquie che gli domandai, e per non tediarla finisco salutandola, insieme con tutte affettuosamente. E prego nostro Signore che la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

48.

A Bellosguardo

San Matteo, 21 luglio 1630

Amatissimo Signor Padre.
Quando appunto andavo pensando di scrivere a V. S. una carta di lamentazioni per la sua lunga dimora, o tardanza in visitarmi, mi è comparsa la sua amorevolissima, la quale mi serra la bocca di maniera che non ho replica. Solamente me gli accuso per troppo timorosa o sospettosa, poi dubitavo che l’amore, che V. S. porta a quelli che gli sono presenti, fosse causa che si intiepidissi e diminuissi quello che porta a noi che gli siamo assenti. Conosco veramente che in questo mi dimostro d’animo vile e codardo, poiché con generosità dovrei persuadermi che, siccome io non cederei ad alcuno in questo particolare, cioè nell’amar lei, così all’incontro lei ami più di ciascun altro noi sue figliuole; ma credo che questo timore proceda da scarsezza di meriti; e questo basti per ora.
Ci dispiace il sentire la sua indisposizione, e veramente, per aver V. S. fatto viaggio nella stagione che siamo, non poteva esser altrimenti: anzi che mi stupivo, sentendo che V. S. andava ogni giorno in Firenze. La prego pertanto a starsene qualche giorno in riposo, né pigli fretta di venire da noi, perché ci è più cara la sua sanità che la sua vista.
Intanto veda se per sorte gli è restata una corona per portarmi, la quale vorrei mandare alla mia signora Ortensia, essendo un gran pezzo che non gli ho scritto, siccome anco ho mancato, non scrivendo prima a V. S., mediante l’esser anco stata sopraffatta da una estrema lassezza, e tale che non mi dava il cuore di mover la penna, per così dire. Ma da poi in qua ch’è alquanto cessato il caldo, sto benissimo, per grazia del Signor Iddio, il quale non lascio di continuamente pregare per la saluta e sanità di V. S., premendomi non meno la sua che la mia propria.
La ringraziamo del vino e frutte così a noi oltremodo gratissime, e perché serbavamo questi pochi marzapanetti (numero 12) per quando veniva da noi, adesso glieli mandiamo, acciò non indurischino: i biscottini saranno per la Virginia. Per fine la salutiamo insieme con la madre Badessa e tutte affettuosamente.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

49.

A Bellosguardo

4 settembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Per mia buona sorte mi è accaduto il poter in qualche parte supplire alla minore delle molte disgrazie che V. S. mi disse esserle accadute cioè d’esserseli guasto due barili d’aceto invece de’ quali io ne ho provvisti questi due fiaschi che gli mando, il quale in questi tempi ho avuto per grazia e mi par ragionevole; accetti V. S. la mia buona volontà desiderosa di poter, se fosse possibile, supplire e concorrere con gli affetti ad ogni suo bisogno. Suor Violante, e noi insieme, la ringrazia dei ranocchi e zatta, gustando non solamente del dono in sé, ma molto più della diligenza e sollecitudine di V. S.
Madonna ier mattina m’impose, ch’io dovessi domandare a V. S. se credeva che della elemosina avuta dal serenissimo Gran Duca si dovessi far ringraziamento, poiché, per avercela portata qui un lavoratore che sta al Barbadoro, non se ne fece ricevuta; io me lo scordai, e ora prego V. S. a darmene indizio con suo comodo, e intanto spero di sentire anco buon esito della supplica che si fece ier mattina. La saluto in nome di tutte, e prego nostro Signore che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

50.

A Firenze

San Matteo, 10 settembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Non detti riposta all’ultima sua, per non trattener troppo il suo servitore; adesso con più comodità, ringraziandola delle sue tante amorevolezze, gli dico, che in presentando le bellissime susine a Suor Violante ebbi gusto grandissimo, per veder l’allegrezza e gratitudine ch’ella mi dimostrò, si come anco Suor Luisa delle due pesche quali gli donai, perché queste più di tutti l’altri frutti gli gustano.
Ricevo per mortificazione il non esser sortito il negozio di Madonna, perché forse avevo troppo desiserio che, col mezzo e favore di V. S., ella ricevessi qualche benefizio: pazienza, staremo aspettando l’esito dell’altro di Roma.
Ier sera la Serenissima ci mandò a presentar una bella cervia, e qua si fece tanta allegrezza e tanto romore quando fu portata, che non credo tanto ne facessero i cacciatori quando la presero.
Adesso che comincia a rinfrescare, Suor Arcangela ed io, insieme con le nostre più care, facciamo disegno di star a lavorare nella mia cella che è molto capace; ma perché la finestra è assai alta, ha bisogno d’essere impannata acciò si possa veder un poco più lume. Io vorrei mandarla a V. S., cioè li sportelli, acciò me li accomodassi con panno incerato, che, quando sia vecchio, non credo che darà fastidio, ma prima avrò caro di sapere s’Ella si contenti di farmi questo servizio. Non dubito della sua amorevolezza; ma perché l’opera è piuttosto da legnaiuoli che da filosofi, ho qualche temenza. Dicami adunque liberamente l’animo suo, che io intanto con la madre Badessa e tutte le amiche la saluto di cuore, e prego Dio benedetto che la conservi nella sua grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

51.

A Bellosguardo

San Matteo, 18 ottobre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Sto con l’animo assai travagliato e sospeso, imaginandomi che V. S. si ritrovi molto disturbata mediante la repentina morte del suo povero lavoratore. Suppongo ch’Ella procurerà con ogni diligenza possibile di guardarsi dal pericolo, del che la prego caldamente; e anco credo che non gli manchino i rimedi e difensivi proporzionati alla presente necessità, onde non replicherò altro intorno a questo. Ma ben con ogni debita riverenza e confidenza filiale l’esorterò a procurar l’ottimo rimedio, qual è la grazia di Dio benedetto, col mezzo d’una vera contrizione e penitenza. Questa, senza dubbio, è la più efficace medicina, non solo per l’anima, ma per il corpo ancora: poiché, s’è tanto necessario per ovviare al male contagioso lo stare allegramente, qual maggiore allegrezza può provarsi in questa vita di quella che ci apporta una buona e serena coscienza?
Certo che quando possederemo questo tesoro non temeremo né pericoli né morte; e poiché il Signore giustamente ne gastiga con questi flagelli, cerchiamo noi, con l’aiuto suo, di star preparati per ricevere il colpo da quella potente mano, la quale avendoci cortesemente donato la presente vita, è padrona di privarcene come e quando gli piace.
Accetti V. S. queste poche parole proferite con uno svisceratissimo affetto, e anco resti consapevole della disposizione nella quale, per grazia del Signore, io mi ritrovo, cioè desiderosa di passarmene all’altra vita, poiché ogni giorno veggo più chiaro la vanità e miseria della presente: oltre che finirei d’offendere Iddio benedetto, e spererei di poter con più efficacia pregare per V. S. Non so se questo mio desiderio sia troppo interessato. Il Signore che vede il tutto, supplisca per sua misericordia ov’io manco per ignoranza, e a V. S. doni vera consolazione.
Noi qua siamo tutte sane del corpo, eccetto Suor Violante, la quale va a poco a poco consumandosi: ma ben siamo travagliate dalla penuria e povertà, non in maniera però che ne patiamo detrimento del corpo, con l’aiuto del Signore.
Avrei caro d’intendere se V. S. ha mai avuta risposta alcuna di Roma, circa la elemosina per noi domandata.
Il signor Corso mandò il peso di seta di libbre 15, del quale Suor Arcangela ed io aviamo avuta la nostra parte.
Scrivo a ore 7: imperò V. S. mi scuserà se farò degli errori, perché il giorno non ho un’ora di tempo che sia mia, poiché alle altre mie occupazioni s’aggiunge l’insegnare il canto fermo a quattro giovinette, e per ordine di Madonna ordinare l’offìzio del coro giorno per giorno: il che non m’è di poca fatica, per non aver cognizione alcuna della lingua latina. È ben vero che questi esercizi mi sono di molto gusto, se io non avessi anco necessità di lavorare; ma di tutto questo ne cavo un bene non piccolo, cioè il non stare in ozio un quarto d’ora mai mai. Eccetto che mi è necessario il dormire assai per causa della testa. Se V. S. m’insegnasse il segreto ch’usa per sé, che dorme così poco, l’avrei molto caro, perché finalmente sette ore di sonno ch’io mando a male, mi par pur troppo.
Non dico altro per non tediarla, se non che la saluto affettuosamente insieme con le solite amiche.
P.S. Il panierino che io gli mandai ultimamente con alcune paste non è mio, e perciò desidero che me lo rimandi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Il paniero, che io gli mandai ultimamente con alcune paste, non è mio, e perciò desidero che me lo rimandi.

52.

A Bellosguardo

28 ottobre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Non avevo alcun dubbio che V. S. non dovessi farmi la grazia domandatali circa la copia della lettera per il nuovo Arcivescovo, e con tutto che Ella dica di non aver fatto cosa buona, sarà nondimeno molto meglio di quello ch’io avessi mai potuto far da per me. La ringrazio infinitamente, e con questa occasione gli mando 6 pere cotogne quali ho provvisto, per aver inteso da lei che gli gustano e che non ne trovava, che veramente di simili frutti ne è gran carestia, per quanto intendo: con tutto ciò, se mi sarà osservata la promessa che mi è stata fatta, credo che gliene manderò qualcun’altra. Avrò caro d’intendere se Vincenzio sia poi andato a Prato: io avevo pensiero di scrivergli l’animo mio intorno a questo, esortandolo a non partirsi, o almeno a non lasciare la casa impedita; ché questa mi par veramente cosa strana, per gli accidenti che potrebbero occorrere; ma, dubitando di far poco frutto e molto scompiglio, ho lasciato di farlo: e tanto più che tengo speranza indubitabile che Dio benedetto sia per supplire con la sua provvidenza ove mancano gli uomini, non voglio dire per poca affezione, ma per poca intelligenza e considerazione. Saluto V. S. con tutto l’affetto insieme con le amiche, e l’accompagno sempre con le mie povere orazioni.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

53.

A Bellosguardo

San Matteo, giorno dei morti 1630 [2 novembre]

Amatissimo Signor Padre.
So che V. S. sa meglio di me che le tribolazioni sono la pietra del paragone ove si fa prova della finezza dell’amor di Dio. Sì che, tanto quanto le piglieremo pazientemente dalla sua mano, tanto potremo prometterci di posseder questo tesoro ove consiste ogni nostro bene.
La prego a non pigliar il coltello di questi disturbi e contrarietà per il taglio, acciò da quello non resti offesa; ma piuttosto prendendolo a dritto, se ne serva per tagliare con quello tutte le imperfezioni che per avventura conoscerà in sé stessa, acciò levati gl’impedimenti, siccome con vista di Linceo ha penetrati i cieli; così, penetrando anco le cose più basse arrivi a conoscere la vanità e fallacia di tutte queste cose terrene: vedendo e toccando con mano che né amor di figlio, né piaceri, onori o ricchezze ci possono dar vera contentezza, essendo cose per sé stesse troppo istabili; ma che solo in Dio benedetto, come in ultimo nostro fine, possiamo trovar vera quiete. Oh che gaudio sarà il nostro, quando, squarciato questo fragil velo che ne impedisce, a faccia a faccia godremo questo gran Dio? Affatichiamoci pure questi pochi giorni di vita che ci restano, per guadagnare un bene così grande e perpetuo. Ove parmi, carissimo signor Padre, che V. S. s’incammini per diritta strada, mentre si vale delle occasioni che se gli porgono, e particolarmente nel far di continuo benefizi a persone che la ricompensano d’ingratitudine, azione che veramente che, quanto ha più del difficile tanto è più perfetta e virtuosa: anzi che questa più che altra virtù mi par che ci renda simili all’istesso Dio, poiché in noi stessi esperimentiamo, che, mentre tutto il giorno offendiamo Sua Divina Maestà, egli all’incontro va pur facendone infiniti benefizi: e se pur talvolta ci gastiga, fa questo per maggior nostro bene, a guisa di buon padre che per correggere il figlio prende la sferza. Siccome par che segua di presente nella nostra povera città, acciocché almeno, mediante il timore del soprastante pericolo, ci emendiamo.
Non so se V. S. avrà intesa la morte di Matteo Ninci fratello della nostra Suor Maria Teodora, il quale, per quanto ne scrive messer Alessandro suo fratello, non ha avuto male più che 3 o 4 giorni, e ha fatto questo passaggio molto in grazia di Dio, per quanto si è potuto comprendere. Gli altri credo che siano sani, ma ben assai travagliati per aver fatta la lor casa una gran perdita. Credo che V. S. ne sentirà disgusto, come lo sentiamo noi, perché era veramente giovane di grandissimo garbo e molto amorevole.
Ma non voglio però darle solamente le nuove cattive, ma dirle anco che la lettera ch’io scrissi per parte di Madonna a Monsignor Arcivescovo, fu da lui molto gradita, e se n’ebbe cortese risposta con offerta d’ogni suo favore e aiuto.
Similmente due suppliche che feci la settimana passata per la Serenissima e per Madama [la vedova Granduchessa madre] hanno avuto buon esito, poiché da Madama avemmo la mattina d’Ognissanti elemosina di 300 pani, e ordine di mandar a pigliar un moggio di grano, con il quale s’è alleggerito l’affanno di Madonna, perché non aveva da seminare.
V. S. mi perdoni se troppo l’infastidisco con tanto cicalare perché, oltre ch’Ella m’inanimisce col darmi indizio che gli siano grate le mie lettere, io fo conto ch’ella sia il mio Devoto (per parlare alla nostra usanza) con il quale io comunico tutti i miei pensieri, e partecipo de’ miei gusti e disgusti; e, trovandolo sempre prontissimo a sovvenirmi gli domando, non tutti i miei bisogni, perché sariano troppi, ma sì bene il più necessario di presente: perché, venendo il freddo, mi converrà intirizzirmi, s’egli non mi soccorre mandandomi un coltrone per tener addosso, poiché quello ch’io tengo non è mio, e la persona se ne vuol servire com’è dovere. Quello che avemmo da V. S. insieme con il panno, lo lascio a Suor Arcangela, la quale vuole star sola a dormire, e io l’ho caro. Ma resto con una sargia sola, e se aspetto di guadagnar da comprarlo, non l’avrò né manco quest’altro inverno: sì che io lo domando in carità a questo mio Devoto tanto affezionato, il quale so ben io che non potrà comportare ch’io patisca: e piaccia al Signore (s’è per il meglio) di conservarmelo ancora lungo tempo, perché, dopo di lui, non mi resta bene alcuno nel mondo. Ma è pur gran cosa ch’io non sia buona per rendergli il contraccambio in cosa alcuna! Procurerò almeno, anzi al più, d’importunar tanto Dio benedetto e la Madonna Santissima ch’egli si conduca al Paradiso; e questa sarà la maggior ricompensa ch’io possa darle per tutti i beni che mi ha fatti e fa continuamente.
Gli mando due vasetti di lattovaro preservativo dalla peste. Quello che non v’è scritto sopra, è composto con fichi secchi, noci, ruta e sale, unito il tutto con tanto mele che basti. Se ne piglia la mattina a digiuno quanto una noce, con bervi dietro un poco di greco o vino buono, e dicono ch’è esperimentato per difensivo mirabile. È ben vero che ci è riuscito troppo cotto, perché non avvertimmo alla condizione dei fichi secchi, ch’è d’assodare. Anco di quell’altro se ne piglia un boccone nell’istessa maniera, ma è un poco più ostico. Se vorrà usare o dell’uno o dell’altro, procureremo di farlo con più perfezione. V. S. mi dice nella sua lettera di mandarmi l’occhiale; m’immagino che di poi se lo scordassi, e perciò gliene ricordo, insieme con il canestro nel quale mandai le cotogne, acciò possa mandargliene dell’altre, facendo pur diligenza di trovarne. Con che, per fine, me li raccomando con tutto il cuore insieme con le solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

54.

A Bellosguardo

8 novembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Desidero di sapere se V. S. sta bene, e perciò mando costì, con occasione anco di mandarli un poco d’acqua della madre Suor Orsola di Pistoja. Io l’ho ottenuta per grazia, già che, per aver proibizione le monache di darne, chi ne ha la tiene come reliquia. Prego V. S. che la pigli con gran fede e devozione come preservativo efficacissimo mandatoci da Nostro Signore, il quale si serve di soggetti debolissimi per dimostrar maggiormente la sua grandezza e potenza. Siccome apparisce di presente in questa benedetta Madre, che di una povera servigiale ch’era, e senza saper pur anco leggere, si è ridotta a governare il suo monasterio tanti anni, e ridurlo così ordinato quanto è adesso.
Io tengo 4 o 5 lettere di suo e altri scritti di molto profitto, e ho altre relazioni di lei da persone degne di fede che danno manifesto indizio della sua gran perfezione e bontà. Prego V. S. pertanto ad aver fede in questo rimedio, perché se tanta ne dimostra nelle orazioni mie che sono così miserabili, molto maggiormente può averla ad un’anima tanto santa, assicurandola che per i suoi meriti scamperà ogni pericolo. Con che a lei affettuosamente mi raccomando e sto con ansietà di saper nuove di lei.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

55.

A Bellosguardo

San Matteo, 26 novembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Domenica mattina a ore 14 passò a miglior vita la nostra suor Violante; la quale per aver sofferta così lunga e fastidiosa infermità con molta pazienza e conformità con il volere di S. D. M., possiamo piamente sperare che sia andata in luogo di salute; e veramente da un mese in qua, ella era ridotta a tanta miseria, non potendosi né anco voltar in letto da per sé, e pigliando con estrema pena pochissimo cibo, che pareva esserle quasi desiderabile la morte come ultimo termine di tutti i molti travagli: volevo prima farne consapevole V. S., ma non mi è stato possibile il trovar tanto tempo, del quale ho scarsezza anco adesso, per scrivere; onde non dirò altro se non che siamo qua tutte sane per grazia di Dio; e desidero di sapere se il simile segue di lei, e della sua poca compagnia e particolarmente del nostro Galileino. Devo anco ringraziarla del coltrone mandatomi, il quale è stato pur troppo buono per me: prego il Signore che gli renda il merito di tutto il bene che mi ha fatto e fa continuamente, con aumentarle la sua santa grazia in questa vita e concederle la gloria del Paradiso nell’altra: e qui a Lei di tutto cuore mi raccomando insieme con Suor Arcangela e Suor Luisa.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

56.

A Bellosguardo

4 dicembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
La venuta di madonna Piera [succeduta alla Porzia nelle funzioni di governante di Galileo] mi fu di grandissima consolazione, poiché da lei ebbi certezza della sanità di V. S.; e in conoscer ch’ella sia donna assai prudente e discreta, trovo quella quiete d’animo che per altra non troverei; mentre considero V. S. in tempo tanto pericoloso priva d’ogni altra più cara compagnia e assistenza. Onde perciò io giorno e notte sto con il pensiero fisso in lei, e molte volte mi dolgo della sua lontananza che impedisce il poter giornalmente sentirne nuove, si come io grandemente desidererei.
Spero nondimeno che Dio benedetto, per sua misericordia, la deva liberare da ogni sinistro accidente, e di tanto con tutto il cuore lo prego. E chi sa se forse più copiosa compagnia gli fosse occasione di maggior pericolo? So ben questo, che quanto a noi succede, tutto è con particolar previdenza del Signore, e per maggior nostro bene: e con questo m’acquieto.
Questa sera abbiamo avuto comandamento da Monsignor Arcivescovo di metter in nota tutti i più stretti nostri parenti, e domani mandargliela, volendo Sua Signoria Illustrissima procurar che tutti concorrino a sovvenire il nostro Monasterio, tanto che campiamo quest’invernata così penuriosa. Io ho domandato e ottenuto licenza dalla madre Badessa di poterne far consapevole V. S., acciò non le sia improvvisa tal cosa. Non posso qui dir altro se non raccomandar il negozio al Signor Iddio, e nel resto rimettermi alla prudenza di V. S. Mi dorrebbe assai s’Ella restassi aggravata, ma dall’altra banda so ch’io non posso con buona coscienza cercar d’impedire l’aiuto e sollevamento di questa povera casa veramente desolata. Questa sola replica (per esser assai universale e nota) gli dico che potrà far a Monsignor Arcivescovo: cioè che sarebbe cosa molto utile e conveniente il cavar di mano a molti parenti di nostre monache dugento scudi che tengono delle loro sopradoti, e non solamente i dugento scudi dei capitali di ciascuna, ma molti ancora degl’interessi che gli devono da più anni. Tra i quali, ci s’intende, anco messer Benedetto Landucci debitore a Suor Chiara sua figliuola, e dubito che V. S. per essergli mallevadore, o per lo manco Vincenzio nostro, non deva esserne pagatore se non si piglia qualche termine. Con questo assegnamento, credo che s’andrebbe aiutando comodamente il Convento, e molto più di quello che potranno far i parenti, poiché sono pochi quelli abbino facoltà di poterlo fare. L’intenzione de’ superiori è bonissima, e ci aiutano quanto è possibile, ma è troppo grande il nostro bisogno. Io per me non invidio altro in questo mondo che i Padri Cappuccini, che vivono lontani da tante sollecitudini e ansietà, quante a noi monache ci conviene aver necessariamente, convenendoci non solo supplire agli offizi per il Convento e dar ogni anno e grano e danari, ma anco pensar a molte nostre necessità particolari con il nostro guadagno, il quale è così scarso che si fanno pochi rilievi. E s’io avessi a dir il vero, credo che sia più la perdita, mentre, vegliando fino a sette ore di notte per lavorare, pregiudichiamo alla sanità, e consumiamo l’olio ch’è tanto caro.
Sentendo oggi da Madonna Piera che V. S. diceva che domandassimo se avevamo bisogno di qualcosa, mi lasciai calare a domandargli qualche quattrino per pagare alcuni miei debitelli che mi danno pensiero. Che nel resto se aviamo tanto che ci possiamo sostentare, è pur assai; che questo per grazia di Dio non ci manca.
Del venirci a vedere sento che V. S. non ne tratta, e io non la importuno, perché ad ogni modo ci sarebbe poca sodisfazione, non potendosi parlare liberamente per ora. Ho avuto gran gusto di sentire che i morselletti di cedrato gli siano piaciuti; quelli fatti a forma di cotognato erano con un cedro che con molta istanza avevo provvisto; e d’intenzione di Suor Luisa confettai l’agro insieme la parte più dura di esso cedrato, chiamandola confezione di tutto cedro; gli altri gli feci del suo, al modo solito; ma perché non so quali più gli sieno gustati, metterò in opera quest’altro cedrato, se ella non me lo dice, desiderando di accomodarlo con ogni esquisitezza acciò più gli piaccia. La rassegna che desidero che V. S. faccia per la nostra bottega, di scatole, ampolle e simili cose, l’accennai alla sua serva onde non replicherò altro, se non che vi si aggiunge anco due piatti bianchi che ha di nostro. Con che gli do la buona notte, essendo 9 ore della quarta notte di dicembre 1630.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Quando V. S. sarà stata da Monsignor Arcivescovo, mi sarà grato sentir ragguaglio del seguito.

57.

A Bellosguardo

San Matteo, 15 dicembre 1630

Amatissimo Signor Padre.
Veggo che questa tramontana così gagliarda non permette che V. S. possi esser da noi così presto come m’aveva promesso; anzi dubito che non pregiudichi alla sua sanità; che perciò mando a vederla, e mandogli i cedri accomodati, cioè i morselletti fatti con la scorza senza l’agro di quel cedro più bello.
L’altre fantasie sono con l’agro ancora degli altri più piccoli: ma il meglio di tutti credo che sia quel tondo più grande, perché vi ho messo il zucchero più a misura e dovizia.
Fo isegno di far un poco di ceppo alla Virginia e a Madonna Piera. Avrò caro che V. S. ce la mandi avanti le feste, acciò possa dargliene; e perché vorrei anco far un poca di burla a Suor Luisa, vorrei che V. S. concorressi anco lei, vedendo se per sorte avessi in casa tanta roba che facessi una portiera all’uscio della sua cella; ossia cuoio o panno di colore, non mi darebbe fastidio: la lunghezza sarebbe tre braccia e la larghezza poco meno di due, e io c’aggiugnerò alcune bagattelle per farla ridere; come sarebbe arcolai da incannare, una filza di solfanelli per accendere il lume la notte, stoppino, aghetti e simili coserelle, più per darle una volta segno di gratitudine per tanti obblighi che gli tengo, che per altro. Se V. S. ha in casa da farmi il servizio, l’avrò caro, se no, non cerchi già averla di fuora, acciò non si mettessi in qualche pericolo, desiderando io troppo ch’Ella si conservi, e perciò prego a riguardarsi quanto sia possibile.
Del negozio di Monsignor Arcivescovo non ho inteso altro per ancora; avrò caro di sapere se V. S. è stata chiamata. Con che me le raccomando di cuore insieme con Suor Arcangela e le solite amiche. Nostro Signore la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e

1 6 3 1

L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

58.

A Bellosguardo

14 gennaio 1630 [1631]

Amatissimo Signor Padre.
Speravo di riveder V. S. avanti che si dessi principio alla quarantena; visto che non m’è sortito, desidero di sapere almeno come stia di sanità di corpo e di quiete d’animo; che quanto alle altre cose necessarie per il suo vivere, mi persuado ch’Ella stia comodamente per averne fatto provvisione, o almeno con aver largità di poter rompere clausura tanto che vadia alla busca, si come ha fatto per il passato, il che mi sarà grato d’intendere, che per altro non credo ch’Ella si curi d’allontanarsi dal suo caro tugurio, particolarmente in questa stagione. Piaccia a Dio benedetto che vaglino queste tante diligenze per conservazione universale di tutti, ma particolarmente per V. S., sì come spero che seguirà con l’aiuto divino: il quale non manca a quelli che fermamente in esso confidano; sì come è riuscito a noi, poiché il nostro Signore ci ha provviste in questo tempo con una buon’elemosina, cioè di dugento quattro scudi, cinque lire e quattro crazie, dispensatici, credo io, dai Signori della sanità per comandamento delle Altezze Loro Serenissime, le quali si dimostrano molto benevole al nostro Monastero, tanto che viveremo questo mese senza tanta afflizione della nostra povera madre Badessa, la quale credo ch’abbia ottenuto questo bene con le tante sue orazioni, e con supplicare e raccomandarci a diverse persone.
Del cedrato che V. S. mi mandò ultimamente, ne ho fatto questo girello che gli mando: l’altro in forma di mandorla è di scorza d’arancio, acciò senta se gli gustano. La pera cotogna sarebbe stata più bella alcuni giorni indietro, ma non ebbi comodità di mandarla. Mi manca la carta, onde non dirò altro, se non che la saluto di cuore insieme con le solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

59.

A Bellosguardo

San Matteo, 18 febbraio 1630 [1631]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Il disgusto che ha sentito V. S. della mia indisposizione dovrà restar annullato, mentre di presente li dico ch’io sto ragionevolmente bene circa il male sopraggiuntomi in questi giorni passati; ché, quanto alla mia antica oppilazione, credo che farà bisogno d’un’efficace cura a migliore stagione. Intanto mi andrò trattenendo con buon governo, sì com’Ella m’esorta. È ben vero ch’io desidererei che del consiglio che porge a me si valessi anche per sé stessa, non immergendosi tanto ne’ suoi studi che pregiudicassi troppo notabilmente alla sua sanità; che se il povero corpo serve come istrumento proporzionato allo spirito nell’intender e investigare novità con sua gran fatica, è ben dovere che se li conceda necessaria quiete, altrimenti egli si sconcerterà di maniera che renderà anco l’intelletto inabile a gustar quel cibo che prese con troppa avidità.
Non ringrazierò V. S. de’ due scudi e altre amorevolezze mandatemi, ma sì bene della prontezza e liberalità con la quale ella si dimostra tanto e più desiderosa di sovvenirmi, quanto io bisognosa d’esser sovvenuta.
Godo di sentire il buon essere del nostro Galileino, e in questa quaresima, quando sarà miglior tempo, avrò caro di rivederlo. Ho anche caro d’intender la credenza che ha che Vincenzio stia bene, ma non mi gusta già il mezzo con il quale viene in questa cognizione, cioè con il non saperne nulla; ma questi sono frutti dell’ingrato mondo. Resto confusa sentendo ch’ella conservi le mie lettere, e dubito che il grande affetto che mi porta gliele dimostri più compite di quello che sono. Ma sia pur come si voglia, a me basta ch’Ella se ne sodisfaccia. Con che gli dico a Dio, il quale sia sempire con lei, e li fo le solite raccomandazioni.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

60.

A Bellosguardo

San Matteo, 9 marzo 1630 [1631]

Amatissimo Signor Padre.
Perché credo infallibilmente che V. S. averà ricevuta l’ultima mia lettera che scrissi molti giorni sono, non replicherò altro del contenuto di essa, se non che gli significherò di nuovo il mio bene stare, e similmente di tutte le amiche, per grazia di Dio. È ben vero che questi tanti ritiramenti e quarantene mi danno, o più presto hanno dato, per la fantasia, mentre m’hanno vietato il poter aver spesse nuove di V. S. Credo pure che adesso dovranno terminare, e per conseguenza che potremo presto rivederla. Intanto desidero di sapere s’Ella sta bene, ch’è quello che più d’ogni altra cosa mi preme, e anco se ha nuove di Vincenzio e della Cognata.
Rimando due fiaschi vuoti, e mandogli questi pochi mostacciuoli che credo non gli spiaceranno, purché non siano, come dubito, cotti un poco più di quello che richieggono i suoi denti.
Questo tempo così piovoso non mi ha concesso il fargli un poco di conserva di fiori di rannerino, com’avevo disegnato, ma subito che potrò aver i fiori asciutti, la farò e gliela manderò.
Intanto a lei di cuore mi raccomando insieme con Suor Arcangela e le solite. Prego Nostro Signore che la conservi in sua santa grazia, e desidero che dia un bacio di più a Galileino per mio amore.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

61.

A Bellosguardo

San Matteo, 11 marzo 1630 [1631]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
La lettera di V. S.’ m’ha apportato molto disgusto per più ragioni, e prima perché sento la nuova della morte dello zio Michelagnolo, del quale mi duole assai, non solo per la perdita di lui, ma anco per l’aggravio che perciò ne viene a lei, ché veramente questa non credo che sarà la più leggiera fra le altre sue poche sodisfazioni, o per dir meglio tribolazioni.
Ma, poiché Dio benedetto si dimostra prodigo con V. S. di lunghezza di vita e di facoltà, più che con suo fratello e sorelle, è conveniente ch’Ella spenda l’una e l’altre conforme al beneplacito di sua divina Maestà, che n’è Padrone.
Così avess’Ella qualche ripiego per Vincenzio, acciò con guadagnar egli qualcosa, a V. S. s’alleggerissino i fastidi e le spese, e a lui si tagliassino l’occasioni del potersi lamentare.
Di grazia, signor padre, poiché V. S. è nata e conservata nel mondo per benefizio di tanti, procuri che fra questi il primo sia suo figlio; parlo nel trovargli avviamento. Ché, quanto al resto, io so che non ci bisognano raccomandazioni, e di questo particolare discorro solo per interesse di V. S., per il desiderio ch’ho di sentire ch’Ella stia in pace e unione con il medesimo Vincenzio e sua moglie, e viversene nella sua quiete. Il che non dubito che sortirà s’Ella gli farà ancora questo benefizio, molto desiderato da lui, per quanto ho potuto comprendere tutte le volte che gli ho parlato.
Sento anco grandissimo disgusto di non poterle dare quella sodisfazione che vorrei circa il tener qua in serbo la Virginia, alla quale sono affezionata, per esser ella stata di sollevamento e passatempo a V. S. Giacché i nostri superiori si sono dichiarati non voler in modo alcuno che pigliamo fanciulle né per monache né per inserbo, perché, essendo tale la povertà del convento quale V. S. sa, si rendono difficili a provveder da vivere per noi che già siamo qua, non che voglino aggiungercene delle altre. Essendo adunque questa ragione molto probabile, e il comandamento universale per parenti e altri, io non ardirei di ricercar da Madonna o da altri una tal cosa. Assicurisi bene che provo una pena intensa, mentre mi trovo priva di poter in questo poco sodisfarla, ma finalmente non ci veggo verso.
Dispiacemi anco grandemente in sentire ch’Ella si trovi con poca sanità; e se mi fossi lecito, di molta buona voglia piglierei sopra di me i suoi dolori. Ma poiché non è possibile, non mano almeno dell’orazioni, nelle quali la preferisco a me stessa. Così piaccia al Signore d’esaudirla.
Io sto tanto bene di sanità che vo facendo quaresima, con speranza di condurla fino al fine, sì che V. S. non si pigli pensiero di mandarmi cose da carnevale. La ringrazio di quelle già mandatemi, e per fine di tutto cuore me le raccomando insieme con Suor Arcangela e le amiche.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Se V. S. non ha a chi dispensar la carne che gli avanza, io avrò bene a chi distribuirla, essendo stata molto gradita quella che mi ha mandata. Sicché, se avesse occasione, potrebbe talvolta mandarmene.

62.

A Bellosguardo

San Matteo, 12 marzo 1630 [1631]

Amatissimo Signor Padre.
Ringrazio V. S. dell’amorevolezze a noi gratissime, poiché quest’anno così penurioso è causa che passiamo la presente quaresima assai magramente, sebbene, quando si ha la sanità, l’altre cose si tollerano facilmente.
La venuta di V. S. e di Galileo piccino è da noi grandemente desiderata, quanto prima sia possibile. Intanto mi rallegro di sentire ch’Ella stia assai bene, sì come di nuovo mi dolgo dell’impedimento ch’ho nel poter giovare alla Virginia e di sodisfare a V. S.: spero nondimeno che Dio benedetto la provvederà in qualche altra maniera.
Se Vincenzio ha ancora V. S. in sospetto, a Lei sarà d’utilità, giacché non si pigliano danari da persone che siano appestate; e così egli, che n’ha tanto timore, non ne domanderà a V. S. alla quale di cuore mi raccomando. N. S. la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

63.

A Bellosguardo

San Matteo, 13 marzo 1630 [1631]

Amatissimo Signor Padre.
Non resto maravigliata del cordialissimo affetto ch’Ella mi porta, già che troppi sono gl’indizi e contrasegni che ne tengo; ma ben stupisco che l’amore arrivi tant’oltre che la faccia indovinare, con mandarmi V. S. una vivanda più conforme al gusto e sanità mia di qualsivoglia altra quadragesimale. La ringrazio pertanto infinitamente, e mi preparo a goderla con gusto raddoppiato, per esser accomodata da quelle mani tanto da me amate e riverite. E già che mi ordina ch’io domandi altro di mio gusto, io domanderei qualcosa per far colazione la sera, e nel resto, di grazia, V. S. non si pigli altro pensiero; ché quando mi bisognerà qualcosa, mi lascierò intendere, sapendo che posso farlo con ogni sicurtà.
Non vedo l’ora di rivederla insieme con il bambino, purché non sia in giorno di festa ché non ci saria sodisfazione.
Lascio giudicar a lei se mi sarà di consolazione la grazia che V. S. pretende d’ottenere da Monsignor Arcivescovo; ma non posso in questo punto risolverla. Sarò con la madre Badessa, e quanto prima gli significherò quel che ne avrò potuto ritrarre. Intanto finisco, senza finir mai di raccomandarmele. E prego nostro Signore che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

64.

A Bellosguardo

San Matteo, 17 marzo 1630 [1631]

Amatissimo Signor Padre.
La risposta che riporto della madre Badessa, circa il servizio del quale mi scrisse V. S. l’altro giorno, è che senza dubbio sarà di molto gusto a tutte universalmente il procurar la grazia da Monsignor Arcivescovo, non solo per i padri, ma per i fratelli ancora; ma che giudica esser conveniente l’indugiar a domandarla dopo Pasqua. Intanto V. S. sarà da noi e potrà in voce trattarne con lei, che veramente è persona molto prudente e discreta, ma assai timida.
Rimando i collari imbiancati che, per essere tanto logori, non saranno accomodati con quella esquisitezza che avrei desiderato: se altro gli fa bisogno si ricordi che non ho il maggior gusto nel mondo, quanto che di impiegarmi in cose di suo servizio, siccome all’incontro mi pare che lei non l’abbia in altro se non nel compiacermi e sodisfare a tutte le mie domande, giacché con tanta sollecitudine provvede ad ogni mio bisogno.
La ringrazio di tutte in generale, e in particolare delle ultime che per mano del nostro fattore ho ricevute, che furno due cartocci, uno di mandorle, l’altro di zibaldoni, e sei cantucci. Il tutto ci goderemo in grazia sua. E io gli fo un regalo da poveretta, cioè questo barattolo di conserva, che sarà buona per confortar la testa: se bene miglior conforto credo che sarebbe l’affaticarla meno con lo studio e scrivere. Le bagattelle del panierino saranno per la Virginia. Per carestia di tempo non dirò altro. Se non che io in nome delle solite la saluto affettuosamente e prego nostro Signore che le conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

65.

A Bellosguardo

San Matteo, 11 aprile 1631

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Le faccende della bottega mi hanno tenuta ed ancora mi tengono così occupata, che non mi permettono il poter dir altro per ora, se non che mi accuso della involontaria dilazione e tardanza in mandarla a visitare: adesso che mi è permesso, mando per intender se ella sta bene e se ha nuove di Vincenzio e della cognata, cioè se crede che questa Santissima Pasqua devino esser da Lei, il che credo che a V. S. sarebbe di molto gusto, e a me ancora per amor suo. Le paste che gli mando son poche; con tutto ciò credo che gli basteranno, già che non ha con chi parteciparle se non forse con Galileino, il quale si potrà trattenere con le pine che gli mandiamo, che sono tutta la porzione che ci ha distribuita la nostra ortolana, a Suor Arcangela e a me.
Non rimando la pignattina degli spinaci perché non è vuota del tutto; ché per essere stati così buoni ne ho fatto a miccino. La saluto per parte di tutte le solite, e prego Dio benedetto che la feliciti sempre.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

66.

A Bellosguardo

San Matteo, 22 aprile 1631

Amatissimo Signor Padre.
Se la sua lettera m’avessi assicurata che il suo male non è di gran considerazione, certo avrei avuto assai maggior disgusto di quello che provo al presente: e sentendo ch’ella va più presto migliorando, prendo speranza di doverla in breve rivedere del tutto sana, sì come mi promette. Da Vincenzio ricevemmo due serque d’uova e mezzo agnello, e la ringraziamo, siccome, e molto più, delle quattro piastre le quali giungono in tempo di gran necessità. La Piera fa istanza di partire, perciò mi riserbo a scrivere altra volta più a lungo. Intanto a lei di tutto cuore mi raccomando insieme con le solite. Nostro Signore sia sempre con lei.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

67.

A Bellosguardo

San Matteo, 25 aprile 1631

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Perché dalla Piera intesi l’altro giorno che V. S. si ritrovava grandemente svogliata e senza appetito di mangiare, sono andata investigando quello che io avessi potuto mandarle che fossi buono per fargli recuperare il gusto; e perché per questo effetto ho sentito commendar dai medici la Oxilacchara, ho fatta questa poca che gli mando acciò ne faccia l’esperienza, essendo cosa che non dovrà nocerli: gl’ingredienti non sono altro, zucchero, vino di melagrani forti, e un poco di aceto. È ben vero che la cottura mi è riuscita un poco più stretta del dovere, ma V. S. potrà pigliarne due o tre cucchiaiate per mattina, e per mitigare la frigidità sua, aggiungervi un poca d’acqua di cannella, della quale, se non ne ha più, gliene manderò, purché mi rimandi il fiaschetto ove altra volta glien’ ho mandata. I morselletti sono di tutto il cedro che mi mandò, e credo che sian boni; e se altro sapessi indovinare che gli potesse gustare, non lascerei di fare ogni diligenza per provederlo, non solamente per dar gusto a Lei, ma anco a me stessa; giacché impiegandomi in suo servizio godo estremamente. La prego, se gli occorre qualcosa, a non privarmi di questo contento e anco a significarmi come stia di presente: con che, pregandole da Nostro Signore ogni bene, me le raccomando con tutto l’affetto insieme con l’amiche.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

68.

A Bellosguardo

San Matteo, 18 maggio 1631

Amatissimo Signor Padre.
Per quanto ho potuto intendere, il prete di Monteripaldi non ha giurisdizione sopra la villa della signora Dianora Landi se non in un campo solo. Intendo bene che su la casa vi è sodata la dote d’una cappella della chiesa di Santa Maria del Fiore, e che per questa causa la suddetta signora Dianora si trova in piato. V. S. potrà dall’apportatrice di questa, ch’è donna assai accorta e ha conoscenza quasi in tutto Firenze, intender chi sia quello che agiti la causa, già ch’essa lo conosce, e da esso aver poi informazione del negozio. Ho anco inteso che il luogo del Mannelli non è ancora allogato, ma che si tratta bene d’affittarlo. Questo è un luogo molto bello, e dicono che possiede la miglior aria di questo paese. Non credo che a V. S. mancherà entratura per tentar se potessi riuscir quanto lei ed io molto desideriamo; e da questa medesima donna potrà forse aver qualche indirizzo. Avevo accettato l’aceto per l’oximele perché il nostro non mi pareva di quella bontà che avrei desiderato; giacché V. S. si è compiaciuta di mandarmi il vino in cambio, io ne la ringrazio e sto aspettando di intendere se Ella sarà sodisfatta della nostra manifattura, e sarà quando si servirà altre volte di noi, che tanto mi vien detto da Suor Luisa e altre mie compagne in bottega, le quali insieme con Suor Arcangiola la salutano affettuosamente. E io da Nostro Signore gli prego ogni vera felicità.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

69.

A Bellosguardo

San Matteo, 29 maggio 1631

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Desidero in estremo col mezzo di V. S. di dar segno di gratitudine e riconoscimento a’ tanti obblighi che tengo con Suor Luisa, adesso che mi si porge buona occasione; poiché, ritrovandosi Ella in necessità di cercar in prestito la somma di ventiquattro scudi fino all’ultimo di Luglio, io vorrei tener grazia che V. S. gli facesse Lei questo servizio, se gli sia possibile, come credo. E se è vero, come so che è verissimo, che V. S. desideri di darmi ogni sodisfazione e gusto, si assicuri che questo sarà de’ più grandi che possa darmi: e la persona è tale che non dubito che corrisponderà pienamente, più presto avanti che dopo il prescritto termine di due mesi, avendo l’assegnamento sicuro di sua entrata; che veramente, se fossi altrimenti, io non cercherei di metter V. S. in qualche intrigo, come per l’addietro è seguito con mio grandissimo disgusto. Non replicherò altro, supponendo che sia superfluo l’estendermi in più lunghe preghiere con persona la quale più desidera di farmi benefizio che non desidero io di riceverlo; solo starò aspettando di esser pienamente sodisfatta. Intanto gli dico che ho sentito gusto particolare che sia caduta l’elezione dell’Arcivescovo [di Firenze] nella persona di Monsignor Rinuccini per l’interesse di V. S. e nostro ancora, come a suo tempo discorreremo.
Sto in dubbio se il primo e il secondo oximele che gli mandai sia stato di sua sodisfazione, già che non ne ha detto niente: e perché V. S. non ha per ancora mandato l’aloe e rabarbaro per far le pillole papaline; gli mando due prese delle nostre, delle quali già altre volte ne ha prese, con riserbo di fargliene ogni volta che vorrà.
I cedrati sono bellissimi e io insieme con Suor Luisa procurerò di far anco buoni i morselletti, acciocché a chi ha donato gli venga volontà di donarne degli altri. Ringrazio intanto V. S. sì di questi come anco dei vasi di cristallo, che mi sono stati gratissimi; e pregandole da Nostro Signore ogni vero bene, me le raccomando insieme con le solite, e particolarmente Suor Arcangiola, la quale se ne sta debolmente.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

70.

A Bellosguardo

San Matteo, 4 giugno 1631

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Da Suor Luisa mi vien imposto ch’io deva, per sua parte, render a V. S. quelle grazie ch’io posso maggiori, per il comodo e servizio che ha da Lei ricevuto con tanta prontezza e cortesia; ma io che per far questo mi conosco al tutto inabile, me la passerò con silenzio, persuadendomi che a V. S. sarà di maggior gusto il saper ch’io mi conosco, e me le confesso obbligata per una, quasi infinita, moltitudine di benefizi ottenuti da lei: e che tutto il mio desiderio è rivolto e tende solo a non essergliene ingrata: sebben veramente altro indizio di gratitudine non possa darle che di buona volontà: è ben vero che quest’ultima grazia fattami, secondo il mio parere, supera le preteriori, già che V. S. con questo mi dà segno di esser così pronta a beneficiarmi, che non solo per me stessa, ma anco per le persone alle quali io sono affezionata ed obbligata, si dimostra liberale ed amorevole, onde io la ricevo per grazia duplicata; ed alla mia Suor Luisa usurpo quell’obligazione che per ciò con V. S. potessi pretendere.
I morselletti, sì come sono riusciti dei più belli ch’io abbia mai fatti, così credo che saranno anco dei migliori; e non vorrei che V. S. gli distribuisse tutti, che ancor lei ne gustasse; sono numero 8. Siccome ella sa, Suor Arcangela si va purgando; ed il medico giudica necessario il darle l’acqua del Tettuccio, ma in poca quantità, per esser ella assai debole e fiacca: e perché questo medicamento ricerca benissimo reggimento di vita, ed io mi ritrovo molto scarsa di danari, avrei caro che V. S., mi mandasse un paio di polli, per potergli far buoni brodi anco il Venerdì e Sabato. Suor Chiara ancora se ne sta in letto malata, sì che con questo e con le faccende della bottega, io ho dato bando all’ozio, anzi mi troverei soverchiamente aggravata se Suor Luisa non volesse, per sua grazia, esser partecipe di tutte le mie fatiche. Saluto V. S. per sua parte e di Suor Arcangela, e prego Dio benedetto che la conservi lungamente per suo e mio benefizio.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

71.

A Bellosguardo

San Matteo, 10 giugno 1631

Amatissimo Signor Padre.
Fu qui domenica mattina Vincenzio, il quale mi disse esser venuto per vedere il luogo dei Perini, se ben mi ricordo, il quale è in vendita, e, per quanto intendo, il comperatore ci averà ogni vantaggio, sì come dal medesimo Vincenzio potrà V. S. esser informata. Io, perché sento ch’è qui vicino a noi, e perché desidero la sodisfazione di V. S. (che so quanto desidera d’esserne appresso) insieme con quella di Vincenzio e nostra ancora, vengo a pregarla che non si lasci scappar quest’occasione dalle mani, che Dio sa quando gli se ne porgerà una simile, già che si vede che quelli che posseggono luoghi in questi contorni non se ne vogliono privare altro che per estrema necessità, sì come adesso interviene a questi e al Mannelli; il quale m’è parso d’intendere che sia già allogato. Se V. S. si risolve di venir a veder quest’altro, potrà con quest’occasione esser qui da noi. Intanto gli dico ch’io sto bene, ma non già Suor Arcangiola la quale finalmente è ridotta a starsene del continuo in letto: il suo male non è di gran considerazione, ma credo bene che, s’ella non si fossi procurata avrebbe avuto qualche grandissima malattia. Ebbi le galline per lei e ne ringrazio V. S. infinitamente. Prego Nostro Signore che la conservi, e me le raccomando con tutto l’affetto, insieme con le solite.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

72.

A Bellosguardo

San Matteo, luglio 1631

Amatissimo Signor Padre.
Suor Luisa ha per sua buona sorte riscossa la sua entrata prima che non pensava, e subito viene a dar sodisfazione a V. S. delli scudi 24 che li deve. Confessa bene di non volere né poter sodisfarla quanto all’obligo che perciò avrà perpetuo con Lei, non le bastando l’animo d’arrivar a contraccambiar la sua prontezza e amorevolezza, altro che con la moneta d’un buono e cordiale affetto inverso di V. S. e di noi ancora; e questo lo va manifestando giornalmente con gli effetti in tutte le mie occorrenze, con maniera tale che più non potria fare se mi fosse madre. Ella ha aggiunto nel panierino queste paste, acciò V. S. se le goda per suo amore.
Suor Arcangelo se ne sta in letto con poca febbre veramente, ma con gran debolezza e molti dolori, e, se non m’inganno, credo che ci sarà da far assai avanti ch’ella ritorni in sanità, se pur vi tornerà. Il medico, quando ultimamente la visitò, ordinò fra le altre cose alcune unzioni allo stomaco con olio da stomaco del Gran Duca, e olio di noci moscate. Dell’uno e dell’altro ne siamo a carestia, e perciò avrei caro che V. S. me ne provvedesse un poco.
Rimando due fiaschi voti, e veramente che se, in questa scesa ch’ho avuto, non fosse stato il vino bianco di V. S., l’avrei fatta male, perché sono vivuta di pappe e zuppe, quali non m’hanno nociuto per esser fatte in vino così buono.
Avrò caro d’intendere se sortirà la compra del luogo che V. S. venne a vedere, perché io grandemente lo desidero: e mi parrebbe cosa molto ben fatta e utile per la lor casa. Non occorrendomi altro di presente, saluto caramente V. S. insieme con le solite, e prego Dio benedetto che la feliciti sempre.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

73.

A Bellosguardo

San Matteo, 12 agosto 1631

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Perché pur vorrei aver grazia che V. S. s’avvicinasse a noi, vo continuamente procurando d’intender quando qui all’intorno ci sia qualche luogo che si deva affittare. E ora di fresco sento esserci la villa del signor Esaù Martellini, la quale è al piano dei Giullari, e confina con noi. Ho voluto avvisarnelo, acciò V. S. possa informarsi se per sorte fosse a suo gusto, il che avrei molto caro, sperando che con questa comodità non starei tanto senza saper qualcosa di lei, come di presente mi avviene, cosa che veramente io tollero malvolentieri; ma connumerando e ricevendo questo insieme con qualche altro poco di disgusto, invece di quelle mortificazioni ch’io per mia negligenza tralascio, mi vo accomodando il meglio ch’io posso a quanto piace a Dio. Oltre che mi persuado che anche a V. S. non manchino intrighi e fastidi d’altro rilievo che non sono i miei, e con questo m’acqueto.
Suor Arcangela, che tanto m’ha dato da pensare, per grazia di Dio sta alquanto meglio, e sebbene assai debole e fiacca si ritrovi, comincia a sollevarsi. E perché avrebbe gusto di mangiare qualche pesciuolo marinato, prega V. S. che gliene faccia provisione di qualcuno per questi prossimi giorni magri. Intanto V. S. procuri di mantenersi sana a questi gran caldi, e di grazia mi scriva un verso. La saluto affettuosamente per parte delle solite, e prego nostro Signore che le conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

74.

A Bellosguardo

San Matteo, 27 agosto 1631

Amatissimo Signor Padre.
Ci lamentiamo del tempo, invidioso del gusto che noi insieme con V. S. in questo giorno avremmo potuto prendere, con ritrovarci in compagnia. Ma, se piacerà a Dio, spero che potrà seguir presto un’altra volta, e intanto godo con la speranza di dover averla continuamente qua vicina, sì come per l’imbasciata fattami dalla Piera comprendo; e la prego a proseguir l’impresa acciò riesca il nostro disegno, ché, come V. S. vorrà, credo si supererà ogni difficoltà.
Stasera compartirò la buona provisione mandata da Lei con l’amiche, ma della ricotta non ne prometto a troppe; la ringrazio per parte di tutte e di cuore me le raccomando.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

75.

A Bellosguardo

San Matteo, 30 agosto 1631

Amatissimo Signor Padre.
Se la misura o indizio dell’amore che si porta ad una persona, è la confidenza che in lei si dimostra, V. S. non dovrà star in dubbio s’io L’amo di tutto cuore, com’è in verità; poiché tanta confidenza e sicurtà piglio con lei, che qualche volta temo che non ecceda il termine della modestia e revererua filiale, e tanto più sapendo ch’Ella da molti fastidi e spese si trova aggravata. Nondimeno la certezza ch’ho, che V. S. sovviene tanto volentieri alle mie necessità quanto a quelle di qualsivoglia altra persona, anzi alle sue proprie, mi somministra ardire di pregarla che si compiaccia d’alleggerirmi d’un pensiero che molto m’inquieta, mediante un debito che tengo di cinque scudi per la malattia di Suor Arcangela, essendomi convenuto in questi quattro mesi spendere alla larga, in comparazione di quello che comportava la povertà del nostro stato: e ora che mi trovo all’estremo e in necessità di sodisfare a chi devo, mi raccomando a chi so che può e vuole aiutarmi. E anco desidero un fiasco del suo vino bianco per farlo acciaiato per Suor Arcangela, alla quale credo che più gioverà la fede che ha in questo rimedio, che il rimedio stesso.
Scrivo con tanta scarsezza di tempo che non posso dirle altro, se non che vorrei che questi sei calicioni fossino di suo gusto, e me le raccomando.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.


L e t t e r e   a l   p a d r e1 6 3 3

L’anno è computato non in riferimento alla nascita del Cristo, bensì al concepimento della Vergine, nove mesi prima, e quindi con uno spostamento dal 25 dicembre al 25 marzo precedente. L’uso, essenzialmente medievale, è da considerarsi nel Seicento come una pratica singolare.

76.

A Roma

San Matteo, 5 febbraio 1632 [1633]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
I signori Bocchineri m’hanno tramesse tutte le lettere che V. S. ha mandate, delle quali m’appago sapendo quanto gli sia di fatica lo scrivere. Io non gli ho scritto finora, perché stavo aspettando l’avviso del suo arrivo a Roma; e quando per l’ultima sua intendo che deve trattenersi tanti giorni in abitazione così cattiva e priva d’ogni comodità, ne ho preso grandissima afflizione. Nondimeno, sentendo ch’Ella, priva di consolazioni interne ed esterne, si conserva sana, mi consolo e rendo grazie a Dio benedetto, nel quale ho ferma speranza di ottener grazia che V. S. se ne torni qua da noi con quiete d’animo e sanità di corpo. Intanto la prego a star più allegramente che sia possibile, e si raccomandi a Dio che non abbandona chi in lui confida. Suor Arcangelo ed io stiamo bene, ma non già Suor Luisa che dal giorno che V. S. si partì in qua, è stata sempre in letto con dolori eccessivi conforme al suo solito; e a me convenendo star in continuo moto ed esercizio per applicargli rimedi e servirla, si porge occasione di sollevar l’animo di quel pensiero che forse troppo l’affliggerebbe per l’assenza di V. S. Il signor Rondinelli non è ancora venuto a goder la comodità che V. S. gli ha largita della casa, dicendo che le sue liti non gliel’hanno permesso. Ma il nostro padre confessore non lascia di darvi spesso volta: saluta V. S., e il simile fanno la madre Badessa e tutte le amiche; Suor Arcangela ed io infinitamente e senza intermissione preghiamo Nostro Signore che la guardi e conservi. L’inclusa che gli mando fu trovata da Giuseppe [garzoncello al servicio di Galileo] lunedì nel luogo dove hanno recapito ordinariamente le sue lettere.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

77.

A Roma

San Matteo, 26 febbraio 1632 [1633]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
La sua lettera scritta alli 10 febbraio mi fu resa alli 22 del medesimo, e in questo tempo credo sicuramente che V. S. averà ricevuta un’altra mia insieme con una del nostro padre confessore, per le quali averà inteso qualche particolare circa a quello che desiderava; e vedendo io che ancora non compariscono lettere che ne diano avviso dell’arrivo suo in Roma (le quali può V. S. giudicar con quanto desiderio da me in particolare siano aspettate), torno a scriverle, sì perché Ella sappia con quanto ansietà io viva, mentre le sto aspettando, e anco per mandarle la inclusa polizza, la quale da un giovane fu, 4 o 5 giorni sono, portata qui a casa di V. S. e pigliata dal signor Francesco Rondinelli, ed egli dandomela mi consigliò a dar sodisfazione, senza aspettar qualche peggior affronto dal creditore, dicendomi non potersi trasgredire in alcuna maniera a questo comandamento, e offrendosi egli medesimo a trattar questo negozio. Io stamattina gli ho consegnati li 6 scudi, quali non vuole altrimenti pagare a Vincenzio ma depositarli là in magistrato fino che da V. S. verrà avvisato quel tanto che si deva fare. È invero il signor Francesco persona molto grata e discreta, e non finisce mai di esagerare l’obbligo che tiene a V. S. per questa abilità che ha della sua casa. Dalla Piera intendo che egli usa a lei e a Giuseppe molta amorevolezza pur di cose mangiative; ed io nel resto supplisco ai loro bisogni conforme all’ordine di V. S. Il ragazzo mi dice che questa Pasqua averà bisogno di scarpe e calze, le quali feci disegno di farle di filaticcio grosse ovvero di stame. Dalla Piera intendo che V. S. più volte ha detto che vuol far venire una balla di lino, onde per questo mi sono ritirata dal comprarne qualche poco, e fargli principiare una tela di panno grosso per la cucina, siccome avevo disegnato di fare, e non lo farò se da V. S. non mi verrà ordinato altro.
Le viti dell’orto s’accomoderanno adesso che la luna è a proposito, per mano del padre di Giuseppe, il quale intendo ch’é sufficiente, e anco il signor Rondinelli vi assisterà. La lattuga intendo ch’è assai bella, e ho commesso a Giuseppe che ne porti a vendere avanti che sia guasta da altri. Di 70 melangole che si venderono se n’ebbe 4 lire, pago assai ragionevole, per quanto intendo, essendo un frutto di poca utilità: le melarancie si venderono 14 crazie il 100 e furono 200.
Di quella botte di vino che V. S. lasciò manomessa, il signor Rondinelli ne piglia ogni sera un poco per sé, ed intanto fa anche benefizio al vino, il quale intendo che si mantiene bonissimo. Quel poco del vecchio l’ho fatto cavar ne’ fiaschi, e detto alla Piera che se lo bevino quando avranno finita la loro botticella, già che noi fino a qui, avendolo avuto dal convento assai ragionevole, ed essendo sane, n’abbiamo tolto poco.
Continuo a dar il giulio ogni sabato alla Brigida, e veramente che stimo questa un’elemosina molto ben data, essendo ella oltremodo bisognosa e molto buona figliuola.
Suor Luisa, la Dio grazia, sta alquanto meglio, e si va ancora trattenendo in purga, e avendo per l’ultima lettera di V. S. compreso quanto pensiero ella si piglia del suo male per l’affetto che gli porta, la ringrazia infinitamente; e già che V. S. si dichiara unita meco nell’amarla, Ella all’incontro pretende di star al paragone, né d’un punto vuol cedergli, poiché l’affetto suo procede dall’istessa causa, che sono io; onde mi glorio e pregio di questa così graziosa contesa, e più chiaramente scorgo la grandezza dell’amore che ambedue mi portano, perché è così soprabbondante che arriva a scambievolmente dilatarsi fra quelle due persone da me sopr’ogni altra cosa mortale amate e riverite.
Domani saranno 13 giorni che morì la nostra Suor Virginia Canigiani, la quale stava assai grave quando scrissi ultimamente a V. S., e in questo tempo s’è ammalata di febbre maligna Suor Maria Grazia del Pace, ch’è la più antica di quelle tre monache che suonano l’organo, e maestra delle Squarcialupi, monaca veramente pacifica e buona; ed essendo stata fatta spacciata dal medico, siamo tutte sottosopra, dolendoci grandemente questa perdita. Questo è quanto per adesso m’occorre dirgli, e subito che averò sue lettere (che pur dovrebbero a quest’ora esser a Pisa ove si ritrovano i signori Bocchineri) scriverò di nuovo. Intanto di tutto cuore a lei mi raccomando insieme con le solite, e nominatamente Suor Arcangela, il signor Rondinelli e il signor medico Ronconi, il quale ogni volta che vien qua mi fa grand’istanza d’aver nuove di lei. Il Signore Iddio la conservi e feliciti sempre.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

In questo punto essendo tornato da Firenze il signor Rondinelli, mi ha detto aver parlato al Cancelliere dei Cons.i e avere inteso essere necessario pagare gli scudi 6 a Vincenzio Landucci e non altrimenti depositarli, e tanto si eseguirà; se bene io mi ci sono resa alquanto difficilmente, per non aver avuto commissione alcuna da V. S. di questo particolare.

78.

A Roma

San Matteo, 5 marzo 1632 [1633]

Amatissimo Signor Padre.
Il signor Mario Guiducci ier mattina mi mandò fin qui, per un suo servitore, le lettere di V. S. Lessi con molto mio particolar contento quella ch’Ella scrive al medesimo signor Mario, e subito gliela rimandai. L’altra ho consegnata al Padre Confessore, il quale credo che senz’altro li risponderà. Mi consolo, e sempre di nuovo ringrazio Dio benedetto, sentendo che il suo negozio fino a qui passi con tanta quiete e silenzio, il quale in ultimo ne promette un felice e prospero successo, come ho sempre sperato con l’aiuto divino e per intercessione della Madonna Santissima.
Credo che a quest’ora V. S. averà ricevuto l’ultima mia lettera, e da poi in qua le novità occorse sono lo sborso delli 6 scudi fatto dal signor Francesco in nome di V. S. a Vincenzio Landucci, il quale venne in persona a pigliarli: il buon progresso in sanità che va facendo Suor Luisa, essendo stata parecchi giorni senza sentir travagli; la indisposizione di Suor Arcangela da dieci giorni in qua, che travaglia con dolore eccessivo nella spalla e braccio sinistro, sebbene, con l’aiuto di alarne pillole e serviziali, è alquanto mitigato. E anco Giuseppe travaglia con il suo stomaco ed enfiagione di milza, sì che è convenuto farli guastar Quaresima, e il signor Rondinelli ne tiene cura particolare.
Di più la nostra Maria Grazia organista, che avvisai a V. S. che stava grave, si morì, essendo d’età di 58 o 60 anni, e tutte n’abbiamo sentito gran travaglio.
La Piera sta bene, le viti dell’orto sono accomodate: di lattuga venduta si è preso fino qui un mezzo scudo. Altro particolare non ho da dirle, se non che io tutto il giorno fo l’uffizio di Marta, senza alcuna intermissione, e con questo me la passo assai bene di sanità; la quale parteciperei volenterissimo, anzi baratterei con l’indispozione di V. S., acciò Ella restassi libera di quei dolori che la molestano. Sto aspettando l’ordine circa il dar altri danari al Landucci questo mese presente, perché non vorrei far errore, né che incorressimo in spese come questa volta di Lire 6, 13 e 4 che importa la polizza che gli mandai. La lettera per la signora Ambasciatrice potrà sigillarla quando l’averà letta. E con questo di tutto cuore me li raccomando insieme con le solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

79.

A Roma

San Matteo, 12 marzo 1632 [1633]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
L’ultima sua lettera, mandatami dal signor Andrea Arrighetti, m’ha apportato gran consolazione, sì per sentire ch’Ella si va mantenendo in buono grado di sanità, come anco perché per quella vengo maggiormente certificata del felice esito del suo negozio, che tale me l’hanno fatto prevedere il desiderio e l’amore. Che sebbene veggo che, passando le cose in questa maniera, si andrà prolungando il tempo del suo ritorno, reputo nondimento a gran ventura il restar priva delle mie proprie sodisfazioni per una occasione, la quale abbia da ridondare in benefizio e reputazione della sua persona, amata da me più che me stessa. E tanto più m’acquieto, quanto che son certa ch’Ella riceve ogni onore e comodità desiderabile da codesti eccellentissimi signori, e in particolare dalla eccellentissima mia signora e padrona, la visita della quale, se avessimo grazia Suor Arcangelo e io di ricevere, certo che sarebbe favore segnalato e a noi tanto grato quanto V. S. può immaginarsi, che io non lo so esplicare. Quanto al procurare ch’ella vedesse una commedia, io non posso dir niente, perché bisognerebbe governarsi secondo il tempo nel quale ella venisse, sebbene io crederei veramente, già che ella si mostra desiderosa di sentirci recitare, che stessimo più in salvo lasciandola in quella buona credenza in che ella deve ritrovarsi, mediante le parole di V. S.
Similmente la venuta del molto reverendo padre Don Benedetto ci sarà gratissima, per esser egli persona insigne e tanto affezionata a V. S., e li renderà duplicati i saluti per nostra parte, e mi farà anco grazia di darmi qualche nuova della Anna Maria, la quale V. S. esaltava tanto l’altra volta che tornò di costà, perché io fino allora me gl’affezionai sentendo il suo merito e valore.
Suor Arcangela sta alquanto meglio, ma non bene affatto del suo braccio, e Suor Luisa sta ragionevolmente bene, ma però con grande osservanza di vita regolata. Io sto bene perché ho l’animo quieto e tranquillo, e sto in continuo moto, eccetto però le sette ore della notte, le quali io mando male in un sonno solo, perché questo mio capaccio così umido non ne vuole manco un tantino. Non lascio per questo di sodisfare il più che io posso al debito che ho con lei dell’orazione, pregando Dio benedetto che principalmente le conceda la salute dell’anima, e anco le altre grazie ch’ella maggiormente desidera.
Non dirò altro per ora, se non che abbia pazienza se troppo la tengo a tedio, pensando ch’io ristringo in questa carta tutto quello che gli cicalerei in una settimana.
La saluto con tutto l’affetto insieme con le solite; e il simile fa il sig. Rondinelli.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

80.

A Roma

San Matteo, 19 marzo 1632 [1633]

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Il signor Mario, con la solita sua gentilezza, mi mandò ier mattina le lettere di V. S. Ho ricapitate le due incluse a chi andavano; e la ringrazio dell’avvertimento che mi dà dell’errore da me commesso nella lettera della signora Ambasciatrice, della quale tengo una cortesissima lettera in risposta alla mia; e fra le altre cose mi dice che persuada V. S. a proceder con più libertà in cotesta casa, e con quella sicurtà che farebbe nella sua propria, e si dimostra molto ansiosa delle sue comodità e sodisfazioni. Io li riscrivo domandandole il favore che V. S. vedrà: se gli par ben fatto il presentarla l’avrò caro; se no, me ne apporto al suo parere. Ma veramente, o per mezzo della signora Ambasciatrice, o di V. S., avrei caro di ottener questa grazia, siccome da V. S. desidererei un regalo al suo ritorno, il quale pur spero che non deva andare molto in lungo. Mi persuado che costà sia copia di buona pittura, onde io desidererei che V. S. mi portassi un quadretto di grandezza quanto questa carta qui inclusa, di questi che si serrano a uso di libriccino con due figure, una delle quali vorrei che fosse un Ecce Homo e l’altra una Madonna; ma vorrei che fossino pietosi e devoti al possibile. Non importerà già che vi sia altro adornamento che una semplice cornice, desiderandolo io per tenerlo sempre appresso di me.
Credo senz’alito che il signor Rondinelli scriva a V. S., onde sarà bene ch’Ella nella risposta gli dimostri gratitudine per l’amorevolezze che ci ha usate di quando in quando in questa quaresima, e particolarmente perché ieri fu qui a desinare e volse ch’ancor noi due v’intervenissimo, acciò si passassi quel giorno allegramente, principalmente per amor di Suor Arcangela, la quale per grazia di Dio va migliorando del suo braccio. È ben vero che, per esser da parecchi giorni in qua sopraggiunto un catarro nelle reni a Suor Oretta, e non potendosi esercitare, tocca a me in gran parte il pensiero dell’offizio di Provveditora, e per questa e per altre mie faccende, essendomi ridotta a scriver a mezzanotte e assalendomi il sonno, temo di non scriver qualche sproposito. Godo in estremo di sentire che V. S. si conservi in buona sanità, e prego Dio benedetto che la conservi. La saluto per parte di tutte le amiche ed anco in nome del sig. Ronconi, il quale spesso con grande istanza mi domanda di V. S.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

81.

A Roma

San Matteo, 9 aprile 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Sabbàto passato veddi la lettera che V. S. scrisse al signor Andrea Arrighetti, e particolarmente mi dette gran contento quel sentire ch’Ella non solo si vada conservando in sanità, ma più presto va guadagnando qualcosa con l’aiuto della quiete dell’animo che gode, mentre che spera placida e presta spedizione del suo negozio; del tutto sia sempre lodato Dio benedetto, dal quale principalmente derivano queste grazie.
Ebbi anco molto caro d’intendere che V. S. presentò la mia lettera all’eccellentissima signora Ambasciatrice, dal che fo conseguenza non essere stato sconvenevole, come temevo, il domandarle quella grazia, la quale con il suo favore spero d’ottenere, promettendomi la sua incomparabil cortesia ogni possibil diligenza per impetrarla. Desidero che V. S. supplisca per me con far seco i dovuti complimenti; e oltre a questo da V. S. desidero nuove grazie, non per me sola, ma per Suor Arcangelo, la quale, per grazia di Dio, oggi a tre settimane, che sarà l’ultimo del presente, deve lasciar l’offizio di Provveditora, nel quale fino a qui ha speso cento scudi e davantaggio; ed essendo in obbligo di lasciarne 25 in conserva alla nuova Provveditora, non avendo assegnamento di nessuno, io vorrei, con licenza di V. S., accomodarnela di quelli che tengo di suo, tanto che questa nave si conduca in porto, che veramente, senza l’aiuto di V. S., non arrivava nemmeno alla metà del viaggio. Ma non occorre ch’io mi affatichi in esagerar questo, quando sarà dichiarato il tutto con dire, che tutto il bene ch’aviamo, che ne aviamo tanto, o quello che possiamo sperare e desiderare, l’aviamo e speriamo da lei, dalla sua più che ordinaria amorevolezza e carità, con la quale, oltre all’aver compitamente sodisfatto all’obbligo d’allogarne, continuamente ne sovviene tanto benignamente in tutti i nostri bisogni: ma V. S. vede che la remunerazione gliene dà per noi Dio benedetto, al quale piaccia pure, con la sua conservazione e prosperità, di mantener lei e noi lungo tempo felici. Il dolore eccessivo che sento in un dente m’impedisce il poter più lungamente scrivere, sì che non li darò altra nuova, se non che Giuseppe va migliorando, e che noi tutte stiamo bene: insieme con la Piera e tutte la salutiamo affettuosamente.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

82.

A Roma

San Matteo, sabato santo del 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
V. S. ha voluto che questi giorni santi io resti mortificata, privandomi di sue lettere, il che, quanto io abbia sentito, non posso esprimerlo. Non voglio già io lasciar, se bene con molta strettezza di tempo, di salutarla con questi due versi, augurandoli felicissima questa santissima Pasqua, colma di consolazioni spirituali e di buona salute e felicità temporale, che tanto mi prometto e spero della liberalissima mano del Signore Iddio.
Qua di presente, la Dio grazia, siamo tutte sane, ma non già il nostro Giuseppe, il quale, fatte le feste, bisognerà che vada allo spedale per curarsi della febbre e della milza ch’è assai gonfia; ed io vo procurando, col mezzo della nostra Madre Badessa, ch’egli sia ricevuto in Bonifazio, ove starà meglio che in nessun altro luogo. La Piera sta bene e la saluta, siccome fo io di tutto cuore insieme con le solite, e gli ricordo ch’è in debito meco della risposta di tre lettere.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

83.

A Roma

San Matteo, 16 aprile 1633

Amatissimo Signor Padre.
Intendo per due lettere, che questa settimana tengo di suo, il buon progresso del suo negozio: me ne rallegro quanto Ella può immaginarsi, e ne ringrazio Dio. Iersera qua fu un applauso ed allegrezza grande, mediante la grazia impetrata dall’Eccellentissima Signora Ambasciatrice, alla quale scrivo questi pochi versi, veramente di scarso ringraziamento a tanti benefizi che da essa ricavo: fo quel ch’io so e non quel che dovrei. Scrissi al Sig. Giovanni Rinuccini per conto del servizio che V. S. mi impone, e da esso tengo risposta che per adesso non bisogna trattarne, ma che, quando verrà l’occasione, me ne farà avvisata.
Del mal cattivo intendo esserne in Firenze qualche poco, ma non già conforme a quello che si va dicendo e ragguagliando costà. Sento che ci sono dei carboncelli, ma che i più muoiano di petecchie e mal di punta. Quanto al suo ritorno, ancorché grandemente io lo desideri, la consiglierei a soprastare qualche poco, aspettando altri avvisi dagli amici suoi, e anco a metter ad effetto il pensiero ch’aveva quando partì di qui, di visitar la Santa Casa di Loreto.
Vincenzio nostro ci ha scritto questa settimana, e mandatoci a donare un pezzo di prosciutto; io avrei curiosità di sapere com’egli visita spesso V. S. con lettere. Giuseppe è tanto migliorato ch’è partito dallo Spedale, e per qualche giorno si trattiene in casa con suo zio in Firenze. La Piera sta bene e attende a filare. Di limoni se ne sono colti alcuni pochi ch’erano già bassi, avanti che fossero portati via da i malfattori; gli altri intendo che sono molto belli, e similmente le fave, le quali cominciano ad allegare il frutto. Spero pure che V. S. sarà qua a corli da sé, quando saranno in perfezione.
La saluto caramente in nome di tutte, e dei signori Rondinelli e Orsi; e dal Signore Iddio gli prego ogni vero bene.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Suor Isabella nostra desidera che V. S. gli faccia grazia di mandare per il suo servitore l’inclusa in mano propria a chi va, perché ne vorrebbe la risposta quanto prima. Il nostro signor Governatore, con occasione di venire a dare l’acqua benedetta, mi domandò istantemente di V. S. imponendomi ch’io gli facessi sue raccomandazioni.

84.

A Roma

San Matteo, 20 aprile 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Dal signor Geri mi viene avvisato in qual termine Ella si ritrova per causa del suo negozio, cioè ritenuto nelle stanze del Sant’Uffizio; il che per una parte mi dà molto disgusto, persuadendomi ch’Ella si ritrovi con poca quiete dell’animo, e fors’anco non con tutte le comodità del corpo: dall’altra banda, considerando io la necessità del venire a questi particolari, per la sua spedizione, la benignità con la quale fino a qui si è costà proceduto con la persona sua, e sopra a tutto la giustizia della causa e la sua innocenza in questo particolare, mi consolo e piglio speranza di felice e prospero successo, con l’aiuto di Dio benedetto, al quale il mio cuore non cessa mai d’esclamare, e raccomandarla con tutto quell’affetto e confidenza possibile.
Resta solo ch’Ella stia di buon animo, procurando di non pregiudicare alla sanità con il soverchiamente affliggersi, rivolgendo il pensiero e la speranza sua in Dio, il quale, come padre amorevolissimo, non mai abbandona chi in Lui confida e a Lui ricorre. Carissimo signor Padre, ho voluto scriverli adesso, acciò Ella sappia ch’io sono a parte de’ suoi travagli, il che a Lei dovrebbe essere di qualche alleggerimento: non ne ho già dato indizio ad alcun’altra, volendo che queste cose di poco gusto siano tutte mie, e quelle di contento e sodisfazione siano comuni a tutti. Che però tutti stiamo aspettando il suo ritorno con desiderio di goder la sua conversazione con allegrezza.
E chi sa che mentre adesso sto scrivendo, V. S. non si ritrovi fuori d’ogni frangente e d’ogni pensiero? Piaccia pure al Signore, il quale sia quello che la consoli e con il quale la lascio.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

85.

A Roma

San Matteo, 23 aprile 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Se bene V. S. nell’ultima sua lettera non mi scrive particolarità nessuna circa il suo negozio, forse per non mi far partecipe de’ suoi travagli, io, per altra strada, ho penetrato qualcosa, sì come potrà comprendere V. S. da una mia scrittali mercoledì passato. E veramente che questi giorni addietro sono stata con l’animo molto travagliato e perplesso fino che, comparendomi la sua, resto accertata della sua salute, e con questo respiro.
E non lascerò d’eseguire quanto in quella m’ordina, ringraziandola intanto dell’abilità de’ danari che fa a Suor Arcangela, per sua parte e mia ancora, già che miei sono tutti i suoi pensieri. Qua in Monastero siamo tutte sane, la Dio grazia, ma sentiamo bene gran romori di mali cattivi che sono in Firenze e anco fuora della città in qualche luogo. E per questo di grazia, ancorché V. S. fossi spedita presto, non si metta in viaggio per il ritorno con tanto manifesto pericolo della vita, tanto più che la infinita gentilezza di codesti signori suoi ospiti gli dà sicurtà di trattenersi quanto gli farà di bisogno. Suor Luisa, insieme con gli altri nominati, gli tornano duplicati saluti, e io dal Signore Iddio gli prego abbondanza di grazie. Desidero che faccia riverenza in mio nome all’Eccellentissima mia Signora.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

86.

A Roma

San Matteo, ultimo di aprile 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ho vista l’ultima lettera che V. S. scrive al signor Geri, il quale veramente è tutto cortese e molto sollecito in darne nuove di Lei; e, se bene quando Ella scrisse si ritrovava indisposta, spero che adesso Ella stia bene, onde sto quieta, rallegrandomi di sentire che il suo negozio si vadia incamminando a buon fine e a presta spedizione. Tengo questa settimana lettere dall’Eccellentissima Signora Ambasciatrice, la quale con la solita sua cortesia si è compiaciuta ragguagliarmi dello stato nel quale V. S. si ritrova, poiché, com’Ella mi dice, non crede ch’io tenga lettere da V. S. da poi che uscì di casa sua, ed Ella desidera ch’io stia con l’animo quieto; e questo mi è un indizio manifesto dell’amore che questi signori portano a V. S., il quale è tanto ch’è bastante a parteciparsi largamente ancora a me, siccome la medesima Signora me ne dà certissima caparra nella sua amorevolissima lettera. Io li ho risposto indirizzando la lettera a Lei, assolutamente parendomi che così convenga.
Del contagio ci son buone nuove, e si spera, per quanto dicono, che in breve sia per cessare del tutto, sì che allora, se piacerà a Dio, non avrà questo impedimento per il suo ritorno. Sono occupata intorno al muratore che ci accomoda, o, per dir meglio, fa un fornello da stillare, e per questo scrivo brevemente. Stiamo tutte bene, eccetto Suor Luisa, la quale da tre giorni in qua travaglia con il suo stomaco, ma non tanto malamente quanto l’altre volte. Giuseppe sta ragionevolmente, e la Piera bene. Il Signor Rondinelli la saluta e ne farà grazia di pagare i denari per il fitto al signor Lorenzo Bini. Il padre Confessore ancora se li raccomanda, ed il simile fanno tutte queste monache ed in particolare Suor Arcangiola. Nostro Signore la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

87.

A Roma

[maggio 1633]

Amatissimo Signor Padre.
Non ebbi tempo stamattina di poter rispondere alla sua proposta, che fu ch’Ella aveva intenzione di voler sollevar e far servizio solamente a noi due e non a tutto il convento, come per avventura V. S. si persuade che sarà in effetto, mentre m’accomoderà de’ danari per l’offizio di Suor Arcangela. Conosco veramente che V. S. non è informata interamente delle nostre usanze o, per meglio dire, ordini, poco discreti; perché, essendo ciascuna di noi obbligata a spender in questo e in tutti gli altri offizi, conviene a quella, cui di mano in mano si perviene secondo il grado, trovar quella somma di danari che fa di bisogno, e se non gli ha, suo danno; onde molte volte avviene che per strade indirette e oblique (questo l’ho imparato da V. S.) si procurano simili servizi e si fanno molti imbrogli: ed è impossibile il far altrimenti, convenendo a una povera monaca nell’offizio di proveditora spender cento scudi. Per Suor Arcangela sino a qui ne ho provisti vicino a 40, parte avuti in presto da Suor Luisa, e parte della nostra entrata, della quale ci resta a riscuotere 16 scudi decorsi per tutto Maggio.
Suor Oretta ne ha spesi 50: adesso siamo in grande strettezza e non so più dove voltarmi, e già che Nostro Signore La conserva in vita per nostro sollevamento, io prevalendomi e facendo capitale di questa grazia, prego V. S. che per l’amor di Dio mi liberi dal pensiero che mi molesta, con prestarmi quella quantità di danari che può fino all’anno prossimo futuro, che allora s’andrà riscotendo da quelli che devono pagare le spese, e se gli darà sodisfazione, con che per fretta gli dico a Dio.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

88.

A Roma

San Matteo, 7 maggio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
L’allegrezza che mi apportò l’ultima sua amorevolissima lettera fu tale, e tale alterazione mi causò, che, con questo e con l’essermi convenuto più volte leggere e rileggere la medesima lettera a queste monache, che tutte giubilavano sentendo i prosperi successi di V. S., fui soprapresa da gran dolore di testa, che mi durò dalle quattordici ore della mattina fino a notte, cosa veramente fuori del mio solito.
Ho voluto dirli questo particolare, non per rimproverarli questo poco mio patimento, ma sì bene perché Ella maggiormente possa conoscere quanto mi siano a cuore e mi premino le cose sue, poiché causano in me tali effetti; effetti che, sebbene, generalmente parlando, pare che l’amor filiale possa e deva causare in tutti i figli, in me, ardirò di dire che abbino maggior forza, come quella che mi dò vanto di avanzare di gran lunga la maggior parte degli altri nell’amare e riverire il mio carissimo Padre, siccome all’incontro chiaramente veggo che egli supera la maggior parte de’ padri in amar me sua figliuola: e tanto basti.
Rendo infinite grazie a Dio benedetto per tutte le grazie e favori che fino a qui V. S. ha ricevuti e per l’avvenire spera di ricevere, poiché tutti principalmente derivano da quella pietosa mano, siccome V. S. molto giustamente riconosce. E sebbene Ella attribuisce in gran parte questi benefizi al merito delle mie orazioni, questo veramente è poco o nulla; ma è bene assai l’affetto con il quale io li domando a Sua Divina Maestà, la quale avendo riguardo a quello, tanto benignamente prosperando V. S., mi esaudisce, e noi tanto maggiormente gli restiamo obbligati, siccome anco grandemente siamo debitori a tutte quelle persone che a V. S. sono in favore ed aiuto, e particolarmente a cotesti eccellentissimi signori suoi ospiti. E io volevo scrivere all’eccellentissima signora Ambasciatrice; ma sono restata per non la infastidire con replicarle sempre le medesime cose, cioè rendimenti di grazie e confessioni d’obblighi infiniti. V. S. supplirà per me con farle reverenza in mio nome. E veramente, carissimo signor Padre, la grazia che V. S. ha avuta del favore e della protezione di questi signori è tale ch’è bastante a mitigare, anzi annullare tutti i travagli che ha sofferti.
Mi è capitata alle mani una ricetta eccellentissima contro la peste, della quale ho fatta una copia e gliela mando, non perché io creda che costà ci sia sospezione alcuna di questo male, ma perché è buona ad ogni altra cattiva disposizione. Degl’ingredienti io ne sono tanto scarsa anzi mendica per me, che non gliene posso far parte di nessuno; ma bisogna che V. S. procuri di ottener quelli che per avventura gli mancheranno, dalla fonderia della misericordia del Signor Iddio, con il quale la lascio. Salutandola per fine in nome di tutte, e in particolare di Suor Arcangelo e Suor Luisa, la quale per adesso, quanto alla sanità, se la passa mediocremente.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

89.

A Roma

San Matteo, 14 maggio 1633

Amatissimo Signor Padre.
Che la lettera scrittami da V. S. la settimana passata m’apportasse grandissimo gusto e contento, io già per altra mia gliene ho significato; e ora soggiungo ch’essendomi convenuto rimandarla al signor Geri acciò anche Vincenzio la vedessi, ne feci una copia, la quale il signor Rondinelli, dopo averla letta, volse portar seco a Firenze, per farla sentir ad alcuni amici suoi, ai quali sapeva egli che sarebbe stato di molta sodisfazione l’intender questi particolari di V. S., siccome è seguìto, per quanto m’ha avvisato nel rimandarmela il medesimo signor Rondinelli. Il quale di quando in quando viene in casa di V. S., e altri non vi praticano. La Piera mi dice che non esce, se non quando vien qua da noi, per sentir messa o per altre occorrenze, e il ragazzo qualche volta va fino dai signori Bocchineri a pigliar le lettere, ne si trasferisce altrove, perché, oltre a fuggir i sospetti del male, è ancora deboluccio e di più pieno di rogna acquistata nello ospedale; e ora si attende a medicarla con qualche unzione ch’io gli vo facendo. Nel resto procuro che restino provvisti nella maniera che V. S. potrà vedere in questo scartafaccio che gli mando, ove sino a qui ho notate le spese fatte, e anco l’entrata avuta per questo effetto. La quale, sebbene è più che la spesa parecchie Lire, io ho preso sicurtà di spenderla per bisogni mia e di Suor Arcangela, sì che si può dire che siamo del pari, e da qui avanti farò libro nuovo. L’altre spese che si sono fatte dopo la partita di V. S. sono,
Scudi 17 e mezzo al signor Lorenzo Bini per il fitto della villa.
Scudi 24 in quattro paghe a Vincenzo Landucci, e Lire 6, 13, e 4 di spese fatte per la paga di febbraio; e di tutti tengo le ricevute.
Scudi 25 presi io per accomodarne Suor Arcangiola, come V. S. sa, ed altri.
Scudi 15 fui necessitata a pigliar, acciò ella potessi finir il suo benedetto uffizio, il quale è condotto con l’aiuto di Dio e di V. S., ché, senza questo gran sollevamento, non era possibile il tirarlo innanzi; e anco le monache si sono dimostrate assai sodisfatte, perché, con l’amorevolezza di V. S. e con l’aver supplito con danari, si sono ricoperte molte malefatte o magagne che dir vogliamo. Questi ultimi quindici scudi aspetto di rimettergli presto con l’entrata di ambedue noi, che a quest’ora doveremmo aver riscossa.
Questo presente anno toccava a Suor Arcangelo ad esser canovaia, uffizio che mi dava che pensare. Pur ho ottenuto grazia dalla madre Badessa che non gli sia dato con allegar varie scuse; e in quel cambio è fatta pannaiuola, essendo obbligata a imbiancar e tener conto delle tovaglie e bandinelle per asciugar le mani, del convento.
Sento gusto particolare nell’intendere che V. S. stia bene di sanità, del che grandemente temevo mediante i travagli che ha passati; ma il Signor Iddio ha voluto concederne le grazie compite liberandola dai travagli dell’arumo e del corpo. Sia egli sempre ringraziato!
Il male contagioso si sente che va per ancora perseverando, ma dicono che ne muor pochi e che si ha speranza che deva terminare, trattandosi di portar in processione a Firenze la Madonna dell’Impruneta per questa causa.
Al nostro già padre Confessore ho mandata la lettera a Firenze, già che egli non sta più qui al nostro convento, e ne aviamo avuto un altro, giovane di 35 anni, della Pieve a San Stefano.
Mi maraviglio che Vincenzio non gli abbia mai scritto, e mi glorio d’averlo superato nell’esser fervente in visitarla con mie lettere, sebben qualche volta ho avuto anch’io gran strettezza di tempo, e oggi ho scritto questa in 4 volte, interrotta sempre da vari intrighi per amor della spezieria; e di più con dolor di denti che mi causa il mio solito catarro, che già parecchi giorni sono che mi travaglia. Finisco salutandola per parte delle nominate, e pregandola a ritornar centuplicati i saluti all’Eccellentissima mia Signora e pregando Nostro Signore che la conservi e feliciti sempre.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Da S. Casciano sono venute in due volte 8 staia di farina per la Piera, ma io non ho cercato di pagarla sapendo che fra V. S. e il Ninci sono altri conti.

90.

A Roma

San Matteo, 21 maggio 1633

Amatissimo Signor Padre.
Io non ho mai lasciato passar ordinario nessuno senza scriverli, e mandato le lettere al signor Geri, il quale m’avvisa che a quest’ora V. S. dovrà averle ricevute. Quanto al tornarsene Ella in qua con quest’ordinario, non posso darle risoluzione né sicurtà alcuna per conto del mal contagioso, atteso che tutta la speranza della città di Firenze è riposta nella Madonna Santissima, e a quest’effetto questa mattina con gran solennità si è portata la sua miracolosa Immagine dell’Impruneta a Firenze ove si sente che dimorerà 3 giorni, e nel ritornarsene abbiamo speranza d’aver grazia di vederla ancor noi. Sentiremo pertanto quello che seguirà, e quest’altro sabbato gliene darò ragguaglio. Intanto, sentendo che la dilazione giova ai suoi interessi, andiamo più facilmente tolerando la mortificazione che proviamo per la sua assenza.
In questi contorni sono stati due casi di contadini infetti di mal cattivo, ma di presente non si sente altro, e già che tutti i gentiluomini che ci hanno le ville, ci si sono ritirati, è segno che non vi sono sospetti.
Mi sarà molto grato, per amor di Suor Luisa, che V. S. vegga se può favorir il nostro vecchino nel suo negozio; ma sarà di necessità che V. S. vegga di parlarne con il signor Giovanni Mancini, al quale si mandorno le scritture un pezzo fa, né mai da lui né da altri, ai quali si è raccomandata questa causa, si è potuto aver risposta nessuna.
Mi son fatta portar un poco di saggio del vino delle due botti piene, e mi par che sia molto buono. La Piera mi dice averle ripiene più volte, ma che da un pezzo in qua non ne hanno più bisogno. Giuseppe m’aspetta per portar le lettere, sì che non posso dir altro, se non che La prego a non disordinar col bere, come sento che va facendo. La saluto in nome di tutti, e dal Signore Iddio gli prego vera felicità.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

91.

A Roma

San Matteo, 28 maggio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Dall’inclusa scrittami oggi dal signor Rondinelli V. S. potrà venir in cognizione dello stato nel quale, circa il male, si ritrova Firenze e questi contorni; e per esser assai buono, e V. S. quasi del tutto spedita da’ suoi negozi, spero pure che non dovrà indugiar molto a ritornarsene da noi, che con tanto desiderio la stiamo aspettando: sì che la prego a non lasciarsi tanto legar dalla gentilezza indicibile di cotesti Eccellentissimi Signori, che noi doviamo restar prive di lei per tutta l’estate. Pur assai ha ricevuto fin qui, né mai sarà possibile il poter ricompensar tante grazie e favori ricevuti da Lei e partecipati da noi.
Desidero che V. S., in particolare all’Eccellentissima Signora Ambasciatrice, faccia per nostra parte la solita riverenza. Di più avrò caro che nel suo ritorno mi porti un poco d’amido, conforme a che ha fatto l’altre volte; e li ricordo le due figurine che li domandai, è già un pezzo.
Quanto all’orto, per quanto dalla Piera intendo, le fave hanno fatto bellissima verzura, essendo alte quanto lei, ma il frutto è stato poco e non molto bello, e similmente i carciofi, i quali intendo che feciono meglio l’anno passato: nondimeno ve ne sono stati per la casa, per noi, e anco qualcuno se n’è mandato a Vincenzio e al signor Geri.
Gli aranci ancora non hanno gran quantità di fiori, atteso che il freddo e vento che questi giorni passati ha dominato, gli ha fatto gran danno; quelli che cascano, la Piera li va racquistando e gli stilla. I limoni sono tanto maturi che hanno necessità che V. S. venga a corgli, e di quando in quando ne casca qualcuno, che sono veramente belli e bonissimi. Questo è quanto le faccende della bottega mi permettono ch’io gli possa dire, poiché Suor Luisa e un’altra delle mie compagne sono in purga, e io per conseguenza sola a lavorare. La saluto caramente per parte di tutte le solite, e di più di Suor Barbara e Suor Prudenza, e prego il Signor Iddio che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
[S. M. Celeste.]

92.

A Roma

San Matteo, 4 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.
Nell’ultima mia detti buone nuove a V. S. circa il male, e adesso (Dio lodato e la Madonna Santissima, dalla quale si riconosce la grazia) gliene do migliori, già che intendo ieri non esseme morti nessuno e due soli andati al Lazzaretto, ammalati d’altro male che di contagio, mandati là perché gli ospedali non ne pigliano, o pochi. Si sente bene ancora non so che, là inverso Rovezzano; ma poca cosa, e con il buon governo e con il caldo, che adesso si fa sentire assai gagliardo, si spera in breve la intera liberazione.
In questi contorni non è sospetto alcuno; le case, che nel principio del male hanno patito detrimento, sono quelle dei Grazzini lavoratori del Lanfredini, e quella dei Farcigli, che stavano a mezzo monte: era una gran famiglia divisa in due o tre case, non so già di chi fossero lavoratori, so bene che son finiti tutti. Queste sono le nuove che con ogni diligenza ho procurato d’aver certe per potergliene partecipare, e con questo inanimirla al ritorno, caso che sia spedita costà del tutto. Ché pur troppo è stato lungo questo tempo della sua assenza fino a qui, ne vorrei in alcuna maniera ch’Ella indugiasse fino all’autunno, come temo, s’Ella tarda troppo a partirsi; tanto più che sento ch’Ella adesso si ritrova libera e con tante recreazioni, del che godo e mi rallegro grandemente, siccome all’incontro mi dispiace che le sue doglie non la lascino, se bene par quasi necessario che il gusto ch’Ella sente nel bere cotesti vini così eccellenti, sia contrapesato da qualche dolore, acciò, astenendosi dal berne maggior quantità, venga ad ovviare a qualche altro maggior nocumento che potrebbe riceverne.
Ultimamente non ebbi tempo a dirgli come nel ritorno che fece da Firenze l’immagine della Santissima Madonna dell’Impruneta, venne nella nostra Chiesa; grazia veramente segnalata, perché passava dal Piano, sì che venne qui a posta, avendo a ritornar indietro tutta quella strada che V. S. sa, ed essendo il peso più di 700 libre quello del tabernacolo e adornamenti; mediante i quali non potendo entrare nelle nostre porte bisognò rompere il muro della corte, e alzare la porta della Chiesa, il che da noi s’è fatto con molta prontezza per tale occasione.
Suor Arcangela di San Giorgio, dopo avermi più volte mandato a domandar due scudi con molta istanzia, mi scrive adesso facendomi un lungo cordoglio per la morte della sua Suor Sibilla, e mi prega ch’io preghi V. S. come fo, che gli faccia carità di far dir una messa per quell’anima all’altare di San Gregorio, del che vorrebbe la certezza per poter star quieta, promettendo di non lasciar di pregar per V. S.
Adesso ch’ho ricordato San Gregorio, mi è sovvenuto che V. S. non m’ha mai detto niente d’aver ricevuta una ricetta che gli mandai per la peste. Mi è paruto strano, perché mi pareva di avergli mandata una bella cosa, e dubito che non sia andata a male. E qui, facendo fine con salutarla caramente per parte delle solite, prego Nostro Signore che gli conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

93.

A Roma

San Matteo, 11 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ultimamente scrissi a V. S. le cose del contagio esser ridotte in assai buon termine, ma adesso non posso con verità replicar il simile, giacché da alcuni giorni in qua, essendo variata la stagione con un fresco più che ordinario in questo tempo, il male ha ripreso forze, e ogni giorno si sente serrarsi nuove case, se bene il numero di quelli che muoiono non è grande, non passando per quanto dicono, i sette o gli otto il giorno, e altrettanti se ne ammalano. Stando pertanto le cose in questo termine, giudicherei che ad ogni modo Ella se ne potesse venire alla volta di Siena, come ha già disegnato, quando però siano terminati del tutto i suoi negozi per il presente mese, già che poi fino all’autunno non si può batter la campagna di Roma, per quanto intendo dal signor Rondinelli; e io non vorrei già che V. S. fossi astretta a far costà tanto lunga dimora. Sì che di grazia procuri, per quanto può, la sua spedizione, la quale spero pure che sia per ottenere quanto prima con l’aiuto di Dio benedetto e del signore Ambasciatore, il quale si vede chiaramente non essersi mai straccato nell’aiutare e favorire V. S. con tutte le sue forze. E veramente, carissimo Signor Padre, che se da una parte il Signor Iddio l’ha travagliata e mortificata, dall’altra poi l’ha sollevata e aiutata grandemente. Solo l’averla conservata sana con i disagi che patì per il viaggio, e di poi con i travagli che ha passati, è stata una grazia molto particolare. Piaccia al Signor Iddio di concederci che non siamo ingrati a tanti benefizi, e di conservarla e proteggerla sino all’ultimo; del che lo prego con tutto il cuore, e a V. S. mi raccomando per mille volte insieme con le solite.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

94.

A Roma

San Matteo, 18 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.
Quando io scrissi a V. S. dandogli conto del male ch’era stato in questi contorni, già era cessato quasi del tutto ogni sospetto, essendo scorsi molti giorni, anzi settimane, senza sentirsi niente; e, come allora li soggiunsi, me ne dava intiera sicurtà il vedere che tutti quegli gentiluomini nostri vicini se ne stavano qua in villa, come seguitano ancora di starci tutti; e ch’è più, nella medesima città di Firenze si sentiva che il male andava tanto diminuendo che si sperava che presto dovesse restar libera del tutto. Onde, con questa sicurtà, mi mossi ad esortarla e sollecitarla per il suo ritorno, sebbene nell’ultima che gli scrissi, sentendo che le cose erano peggiorate, mutai linguaggio, come si suol dire. Perché, sebbene è verissimo che desidero grandemente di rivederla, desidero nondimeno molto più la sua conservazione e salute; e riconosco per grazia speciale del Signor Iddio l’occasione che V. S. ha avuta di trattenersi costà più lungamente di quello che lei ed io avremmo voluto. Perché, sebbene credo che gli dia travaglio il trattenersi così irresoluta, maggiore gliene darebbe forse il ritrovarsi in questi pericoli, i quali tuttavia vanno continuando e forse aumentando; e ne fo conseguenza da una ordinazione venuta al nostro Monasterio, come ad altri ancora, da parte dei Signori della Sanità, ed è che per spazio di 40 giorni dobbiamo, due monache per volta, star continuamente giorno e notte in orazione a pregare Sua Divina Maestà per la liberazione di questo flagello. Avemmo dai suddetti signori scudi 25 di elemosina, e oggi è il quarto giorno che demmo principio.
A Suor Arcangelo Landucci ho fatto intendere che V. S. gli farà il servizio che desiderava, ed ella la ringrazia infinitamente.
Per dargli avviso di tutte le cose di casa, mi farò dalla colombaia, ove fino di quaresima cominciorno a covare i colombi; e il primo paio che nacque fu mangiato una notte da qualche animale, e il colombo che li covava fu trovato dalla Piera sopra una trave mezzo mangiato, e cavatone tutte l’interiora, che per questo si giudicò che fosse stato qualche uccello di rapina; e gli altri colombi spauriti non vi tornavano, ma seguitando la Piera a dargli da mangiare si sono ravviati, e adesso ne covano due.
Gli aranci hanno avuti pochi fiori, i quali la Piera ha stillato, e mi dice averne cavato una metadella d’acqua. I capperi, quando sarà tempo, si accomoderanno. La lattuga che si seminò, secondo V. S. aveva ordinato, non è mai nata, e in quel luogo la Piera ci ha messo dei fagiuoli che dice essere assai belli, e finalmente dei ceci, dei quali la lepre ne vorrà la maggior parte, avendo già incominciato a levarli via.
Delle fave ve ne sono da seccare, e i gambi si danno per colazione alla muletta, la quale è diventata così altiera che non vuol portare nessuno, e alcune volte ha fatto far dei salti mortali al povero Geppo, ma con gentilezza, poiché non si è fatto male. Ascanio, fratello della cognata, la domandò una volta per andar di fuora, ma quando fu vicino alla porta al Prato gli convenne tornare indietro, non avendo mai avuto forza di scaponire l’ostinata mula acciò andassi innanzi, la quale forse sdegna di esser cavalcata da altri, trovandosi senza il suo vero padrone.
Ma ritornando all’orto, gli dico che le viti mostrano assai bene, non so poi se proseguiranno così, mediante il torto che ricevono d’esser custodite dalle mani della Piera, in cambio di quelle di V. S. Dei carciofi non ve ne sono stati molti, con tutto ciò se ne seccherà qualcuno.
In cantina le cose passano bene, andandosi il vino conservando buono. In cucina non manco di somministrare quel poco che fa bisogno per la servitù, eccetto che nel tempo che ci viene il signor Rondinelli, che allora ci vuol pensar lui, anzi che in questa settimana volle che una mattina noi stessimo in parlatorio a desinar da lui. Questi sono tutti gli avvisi che mi pare di potergli dare.
L’Achilia desidera che V. S. di costì, dov’è abbondanza di buoni maestri di musica, li provegga qualche bella cosa da suonar sull’organo. Suor Luisa avrebbe caro di sapere se V. S. ha poi visto il signor Giovanni Mancini ch’è mercante, per conto del negozio del nostro vecchino, e similmente Suor Isabella desidera di sapere se la lettera che gli mandò per il signor Francesco Cavalcanti, abbia avuto ricapito, desiderando pur di sapere da cotesto gentiluomo se un fratello ch’ha costì sia morto o vivo. Finisco per riserbar qualche cosa da dirgli quest’altra volta che gli scriverò, ma mi sovviene che devo salutarla da parte di Suor Barbera, e dirgli così, ch’ella non va più fuora se non tanto quanto entrare in chiesa dal primo usciolino per parare e sparare. Tutte l’altre amiche la salutano, e io da Dio benedetto gli prego ogni vero bene.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

95.

A Roma

San Matteo, 25 giugno 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ringraziato sia Dio che pur sento che V. S. comincia trattar di mettersi in viaggio per il suo ritorno, il quale io ho grandemente desiderato, non solo per rivederla, quanto anco perché con la totale spedizione del suo negozio, dovrà Ella restar con l’animo quieto e tranquillo. Il che sono molti mesi che non ha potuto provare. Ma si potranno benedire tutti i travagli sofferti, se saranno terminati con tanto buon esito, quanto ella m’accenna di sperare.
Ho caro che V. S. se ne vadia a Siena, sì perché ella non venga in questi sospetti di contagio, il quale s’intende però che questa settimana è assai alleggerito, sì anco perché sentendo che quell’arcivescovo l’invita con tanta instanza e gentilezza, mi prometto che quivi avrà molto gusto e sodisfazione. La prego bene a venirsene a suo bell’agio, e pigliarsi tutte quelle comodità che gli saranno possibili, poiché è stata necessitata a viaggiare in due estremi di freddo, e anco a darmi nuove di sé ogni volta che li sarà possibile, siccome ha fatto in tutto il tempo ch’è stata assente, del che devo ringraziarla, essendo stato questo il maggior contento ch’io potessi ricevere. Volevo con questa mandarle una lettera per la signora Ambasciatrice (alla quale per amor di V. S. mi conosco tanto obbligata) ma perché sto in dubbio se, all’arrivo di questa, V. S. sarà già partita, mi risolvo a indugiar a quest’altra settimana, o per dir meglio, a quando V. S. m’avviserà ch’io deva farlo. Del servizio del vecchino ne tratteremo a voce, se a Dio piacerà, il quale prego che la guardi e conservi in questo viaggio; e la saluto caramente con l’altre solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

96.

A Roma

San Matteo, 2 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Tanto quanto m’è arrivato improvviso e inaspettato il nuovo travaglio di V. S., tanto maggiormente mi ha trafitta l’anima d’estremo dolore il sentire la risoluzione che finalmente s’è presa, tanto sopra il libro, quanto nella persona di V. S. Il che dal signor Geri m’è stato significato per la mia importunità, perché, non tenendo sue lettere questa settimana, non potevo quietarmi, quasi presaga di quanto era accaduto.
Carissimo signor padre, adesso è il tempo di prevalersi più che mai di quella prudenza che gli ha concesso il Signor Iddio, sostenendo questi colpi con quella fortezza d’animo, che la religione, professione ed età sua ricercano. E giacché ella per molta esperienza può aver piena conoscenza della fallacia e instabilità di tutte le cose di questo mondaccio, non dovrà far molto caso di queste burrasche, anzi sperar che presto sieno per quetarsi e cangiarsi in altrettanta sua sodisfazione.
Dico quel tanto che mi somministra il desiderio, e che mi pare che prometta la clemenza che Sua Santità ha dimostrato inverso di V. S. in aver destinato per la sua carcere luogo sì delizioso, onde mi pare che si possa sperare anco commutazione più conforme al suo e nostro desiderio; il che piaccia a Dio che sortisca, se è per il meglio. Intanto la prego a non lasciar di consolarmi con sue lettere, dandomi ragguaglio dell’esser suo quanto al corpo e molto più quanto all’animo: io finisco di scrivere, ma non già mai d’accompagnarla con il pensiero e con le orazioni, pregando sua divina Maestà che gli conceda vera quiete e consolazione.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

97.

A Siena

San Matteo, 13 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Che la lettera che V. S. mi scrive da Siena (ove dice di ritrovarsi con buona salute) m’abbia apportato contento grandissimo, e similmente a Suor Arcangela, non occorre ch’io m’affatichi in persuadernela, perché Ella saprà meglio penetrarlo che non saprei io esplicarlo; ma ben vorrei sapergli descrivere il giubilo e allegrezza che queste madri e sorelle hanno dimostrato nel sentire il felice ritorno di V. S., ch’è veramente stato straordinario; poiché la madre Badessa, con molte altre, sentendo questo avviso, mi corsono incontro con le braccia aperte, e lagrimando per tenerezza e allegrezza; cosa veramente che mi ha legata per schiava di tutte, per aver da questo compreso quanto affetto esse portino a V. S. e a noi.
Il sentir poi ch’Ella se ne stia in casa d’ospite tanto cortese e benigno, quanto è monsignor Arcivescovo, raddoppia il contento e sodisfazione, ancorché ciò potessi esser con qualche pregiudizio del nostro proprio interesse, poiché facilmente potrà essere che quella così dolce conversazione la trattenga costì più lungamente di quello che avremmo voluto. Ma, già che qua per ancora non terminano i sospetti del contagio, lodo ch’Ella si trattenga e aspetti (come dice di voler fare) la sicurezza dagli amici più cari, li quali, se non con maggiore affetto, almeno con più sicurezza di noi potranno accertarla della verità.
Ma frattento stimerei che fossi bene il pigliar compenso del vino che si trova nella sua cantina, almeno d’una botte; perché se bene per ancora si va mantenendo buono, dubito che a questi caldi non faccia qualche stravaganza: e già quella botte che V. S. lasciò manomessa, del quale beono la serva e il servitore, ha cominciato a entrar in fortezza. V. S. potrà dar ordine di quello che vorrà che si faccia, perché io non ho troppa scienza in questo negozio; ma vo facendo il conto, ch’essendosi V. S. provvista per tutto l’anno, ed essendo stata fuori sei mesi, di ragione dovrà avanzarne, ancorché Ella tornasse fra pochi giorni.
Ma lasciando questo da parte, e venendo a quello che più mi preme, io veramente avrei desiderio di sapere in che maniera sia terminato il suo negozio con sodisfazione sua e de’ suoi avversati, siccome m’accennò nella penultima che mi scrisse di Roma: faccilo con suo comodo, e quando sarà ben riposata, ché averò pazienza un altro poco aspettando di restar capace di questa contradizione.
Il signor Geri fu qui una mattina, mentre si dubitava che V. S. si trovasse in travaglio, e insieme con il signor Aggiunti fece in casa di V. S. l’opera, che poi mi avvisa che li ha fatto intendere, la quale ancora a me parve ben fatta e necessaria, per ovviare a tutti gli accidenti che fossero potuti avvenire, onde non seppi negargli le chiavi e l’abilità di farlo, vedendo massime la premura ch’egli aveva negli interessi di V. S.
Alla signora Ambasciatrice scrissi sabbato passato con quel maggior affetto ch’io seppi, e, se ne avrò risposta, V. S. ne sarà consapevole. Finisco perché il sonno m’assale essendo tre ore di notte, sì che V. S. m’averà per scusata se averò detto qualche sproposito. Gli ritorno duplicati i saluti per parte di tutte le nominate e particolarmente la Piera e Geppo, li quali per il suo ritorno sono tutti allegri; e prego Dio benedetto che gli doni la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

98.

A Siena

San Matteo, 16 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Ho vista la lettera del signor Mario [Guiducci] con mia grandissima consolazione, avendo per mezzo d’essa compreso in quale stato V. S. si ritrovi quanto all’interna quiete dell’animo, e con questo anco il mio si sollieva e tranquilla in gran parte, ma non in tutto, mediante questa lontananza e l’incertezza del quando io deva rivederla: ed ecco quanto è pur vero che in cosa alcuna di questo mondo non può trovarsi vera quiete e contento.
Quando V. S. era a Roma, dicevo nel mio pensiero: se ho grazia ch’egli si parta di là e se ne venghi a Siena mi basta, potrò quasi dire che sia in casa sua. Ed ora non mi contento, ma sto bramando di riaverla qua più vicina. Orsù, benedetto sia il Signore che fino a qui ci ha fatto grazia così grande. Resta che procuriamo di esser grati di questa, per maggiormente disporlo e commuoverlo a concederne dell’altre per l’avvenire, come spero che farà per sua misericordia.
Intanto io principalmente fo grande stima di quest’una più che di tutte l’altre, la quale è la conservazione di V. S. con buona sanità in mezzo ai travagli che ha passati.
Non ho né tempo né occasione di scriver più a lungo per ora. Con l’occasione d’un’altra sua, che pur presto doverà comparirmi, scriverò più a lungo e gli darò ragguaglio minuto della casa.
La saluto in nome di tutte le solite e del signor Rondinelli tutto amorevole inverso di noi; e dal Signore Iddio gli prego consolazione.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

99.

A Siena

San Matteo, 23 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Il signor Geri non mi ha per ancora potuto mandar la lettera che V. S. gli ha scritto, essendogli bisognato lasciarla al Granduca: mi promette bene di procurar ch’io l’abbia quanto prima.
Intanto io resto molto sodisfatta con questa che V. S. scrive a me, per la quale comprendo ch’Ella sta bene di sanità, e con ogni comodità e sodisfazione, e ne ringrazio Dio, dal quale (come altre volte gli ho detto) riconosco la sua sanità per grazia speciale.
Ier mattina mi feci portar un poco di saggio del vino delle sue botti, delle quali una è bonissima, l’altra ha cattivo colore, e anco il sapore non mi sodisfa, parendomi che voglia guastarsi. Stasera lo farò sentir al signor Rondinelli, che, conforme al solito degli altri sabati, dovrà venirsene alla villa; ed egli meglio saprà conoscere se sia cattivo per la sanità, che quanto al gusto non sarebbe dispiacevole, ed io ne darò parte a V. S. acciò ordini quello che se ne deva fare, caso che non sia buono. Quel bianco ch’è nei fiaschi è forte e farà un aceto esquisito, eccetto che quello della fiasca, che, per aver solamente un poco il fuoco, ce lo andiamo bevendo avanti che egli peggiori: il difetto non è stato della Piera, perché gli ha spesso riguardati e visto che si mantenevano pieni. Dei capperi se ne sono acconci una buona quantità, cioè tutti quelli che sono stati nell’orto, perché la Piera mi dice che a V. S. gli gustano assai.
Son parecchi giorni che in casa non è più farina; ma perché a questi gran caldi non si può far quantità di pane, che indurisce subito e muffa, e per il poco non torna il conto a scaldare il forno, fo che il ragazzo lo compri qui alla bottega.
Con quest’altra li darò più minuto ragguaglio delle spese fatte alla giornata, perché adesso non me ne basta l’animo, sentendomi (conforme al mio solito in questa stagione) con un’estrema debolezza, tanto che non ho forza di muover la penna, per così dire. La saluto caramente per parte di tutte queste madri, alle quali pare ogn’ora mill’anni, per il desiderio che hanno, di rivederla, e prego il Signore che la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

100.

A Siena

San Matteo, 24 luglio 1633

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.
Ho letto la lettera che V. S. scrive al signor Geri con mio particolar gusto e consolazione, per le cose che nel primo capitolo d’essa si contengono. Nel terzo capitolo ancor io m’intrometterò per esser esso attenente al negozio di non so che casetta, la quale ho penetrato che il signor Geri ha gran desiderio che Vincenzio compri, ma con l’aiuto di V. S. Io veramente non vorrei esser prosuntuosa, entrando in quelle cose che non m’appartengono. Nondimeno, perché assai mi preme qualsivoglia minimo interesse di V. S., la pregherei ed esorterei (caso ch’Ella si trovi in stato di poterlo fare) a dar loro non dirò in tutto, ma qualche parte di sodisfazione, non solo per amor di Vincenzio, quanto per mantener il signor Geri in quella buona disposizione che ha inverso di Lei, avendo egli, nelle occasioni che son passate, mostrato grande affetto a V. S., e, per quanto mi pare, procurato di aiutarlo in quel poco ch’ha potuto: sì che, se, senza suo molto scomodo, V. S. potesse darli qualche segno di gratitudine, non lo stimerei se non per ben fatto.
So che da per sé medesima può infinitamente meglio di me disporre e penetrar queste cose, e io forse non so quel che mi dica, ma so bene che dico quello che mi detta un puro affetto inverso di Lei.
Il servitore ch’è stato a Roma con V. S. venne qui ier mattina, esortato a ciò fare da messer Giulio Ninci. Mi parve strano di non veder lettere di V. S. Pur restai appagata della scusa che per lei fece il medesimo uomo, dicendo che V. S. non sapeva ch’egli passasse di qua. Adesso che V. S. è senza servitore, il nostro Geppo non può star alle mosse, e vorrebbe in ogni maniera, se gli fosse concesso il passo, venir da lei, e io l’avrei caro. V. S. potrà dire il suo pensiero, che vedrei di mandarlo con buona accompagnatura, e credo che il signor Geri gli potrebbe far avere il passaporto.
Desidero anco di sapere quanta paglia si deva comprare per la muletta, perché la Piera ha paura che non si muoia di fame, e la biada non è troppo per lei, ch’è bizzarra d’avanzo.
Da poi in qua che gli mandai la nota delle spese fatte per la sua casa, son corse queste che gli mando notate, oltre ai danari che ogni mese ho fatto pagare a Vincenzio Landucci, che di tutti tengo le ricevute, eccetto che di questi ultimi; nel qual tempo, e siccome anco seguì di presente, egli si ritrovava serrato in casa con i due figliuolini per essergli morta la moglie, per quanto si dice, di mal cattivo; che veramente si può dire che sia uscita di stento e andata a riposarsi, la poverella. Egli mandò a domandarmi li 6 scudi per l’amor di Dio, dicendo che si moriva di fame, ed essendo anco compito il mese glieli mandai; e lui promise la ricevuta quando fossi fuor di sospetto, e tanto procurerò che mantenga; se non altro avanti lo sborso di questi altri, caso che V. S. non sia qua da per sé, come dubito mediante questi eccessivi caldi che si fanno sentire.
I limoni dell’orto cadevano tutti, onde quei pochi restati si sono venduti, e delle 2 lire che se ne sono avute ne ho fatto dire tre messe per V. S. secondo la mia intenzione. Scrissi alla signora Ambasciatrice, come S. V. ordinò, e mandai la lettera al signor Geri, ma non ne tengo risposta, onde non so se sarà bene tornar a riscrivergli con dimostrar dubbio se forse o la mia o la sua lettera sian andate a male. E qui, salutando V. S. di tutto cuore, prego Nostro Signore che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

101.

A Siena

San Matteo, 28 luglio 1633

Amatissimo Signor Padre.
Mi maraviglio che V. S. sia stato un ordinario senza mie lettere, non avendo io lasciato di scriverle e mandarle al signor Geri, e quest’ultima settimana ne ho scritte due, una sabbato e una il lunedì; ma forse a quest’ora li saranno pervenute tutte, e V. S. resterà minutamente informata d’ogni particolarità di casa, come desidera.
Restava solo imperfetta la relazione del vino, il quale sentito dal signor Rondinelli, con il suo consiglio s’è travasato in un’altra botte per levarlo di sopra a quel letto: si starà a vedere qualche giorno, e, se non migliorerà, bisognerà vedere di contrattarlo avanti che si guasti affatto: questo è quanto alla botte che già gli avevo avvisato che cominciava a patire, l’altra per ancora si mantiene molto buona.
Non ho mancato di preparar l’aloé per V. S., e fino a qui, vi ho ritornato sopra il sugo di rose sette volte; e perché di presente non è tanto asciutto che si possi metter in opera nelle pillole, li mando per ora un girelletto di quelle che facciamo per la nostra bottega, nelle quali è lo aloé pur lavato con sugo di rose, ma una sol volta; nondimeno non credo che per una presa siano per farli danno, avendo avuto qualche correzione.
Quanto il Landucci si dolga per la morte di sua moglie, io non posso saperlo, né averne altra relazione che quella che mi dette Giuseppe il giorno che andò insieme con il signor Rondinelli a portargli li 6 scudi, che fu li 18 stante; e mi disse che posò i danari su la soglia dell’uscio e che vedde Vincenzio là in casa lontano dalla porta assai, che mostrava d’esser molto afflitto con una cera di morto più che di vivo, e con lui erano li due figliuolini, un maschio e una femmina, che tanti e non più gliene sono restati.
Godo di sentire che V. S. si vadia conservando in sanità e la prego a procurar di conservarsi, col regolarsi particolarmente nel bere che tanto gli è nocivo, perché dubito che il gran caldo e la conversazione non li siano occasioni di disordinare con pericolo d’ammalarsi, e per conseguenza di differire ancora il suo ritorno tanto da noi desiderato.
La nostra signora signora Giulia, madre di Suor Luisa e sorella del signor Corso, ha in questi giorni fatto alle braccia con la morte, e ancor che vecchia di 85 anni, l’ha superata contro ogni nostra credenza, essendo stata tanto male che si trattava di darle l’olio santo: adesso è tanto fuor di pericolo che non ha più febbre, e si raccomanda a V. S. per mille volte, ed il simile fanno tutte le amiche. Il Signor Iddio gli conceda la sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

102.

A Siena

San Matteo, 3 agosto 1633

Amatissimo Signor Padre.
Scrivo questi pochi versi molto in fretta per non trasgredir al precetto di V. S. che m’impone, ch’io non lasci passar settimana senza scrivere. Quanto al vino che si travasò, par che sia alquanto migliorato di colore, e alla Piera non gli dispiace e ne va bevendo: si è trovato da darne a vin per vino 3 barili; 2 ne piglierà il fabbro, mezzo il lavoratore dell’Ambra, e mezzo Domenico che lavora qui il podere dei signori Bini: si cercherà di darne ancora un altro barile, perché finalmente non vorrei che ne gettassimo via punto, e il resto, che sarà un altro barile o poco più, se lo beveranno, perché così si contentano, e anco Suor Arcangiola non si fa pregare a dar loro aiuto.
In colombaia son due para di piccioncini che aspettano che V. S. venga in persona a dar loro l’ultima sentenza. I limoni [fanno?] mostra ragionevole, se andranno innanzi; ma le melangole, i melaranci fecion pochi fiori, e di quei pochi ne sono andati innanzi pochissimi; pur ve n’è qualcuno.
Il pan che si compra per otto quattrini è grande e bianco.
La paglia per la mula si provvederà: dello strame non bisogna farne disegno, perché quest’anno è stato carestia d’erba, oltre, dice la Piera, che alla signora mula non gli sodisfa molto, e che V. S. si ricordi che l’anno passato ella se ne faceva letto per star più soffice. Adesso ha avuto un poco di male in bocca, perché ha lo stomaco tanto gentile che dicono, che il ber fresco gli abbia fatto male, del che la Piera è stata tribolata. Adesso sta meglio.
V. S. fece bene ad aprir la lettera della cortesissima signora Ambasciatrice, alla quale vorrei in ogni maniera mandar a presentare qualche galanteria insieme con il cristallo, quando s’apriranno i passi. Il signor Geri non è ancora venuto qui. Sicché per ora non posso dir altro a V. S. se non che di molto gusto mi sono stati gli altri avvisi che mi dà nell’ultima, circa gli onori e sodisfazioni che riceve costà. E caramente la saluto, e prego N. S. che la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

103.

A Siena

San Matteo, 6 agosto 1633

Amatissimo Signor Padre.
Il signor Geri fu ieri mattina a parlamento meco per conto del negozio della casetta; e, per quanto potetti comprendere, egli non ha altra pretensione che l’utile e benefizio di Vincenzio, il quale sarebbe assai coll’occasione di questa compra, potendo bonificare e accrescere la casa grande, che pur gli pare angusta, niente niente che Vincenzio cresca in famiglia; tanto più che dice esservi una stanza sopra la cisterna che non si può abitare per essere malsana: e al quesito ch’io gli feci se aveva pensiero d’abitarvi insieme con Vincenzio, mi rispose che, quando egli avesse voluto starvi, non poteva, e ch’è di necessità ch’egli ne pigli una più comoda e vicina al Palazzo, perché, tanto per lui quanto per quelli che tutto il giorno vanno a trovarlo, questa su la Costa è troppo disadatta e fuor di mano. Stando saldo su questo punto, concludo che il signor Geri avrebbe desiderato che V. S. avessi interamente comprato la casetta, la quale non passerà i 300 scudi in modo alcuno, per quanto egli dice: gli replicai che non mi pareva né possibile, né dovere che V. S. fossi aggravato di tanto, essendo verisimile ch’ella si trovi scarsa di danari, avendo avuto occasione di fare spese più che ordinarie, e gli soggiunsi che si poteva proporre e pregar V. S. a concorrere alla metà della spesa, caso che si trovi in comodo, e giacché dice anco che si sforzerà a dar loro ogni possibile sodisfazione, e che l’altra metà dei denari avrebbe potuto il medesimo signor Geri accomodare a Vincenzio, finché egli abbia comodità di renderglieli; al che il signor Geri condiscese con molta prontezza e cortesia, dicendomi che, sebbene nel tempo che V. S. è stata fuora ha accomodati altri danari a Vincenzio, nondimeno avrebbe preso ogni scomodo, prestandogli anche questi 150 scudi, purché questa buona occasione non gli fuggissi dalle mani. Questo è quello che si concluse che si dovesse proporre a V. S. come fo di presente: a Lei sta lo eleggere, poiché molto meglio di me può saper quanto si possa distendere; solamente aggiugnerò che l’essermi convenuto interessarmi in questo negozio, non mi è stato di poca mortificazione, prima perché non vorrei in minima cosa disturbar la sua quiete da lei raccomandatami; il che temo che non segua, giacché mi par ch’Ella non inclini troppo a questa spesa. Dall’altra banda l’escluder affatto il signor Geri che domanda a V. S. per un suo figliuolo, e che dimostra tanto affetto a lei e a tutta la casa nostra, non mi par cosa lodevole. Di grazia V. S., col darmi risposta quanto prima, mi liberi da questa sollevazione d’animo; e anco potrà avvisarmi che effetto abbiano fatto le pillole, e se vorrà che io gliene mandi, dell’altre di queste medesime, non potendosi ancora mettere in opera l’aloé che ho preparato per formarne di nuove.
Suor Giulia gli ritorna le salutazioni, e sta con desiderio aspettando, non il fiasco del vino bianco che V. S. li promette, ma ben lei medesima; e il signor Rondinelli fa l’istesso, al quale non lascio di partecipare le lettere che V. S. mi scrive, quando mi par di poterlo fare; e qui a Lei mi raccomando, e dal Signor Iddio prego felicità.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

104.

A Siena

San Matteo, 13 agosto 1633

Amatissimo Signor Padre.
Se le mie lettere, com’Ella mi dice in una sua, li sono rese spesse volte in coppia, e io gli dico, per non replicar il medesimo, che quest’ultima volta le sue sono venute come i frati zoccolanti, non solamente accoppiati, ma con gran strepito, facendo in me una commozione più che ordinaria di gusto e contento, che ho preso in sentir che la supplica, che per Vincenzio e per il signor Geri, ho presentata a V. S., o raccomandata per dir meglio, sia da Lei stata segnata con tanta prontezza e con più larghezza di quello ch’io domandavo: e da questo fo conseguenza che non sia altrimenti con la mia importunità restata disturbata la sua quiete, ch’è quello che mi premeva, e per questo mi allegro e la ringrazio.
Quanto al suo ritorno, Dio sa quanto io lo desideri; nondimeno, quando V. S. potessi penetrare che, partendosi di cotesta città, li convenisse per qualche tempo fermarsi in luogo sì ben vicino, fuori di casa sua, crederei che fossi meglio per la sua sanità e per la sua reputazione, il trattenersi qualche settimana d’avvantaggio dove di presente si ritrova in un paradiso di delizie, specialmente mediante la dolcissima conversazione di cotesto Ill[ustrissi]mo monsignor Arcivescovo; e poter poi addirittura venirsene al suo tugurio, il qual veramente si lamenta di questa sua lunga assenzia; e particolarmente le botti, le quali, invidiando le lodi che V. S. dà ai vini di cotesti paesi, per vendetta, una di loro, ha guastato il vino, o pur il vino ha cercato di guastar lei, come già gli ho avvisato. E l’altra avrebbe fatto il simile, se non fosse stata prevenuta dall’accortezza e diligenza del signor Rondinelli, il quale conoscendo il male ha procurato il rimedio, consigliando e operando acciò il vino si venda, come s’è fatto, per mezzo di Matteo bottegaio, ad un oste. Oggi appunto s’infiasca e se ne manda via due some; e il signor Rondinelli assiste. Delle quali senza fallo credo che se ne averanno 8 scudi: quello che sopravanzerà alle due some si metterà nei fiaschi per la famiglia e per noi che ne piglieremo volentieri qualche pocherello: si è sollecitato a pigliar questo spediente avanti che il vino facesse altra novità maggiore, per non l’aver a buttar via.
Il signor Rondinelli attribuisce questa disgrazia al non essersi levato il vino di sopra quel letto che fa nella botte, avanti che venissero i caldi; cosa ch’io non sapevo, perché non son pratica in questi maneggi.
La mostra dell’uva dell’orto era assai scarsa, e due furie di gragnuola che l’ha percossa hanno finito di rovinarla. Se n’è colta un poco di quella lugliola avanti che ci arrivino i malandrini, quali, non avendo trovato altro da dissipare, hanno colte alcune mele. Il giorno di San Lorenzo fu qui all’intorno un tempo cattivissimo con vento tanto terribile che fece molto danno, e alla casa di V. S. ne toccò qualche poco, essendo andato via un buon pezzo di tetto dalla banda del signor Chellini, e anco fece cadere un di quei vasi ne’ quali sono i melaranci. Il frutto si è trapiantato in terra fino a che V. S. dirà se si deve comprar altro vaso per rimettervelo, e del tetto si è fatto sapere ai signori Bini che hanno promesso di farlo rassettare.
Di altri frutti non v’è quasi niente; e particolarmente delle susine, nessuna; e quelle poche pere che vi erano, il vento le ha vendemmiate. Molto bene son riuscite le fave, che, per quanto dice la Piera, saranno intorno a 5 staia e molto belle: adesso vi sono dei fagiuoli.
Mi resterebbe da rispondergli qualcosa circa quel particolare ch’Ella mi dice del stare o non stare in ozio; ma lo riserbo a quando averò manco sonno, che adesso che sono 3 ore di notte. La saluto per parte di tutti i nominati, e di più del signor medico Ronconi il quale non vien mai qui che con grand’istanza non mi domandi di lei. Il Signore Iddio la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

105.

A Siena

San Matteo, 20 agosto 1633

Amatissimo Signor Padre.
Quando scrissi a V. S. circa il suo avvicinarsi qua, ovvero trattenersi costì ancora qualche poco, sapevo l’istanza che s’era fatta al signor Ambasciatore, ma non già la sua risposta, la quale intesi dal signor Geri che fu qui martedì passato, quando già avevo scritto a V. S. un’altra lettera, e inclusovi la ricetta delle pillole che a quest’ora doverà esserle pervenuta. Il motivo adunque che m’indusse a scriverle in quella maniera fu, ch’essendomi io trovata più volte a discorrere con il signor Rondinelli, il quale in questo tempo è stato il mio rifugio (perché, come pratico ed esperimentato nelle cose del mondo, molte volte m’ha alleggerito il travaglio, pronosticandomi per l’appunto come le cose di V. S. potevan passare, le quali io mi figuravo più precipitose di quello che poi sono state); fra l’altre una volta mi disse che in Firenze si diceva che quando V. S. partiva di Siena doveva andar alla Certosa, cosa che a nessuno degli amici era di gusto; e vi aggiunse buone ragioni, ma in particolare alcuna di quelle che intendo che ha poi addotte il medesimo signore Ambasciatore, e quelle massimamente che se, con troppo sollecitar il ritorno di V. S., si aveva una negativa, bisognava poi necessariamente lasciare scorrere più lunghezza di tempo avanti che si ritornasse a supplicare. Ond’io che temevo di questo successo che facilmente sarìa seguìto, sentendo che V. S. sollecitava, mi mossi a scriverli in quella maniera.
Che se a lei non fo gran dimostrazione del desiderio ch’ho del suo ritorno, resto per non accrescerli lo stimolo e inquietarla maggiormente. Anzi che in questi giorni sono andata fabbricando castelli in aria, pensando fra me medesima, se, dopo questi due mesi di dilazione non si ottenendo la grazia, io avessi potuto ricorrere alla signora Ambasciatrice acciò, col mezzo della cognata di Sua Santità, avess’ella procurato d’impetrarla. So, come li dico, che questi son disegni poco fondati, con tutto ciò non stimerei per impossibile che le preghiere di pietosa figliuola superassero il favore di gran personaggi. Mentre adunque mi ritrovo in questi pensieri, e veggo che V. S. nella sua lettera mi soggiugne che una delle cause che li fanno desiderare il suo ritorno è per vedermi rallegrare di certo presente, oh li so dire che mi son alterata da ver davvero; ma però di quell’adirazione alla quale ci esorta il santo Re David in quel salmo ove dice, «Irascimini et nolite peccare.» Perché mi par quasi quasi che V. S. inchini a creder che più sia per rallegrarmi la vista del presente che di lei medesima: il che è tanto differente dal mio pensiero quanto sono le tenebre dalla luce. Può esser ch’io non abbia inteso bene il senso delle sue parole, e per questo m’acqueto, che altrimenti non so quel ch’io dicessi o facessi. Basta, V. S. vegga pure se può venirsene al suo tugurio che non può star più così derelitto, massimamente adesso che si approssima il tempo di riempier le botti, le quali, per gastigo del male che hanno commesso in lasciar guastar il vino, si sono tirate su nella loggia e quivi sfondate per sentenza dei più periti bevitor di questo paese, i quali notano per difetto assai rilevante quella usanza che ha V. S. di non le far mai sfondare, e dicono che adesso non posson patire e non hanno il sole addosso.
Ebbi li 8 scudi del vino venduto, che n’ho spesi 3 in sei staia di grano, acciò che, come rinfresca, la Piera possa tornare a fare il pane; la qual Piera si raccomanda a V. S. e dice che se si potesse mettere in bilancia il desiderio che ha V. S. del suo ritorno e quello che prova lei, sarebbe sicura che la bilancia di lei andrebbe nel profondo e quella di V. S. se n’andrebbe al cielo: di Geppo poi non bisogna ragionare. Il signor Rondinelli a questa settimana ha pagati li 6 scudi a Vincenzio Landucci ed ha avuto due ricevute, una per il mese passato, l’altra del presente: intendo che stanno bene lui e i figli, ma quanto al loro governo non so come si vadia, non l’avendo potuto spiare da nessuna banda. Mando altra pasta delle medesime pillole, e la saluto di tutto cuore insieme con le solite e il signor Rondinelli. Nostro Signore la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

106.

A Siena

San Matteo, 27 agosto 1633

Amatissimo Signor Padre.
Sto con speranza che la grazia che V. S. (con quelle condizioni che mi scrive) ricerca d’ottenere, li abbia a esser concessa; e mi par mill’anni di sentir la risposta che V. S. ne ritrarrà, sì che di grazia me lo avvisi presto quand’anche sortisse in contrario; il che pur non voglio credere.
Li do nuova come, mediante la morte del signor Benedetto Parenti che seguì mercoledì passato, il nostro Monasterio ha ereditato un podere all’Ambrogiana, e il nostro procuratore andò l’istessa notte a pigliarne il possesso. Da più persone abbiamo inteso ch’è stimato di valuta di più di cinque mila scudi, e dicono che quest’anno vi si sono ricolte 16 moggia di grano e vi saranno 50 barili di vino e 70 sacchi di miglio e altre biade, sicché il mio convento resterà assai sollevato.
Il giorno avanti ch’io ricevessi la lettera di V. S., messer Ceseri s’era servito della muletta per andar a Fiesole, e Geppo mi disse che la sera la rimenò a casa tutta sferrata e mal condotta, sì che gli ho imposto che, quando messer Ceseri tornasse a domandarla, gli risponda con creanza, allegandoli l’impossibilità della bestiuola e la volontà di V. S. ch’è ch’essa non si scortichi.
Sono parecchie settimane che la Piera non ha da lavorare per la casa, e perché intendo che costà v’è abbondanza di lino buono, s’è vero, V. S. potrebbe veder di comprarne qualche poco; che se bene è sottile, sarà migliore per far pezzuole, federe e simili cose: e io desidero che V. S. mi provvegga un poco di zafferano per la bottega, del quale n’entra anco nelle pillole papaline, come avrà potuto vedere. Non mi sento interamente bene, e per questo scrivo così a caso; mi scusi e mi voglia bene. A Dio, il quale sia quello che gli doni ogni consolazione.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

107.

A Siena

San Matteo, 3 settembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Il sentir ragionar d’andar in campagna mi piace per la parte di V. S., sapendo quanto quell’abitazione gli sia utile e gustosa, ma mi dispiace per la parte nostra, vedendo che anderà in lungo il suo ritorno: ma sia pur come si voglia, mentre ch’ella per grazia di Dio benedetto si conserva sana e lieta, tutti gli altri accidenti sono tollerabili, anzi si fanno soavi e gustosi con la speranza che tengo che da queste sue e nostre mortificazioni il Signor Iddio, come sapientissimo, sia per cavarne gran bene per sua pietà.
La disgrazia del vino è stata grande per V. S. e sto per dire maggiore per noi, che, perché lei trovassi le botti ben condizionate, non ne aviamo mai bevuto un pocolino, e di quella che V. S. lasciò manomessa ne pigliammo poco, perché presto prese il fuoco e non ci piaceva più, e quel poco di bianco, per aspettar troppo lungamente V. S., diventò aceto: ve ne sono in casa sei fiaschi dell’ultimo che si è venduto, che è ragionevole per la servitù: ve ne erano alcuni di quel primo che si levò via che era diventato cattivo affatto, e non ho voluto che lo bevino: fino al nuovo bisognerà che lo comprino a fiaschi, e pregherò il signor Rondinelli che indirizzi Geppo ove possa andare a trovarne di quella sorte che sarà proporzionato per loro.
Per la muletta si è fatto provvisione di 3 migliala di paglia buonissima, e si è pagata sette lire e quattro crazie il migliaio; strame quest’anno non ce ne è stato, oltre che non sodisfa alla bestiolina.
È un gran pezzo che avevo mandato il ragazzo a pigliar l’oriuolo, ma il Maestro non glie lo volse dare dicendo che voleva aspettare che V. S. tornasse; ieri mandai di nuovo a dirgli che lo rimandassi in ogni maniera, e disse che bisognava prima rivederlo, che tornassi un altro giorno, e così si farà, e se per sorte non lo dessi, ordinerò al ragazzo che stia con il signor Rondinelli.
Signor Padre, vi fo sapere ch’io sono una Bufola, assai maggior di quelle che sono in costete maremme, perché vedendo che V. S. mi scrive di mandar sette uova di cotesto animale mi credevo che veramente fossino uova, e facevo disegno di far una grossa frittata, persuadendo che fussino grandissime, e ne avevo fatta allegrezza con Suor Luisa, la quale non ha avuto poco da ridere della mia goffaggine. Domattina, che sarà domenica, il ragazzo andrà a San Casciano a pigliar le bisacce, come V. S. ordina; intanto li rendo grazie per tutte le cose ch’ella dice di mandare.
Quando V. S. tornerà qua, non ci ritroverà il signor Donato Gherardini rettore di Santa Margherita a Montici e fratello della nostra Suor Lisabetta, perché è morto due giorni sono, e ancora non si sa chi deva essergli il successore.
Suor Polissena Vinta avrebbe desiderio di saper se in alcuni sollevamenti, ch’è fama che siano seguiti costà, v’interviene il signor cavalier Emilio Piccolomini, figlio del capitan Carlo che fu marito d’una nipote della medesima Suor Polissena; la quale, per poter maggiormente raccomandarlo al Signore, desidera di sapere da V. S. qualche verità, poiché molte cose che si dicono non si posson credere; né stimar che sieno altro che bugie e favole del vulgo.
Procurai che le due lettere, che mi mandò incluse, fossero subito recapitate; altro non posso dirle se non che, quando ricevo sue lettere, subito lette torno a desiderare che giunga l’altro ordinario per averne dell’altre, e particolarmente adesso che aspetto qualche arrivo di Roma.
La madre Badessa, il signor Rondinelli e tutte l’altre gli tornano duplicati saluti, e da Dio benedetto gli prego abbondanza di grazia celeste.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

108.

A Siena

San Matteo, 10 settembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Giovedì passato, e anco venerdì fino a notte, stetti con l’animo assai sospeso, vedendo che non comparivano sue lettere, non sapendo a che attribuirmi la causa di quel silenzio. Quando poi le ricevei, e che intesi che monsignor Arcivescovo era stato consapevole della mia goffaggine non potei non arrossire, se bene dall’altra banda ho caro d’aver dato a V. S. materia di ridere e rallegrarsi, ché per questo molte volte gli scrivo delle scioccherie.
Ho consolata la madre Vinta con la sicura nuova che V. S. da del suo nipote, e quando ella intese il particolare soggiunto dal medesimo magnifico Signore circa l’aver della carità, si risentì gagliardamente dicendo, che non solamente il signor Emilio, ma l’istessa Elisabetta sua madre non la ricordano mai, e ch’ella crede ch’essi si persuadino che sia morta: eppure se sia bisognosa V. S. lo sa, stando ella quasi del continuo in letto malata.
Ebbi le bisaccie con tutte le robe che V. S. scriveva di mandare: dell’uova bufaline ne ho fatto parte alle amiche e al signor Rondinelli; il zafferano è bonissimo e più che abbastanza per le pillole, per le quali ho corretto intorno a 4 o 5 once di aloé, che dovrà essere assai buono avendovi io tornato sopra sette volte il sugo di rosa. La prima volta che torno a scrivere, che procurerò che sia avanti martedì, li manderò della pasta che voglio far di nuovo oggi o domani, se il dolore di testa e di denti, che provo di presente, si mitigherà alquanto, che per questo lascio di scrivere, e seguo di tenerla raccomandata al Signore Iddio il quale sia quello che gli conceda vera consolazione.

figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

109.

A Siena

San Matteo, 17 settembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Pensavo pure di fare una burla a V. S., facendole comparir costì il nostro Geppo all’improvviso; ma, per quanto intendo, il signor Geri m’averà prevenuto con avvisarglielo. Ho avuto questo desiderio da poi in qua ch’Ella si trova in Siena. Ier l’altro finalmente mi risolvei, e ieri per mia buona sorte andò un bando che contiene la libertà dei passi quasi per tutto lo Stato, che così m’avvisa il signor Rondinelli, dicendo che nella sua non ne dà parte a V. S., perché non s’era ancor pubblicato quando egli la scrisse. Credo ch’Ella vedrà volentieri il ragazzo, sì per aver sicure nuove di noi, come anche minuto ragguaglio della casa, e noi all’incontro averemo gusto particolare d’intendere il suo benessere da persona che l’averà veduta. Intanto V. S. potrà vedere se ha bisogno di qualcosa, cioè di biancherie o altro, e avvisarlo, perché averò comodità di mandarle sicure.
Quanto alle botti, che è il principal capitolo della sua lettera al qual devo rispondere, avanti questa sera ne parlerò con Luca nostro lavoratore, e lo pregherò che vada a vederle e le procuri secondo che sarà di bisogno, perché in questo negozio egli mi par assai intendente.
Il zafferano a Suor Luisa e a me ci par perfettissimo, e per conseguenza a buon mercato a due lire l’oncia, stante la sua bontà; e noi non l’aviamo mai avuto a così buona derrata, ma sì bene a 4 giuli e 50 soldi: il lino di 20 crazie la libbra è buono, ma non credo che metta conto a pigliarne a questo prezzo per far tele dozzinali per la casa; n’ho consegnato un mazzo alla Piera dicendole che lo fili sottile; vedremo come riuscirà: è ben stupendo quell’altro di 4 giuli, e qua ci sono delle monache che l’hanno pagato fino a mezzo scudo la libbra di questa sorte; se V. S. ce ne mandasse un altro poco, faremo una tela di soggoli molto bella.
La signora Maria Tedaldi fu qui la settimana passata con la sua figliuola restata vedova, e mi disse che adesso più che mai desiderava il ritorno di V. S., ritrovandosi bisognosa del suo favore nell’occasione del rimaritar quella giovanetta, avendo la mira e il desiderio di darla ad un tale dei Talenti con il quale non ha altro miglior mezzo che quello di V, S., e se per lettera V. S. credesse di poterli dar qualche aiuto, ella lo desidererebbe; tanto m’impose ella ch’io dovessi dirli, e tanto le dico.
Gli mando buona quantità di pillole di quelle dorate acciò gli possi donare, e quelle in rotelle per pigliarle per sé quando ne ha bisogno.
Avrò caro di sapere se quelle poche paste che gli mando gli saranno gustate, non essendo riuscite a mia intiera sodisfazione, forse per il desiderio che io ho che le cose che fo per lei siano di tutta quella esquisitezza che sia possibile, il che mai mi riesce: i morselletti di cedro (che sono quelli che sono in fondo della scatola) per lo manco saranno troppo duri per lei, avendoli io fatti subito che V. S. venne a Siena, sperando di poterglieli mandar molto prima che adesso: gli raccomando la scatola perché non è mia.
La nota delle spese che gli mando questa volta, importa più dell’altre; ma non si è potuto andar più ritirato. Almeno V. S. vedrà che Geppo ci fa onore con la sua buona cera, e ha penato assai a riaversi da quella malattia ch’ebbe. Le lire sette ch’ho appuntate di elemosina, le detti per amor della Madonna SS. la mattina della sua natività ad una persona che si trovava in gran necessità, con condizione che si facesse orazione particolare per V. S. S’ella se ne andrà alla villa, come spero, in compagnia di Monsignore, potrà con maggior facilità andar tollerando la lontananza dal suo caro tugurio, sì che di grazia procuri di star allegramente, e se gli par che il tempo sparisca, come in una sua mi scrive non è molto, spariranno anco presto presto questi giorni o settimane ch’ella deve ancora trattenersi costì, e maggiore sarà la sua e nostra allegrezza quando ci rivedremo. Gli raccomando il buon ricapito di queste lettere, che sono di monache nostre amiche, le quali insieme con la madre Badessa, Suor Arcangiola e Suor Luisa la salutano affettuosamente; e io prego Nostro Signore che gli conceda il compimento di ogni suo giusto desiderio.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Mi ero scordata di dirgli che Suor Diamante desidererebbe di sapere se costì vi è della tela da pezzuole della sorte che è questa mostra: se ve ne fusse vorrebbe che V. S. gli facesse servizio di farne comprar una pezza, e avvisi il prezzo che subito ella sodisfarà: il prezzo ordinario suoi essere un giulio, 10 crazie, o più, secondo che è sottile; ma adesso in Firenze non ce n’è.

110.

A Siena

San Matteo, 1 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Dovevo veramente subito dopo il ritorno di Giuseppe, che seguì ieri fece otto giorni a un’ora di notte, darne ragguaglio a V. S., non parendo verisimile che in tutti questi giorni io non abbia potuto rubar tanto tempo che bastasse a scriver quattro versi. Eppure è così la verità, perché, oltre alle occupazioni del mio offizio, che di presente son molte, Suor Luisa ha travagliato così fieramente con il suo solito mal di stomaco, che né per lei né per le assistenti ci è stato mai requie il giorno e la notte. E a me in particolare si conviene per debito il servirla senza intermissione alcuna. Adesso che per il suo miglioramento respiro alquanto, dò sodisfazione anco a V. S. dicendoli che Geppo e suo padre tornorno qui sani e salvi insieme con la muletta, la quale veramente ricevé torto nell’essere menata in così lungo viaggio; e io mi assicurai colla sicurtà che mi fecero quelli che più di me la praticano. Basta, ella sta bene.
Ebbi gusto grandissimo nel sentir la nuova che mi portò il ragazzo del buon essere di V. S., dicendomi ch’ella aveva miglior cera che quando si partì di qua; il che io credo facilmente, perché giudico che le comodità, le cortesie e delizie che ha godute, prima in casa del signor Ambasciatore in Roma, e di presente gode costì da quell’illustrissimo monsignor Arcivescovo, siano state potenti a mitigar quasi del tutto l’amarezza di quei disgusti che ha passati, e per conseguenza non ne abbia sentito nocumento alcuno. E ora in particolare come mai potrà V. S. non benedir questa carcere, e stimar felicissima questa ritenzione? mediante la quale se gli porge occasione di goder tanto frequentemente e con tanta familiarità la conversazione di Prelato tanto insigne e signore tanto benigno? Il quale, non contento di esercitar nella persona di V. S. tutti quelli ossequi che si possono desiderar maggiori, per far un eccesso di cortesia e gentilezza, si è compiaciuto di favorir anco noi poverelle con affettuose parole e amorevolissime dimostrazioni, per le quali non dubito che V. S. gli abbia rese per nostra parte le dovute grazie: onde non replico altro, se non che avrei desiderio che V. S., facendole umilissima riverenza in nome nostro, l’assicuri che con l’orazioni procuriamo di renderci grate a tante grazie.
Quanto al suo ritorno, se seguirà conforme alla sua speranza e al nostro desiderio, non seguirà se non in breve. Intanto li dico che le botti per il vino rosso sono accomodate, e quella in particolare ove stette il vino guasto è bisognato disfarla e ripulirla molto bene: per il vino bianco il S[igno]r Rondinelli ne ha vedute 3 che sono bonissime, una fra l’altre ve n’è, ove l’anno passato vi era il greco del quale se ne sono cavati non so se 4 o 5 fiaschi assai forti per quanto intendo; ed ancora ne resta al fondo acciò la botte non resti in secco; e dice il S[igno]r Rondinelli che basta dar a tutte una lavata avanti che vi si metta il vino, che nel resto sono eccellentissime.
La madre Badessa la ringrazia infinitamente del zafferano e io degli altri regali, cioè lino, lepre e pan di Spagna, il quale è veramente cosa esquisita. Consegnai a Geppo la corona e i calcetti per la sua cugina.
Il signor Giovanni Ronconi, il quale vien qui molto spesso per visitare cinque ammalate che aviamo tenute un pezzo e tutte con la febbre, mi disse l’altro giorno che non credeva ch’io avessi mai fatte a V. S. sue raccomandazioni, e io gli risposi che pur le avevo fatte, e così ho in fantasia che sia stato almeno una volta. È ben vero che sono stata balorda in non rendergliele mai da parte di V. S., onde la prego a farmi grazia di supplire a questo mio mancamento, a scrivergli due versi e mandarmeli, ché potrò io inviarglieli, giacché ho ogni giorno occasione di tenerlo ragguagliato di queste ammalate, e certo ch’egli non ci è mai stato una volta che non m’abbia domandato di V. S. e mostrato gran passione de’ suoi travagli.
Avrei voluto poter indovinare il bisogno di V. S. quanto ai danari, per averglieli potuti mandare; credo però che a quest’ora gli saranno pervenuti quelli che gli manda il signor Alessandro per quanto ho compreso da una lettera che V. S. gli scrive, e egli mi ha mandata in cambio di quella che anco a me si perveniva a questa settimana, che forse V. S. non mi ha mandata per vendicarsi che non ho scritto a lei; ma ha sentito la causa: ed ora gli dico addio e do la buona notte, della quale è appunto passata la metà.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

111.

A Siena

San Matteo, 3 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Sabbato scrissi a V. S., e domenica, per parte del signor Gherardini, mi fu resa la sua, per la quale sentendo la speranza che ha del suo ritorno, tutta mi consolo parendomi ogn’ora mill’anni che arrivi quel giorno tanto desiderato di rivederla; e il sentire ch’ella si ritrovi con buona salute accresce e non diminuisce questo desiderio di goder duplicato contento e sodisfazione, per vederla tornare in casa sua e di più con sanità.
Non vorrei già che dubitasse di me, che per tempo nessuno io sia per lasciare di raccomandarla con tutto il mio spirito a Dio benedetto, perché questo m’è troppo a cuore, e troppo mi preme la sua salute spirituale e corporale. E per dargliene qualche contrassegno, gli dico che ho procurato e ottenuto grazia di veder la sua sentenza, la lettura della quale, se bene per una parte mi dette qualche travaglio, per l’altra ebbi caro d’averla veduta per aver trovato in essa materia di poter giovare a V. S. in qualche pocolino; il che è con l’addossarmi l’obbligo che ha ella di recitar una volta la settimana li sette salmi, ed è già un pezzo che cominciai a sodisfarlo e lo fo con molto mio gusto, prima perché mi persuado che l’orazione accompagnata da quel titolo d’obbedire a Santa Chiesa sia efficace, e poi per levare a V. S. questo pensiero. Così avess’io potuto supplire nel resto, ché molto volentieri mi sarei eletta una carcere assai più stretta di questa in che mi trovo, per liberarne lei Adesso siamo qui, e le tante grazie già ricevute ci danno speranza di riceverne delle altre, purché la nostra fede sia accompagnata dalle buone opere, che, come V. S. sa meglio di me, «fides sine operibus mortua est».
La mia cara Suor Luisa continua di star male, e mediante i dolori e tiramento che ha dalla banda destra, dalla spalla fino al fianco, non può quasi mai stare in letto, ma se ne sta sopra una sedia giorno e notte: il medico mi disse l’ultima volta che fu a visitarla, che dubitava che ella avessi una piaga in un argnione, che se questo fossi il suo male saria incurabile; a me più d’ogni altra cosa mi duole il vederla penare senza potergli dare alcun aiuto, perché i rimedi non gli apportano giovamento.
Ieri s’imbottorno li sei barili del vino dalle Rose, e ve n’è restato per riempier la botte. Il signor Rondinelli fu presente, siccome anco alla vendemmia dell’orto, e mi disse che il mosto bolliva gagliardamente sì che sperava che volesse riuscir buono, ma poco; non so già ancora quanto per l’appunto. Questo è quello che per ora così in fretta posso dirgli. La saluto affettuosamente per parte delle solite, e il Signore la prosperi.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

112.

A Siena

San Matteo, 8 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Il signor Rondinelli, che rivedete le botticelle di vino bianco, mi disse che ve n’erano tre bonissime come avvisai a V. S., e, interrogato da me della loro tenuta, mi replicò che questo non occorreva ch’io l’avvisassi, perché V. S. poteva a un dipresso saperlo: mi disse bene esservene dell’altre, ma che non si assicurava a dirmi che fossero di tutta bontà: questa settimana poi egli non è potuto venir qua su, onde né anco si è potuto far nuova diligenza; ma ne ho fatta io una che non credo che le spiacerà, ed è questa, che nella nostra volta sono 3 o 4 botti, una di 6, una di 5 e l’altra di quattro barili, le quali ogni anno si sogliono empier di verdea, ma perché quest’anno non se n’è fatta punta, le ho incaparrate per V. S. perché son sicura che son buone, con autorità di mandarle nella sua cantina acciocché quivi si possine empier quando ella manderà il vino e lasciarvelo fino che ella sia in persona a travasarlo a suo modo, o lasciarvelo tutto l’anno, se gli parrà: V. S. per tanto potrà rispondermi il suo pensiero. Il vino da San Miniato non è ancora comparso: di quello prestato se n’è riavuto intanto un barile da questi contadini, e si è messo nella botte ove stette quel guasto; la qual botte si è fatta prima accomodare; quello dell’orto non è ancora svinato: al fabbro il signor Rondinelli, pregato da me, ne passò una parola circa i 3 barili che deve renderne, e che riportò buone promesse.
La ricevuta delle sei forme di cacio non la tacqui nel mio linguaggio che, per esser molto rozzo, V. S. non poteva intenderlo, poiché io ebbi intenzione di comprenderla, o per meglio dire ammetterla, nel ringraziamento che gli dicevo desiderare ch’ella facesse per nostra parte a monsignor Arcivescovo, dal quale V. S. mi scrisse che veniva il regalo. Similmente l’uova bufaline le veddi, ma, sentendo ch’erano porzione di Geppo e di suo padre, gliele lasciai, e non replicai altro.
Ero anco adunque in obbligo di accusarle ricevuta del vino eccellentissimo che ne mandò Monsignore, del quale quasi tutte le monache assaggiarono, e Suor Giulia in particolare ha fatto con esso la sua parte di zuppa.
La ringrazio anco della lettera che mi mandò per il signor Ronconi la quale, dopo d’averla letta con molto mio gusto, fermai e presentai in propria mano ier mattina, e fu ricevuta molto cortesemente.
Ho caro di sentire il suo buono stato di sanità e quiete di mente, e che si trovi in occupazioni tanto proporzionate al gusto suo, quanto è lo scrivere: ma per amor di Dio non siano materie che abbiano a correr la fortuna delle passate, e già scritte.
Desidero di sapere se V. S. goda tuttavia la conversazione di monsignor Arcivescovo, oppur s’egli se n’è andato alle ville, come mi disse Geppo che aveva inteso che doveva seguire; il che mi persuado che a lei saria stata non piccola mortificazione.
Suor Luisa si trattiene in letto fra medici e medicine, ma i dolori sono alquanto mitigati con l’aiuto del Signor Iddio, il quale a V. S. conceda la sua santa grazia. Rendo le salutazioni in nome di tutte, e le dico a Dio.

sua figliuola Affezionatissima
S. Maria Celeste.

La Piera in questo punto mi ha detto che il vino dell’orto sarà un barile e 2 o 3 fiaschi, e che fa disegno di mescolarlo con quello che si è riavuto, perché da per sé è molto debole: quello di San Miniato si aspetta oggi, che così ha detto il servitore del Sig[no]r Niccolò [Cini] fino ierlaltro, ed io adesso l’intendo.

113.

A Siena

San Matteo, 15 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Il vino da Samminiato non è ancor comparso, ed io lo scrissi tre giorni sono al signor Geri, il qual mi rispose che m’avrebbe procurato d’intender dal signor Aggiunti la causa di questa dilazione.
Non ho per ancora saputo altro, perché questa settimana non ho avuta la comodità di mandar Geppo a Firenze, essendo egli stato, ed è ancora, a San Casciano da messer Giulio Ninci, il quale già sono molti giorni che si ritrova ammalato, e perché ha carestia di chi gli porga una pappa, mandò a ricercarmi lui e messer Alessandro che per qualche giorno io gli concedessi l’assistenza del ragazzo, al che non ho saputo disdire. Quando il signor canonico manderà a pigliar i danari, sodisfarò conforme all’ordine di V. S.
Il signor Gherardini fu qui pochi giorni sono per visitar Suor Elisabetta sua parente, e fece chiamar ancor me per darmi nuove di V. S. Dimostra d’esser restato affezionato grandemente; e mi disse che dappoi in qua che ha parlato con lei è restato con l’animo quieto, dove che prima era tutto sospeso e irresoluto ne’ suoi affari. Piaccia pur a Dio benedetto che il termine destinato al ritorno di V. S. non vada più in lungo di quello che speriamo, acciò Ella possa godere, oltre alle quiete della sua casa, la conversazione di questo giovane così compito.
Ma intanto io godo infinitamente di sentir quanto monsignor Arcivescovo sia perseverante in amarla e favorirla. Né dubito punto ch’ella sia depennata, com’ella dice, «de libro viventium», non solo nella maggior parte del mondo, ma né anco nella medesima sua patria: anzi che mi par di sentir che s’ella fosse stata qualche poco ombreggiata o cancellata, adesso ella sia restata ristaurata e rinnovata, cosa che mi fa stupire, perché so che per un ordinario: «Nemo Propheta acceptus in patria sua» (non so se per voler slatinare dirò qualche barbarismo). E pure V. S. è anco qua amata e stimata più che mai.
Di tutto sia lodato il Signor Iddio, dal quale principalmente derivano queste grazie; le quali riputando io mie proprie, non ho altro desiderio che l’esserne grata, acciocché sua divina Maestà resti servita di concederne delle altre a V. S. e a noi ancora, e sopra tutto la salute e beatitudine eterna. Suor Luisa se ne sta in letto con un poca di febbre, ma i dolori sono assai mitigati, e si spera che sia per restarne libera del tutto con l’aiuto de’ buoni medicamenti, li quali, se non sono soavi al gusto come è il vino di costì, in simili occorrenze sono più utili e necessari. Subito che veddi le sei forme di cacio, ne destinai la metà per V. S., ma non glie lo scrissi perché desideravo di riuscire più a fatti che a parole: e veramente che è cosa esquisita, e io ne mangio un poco più del dovere.
Mandai la lettera a Tordo per il nostro fattore, il quale intese dalla moglie che egli si ritrova all’ospedale a pigliar il legno, sicché non è maraviglia che non gli abbia mai dato risposta.
Ho sempre avuto desiderio di saper come siano fatte le torte sanesi che tanto si lodano; adesso che s’avvicina l’Ognissanti V. S. averà comodità di farmele vedere, non dico gustare per non parer ghiotta: ha anche obbligo (perché me l’ha promesso) di mandarmi del refe di ruggine, con il quale vorrei cominciare qualche coserella per il ceppo di Galileino, il quale amo perché intendo dal sig. Geri, che, oltre al nome, ha anco dello spirito dell’avolo.
Suor Polissena ebbe risposta della lettera, che, per mezzo di V. S., mandò alla signora sua nepote, e anco ebbe uno scudo, del quale va ringraziandola nell’inclusa: prega V. S. del buon recapito, e la saluta come fanno Madonna e l’altre solite.
Il signor Rondinelli già sono quindici giorni che non si lascia rivedere, perché, per quanto intendo, egli affoga in un poco di vino che ha messo in due botticelli che versano e lo fanno tribolare.
Ho detto alla Piera che faccia vangare nell’orto, acciò vi si possino seminare, o, per meglio dire, por le fave.
Adesso è comparso qui un lavoratore del sig. Niccolò Cini il quale mi scrive quattro versi nella medesima lettera che V. S. scrive a lui avvisandomi la valuta del vino che sono lire 19 la somma e lire 2 per vettura, in tutto lire 59, e tante ne ho date. Avendo ancora scritto a Sua Signoria due versi per ringraziarlo.
Altro per ora non mi occorre; anzi pur mi sovviene che desidero pur di sapere se il sig. Ronconi gli ha dato risposta, che se non l’ha data, voglio rimproverarglielo la prima volta che lo veggo. Il Signore Iddio sia sempre seco.

figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

114.

A Siena

San Matteo, 22 ottobre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Mercoledì passato fu qui un fratello del Priore di S. Firenze a portarmi la lettera di V. S. insieme con l’invoglietto del refe ruggine, il quale refe, rispetto alla qualità del filo che è grossetto, pare un po’ caro; ma è ben vero che la tintura, per esser molto bella, fa che il prezzo di sei crazie la matassa sia comportabile.
Suor Luisa se ne sta in letto con qualche poco di miglioramento, e oltre a lei aviamo qua parecchie altre ammalate, che se adesso ci fosse il sospetto della peste saremmo spedite. Una di queste è Suor Caterina Angela Anselmi che fu Badessa avanti a questa presente, monaca veramente veneranda e prudente, e, dopo Suor Luisa, la più cara e intrinseca amica che io avessi: questa sta assai grave, ier mattina si comunicò per viatico, e per quanto apparisce può durar pochi giorni; e similmente Suor Maria Silvia Boscoli, giovane di 22 anni, e perché V. S. se la rammemori, quella che si diceva essere la più bella che fossi stata in Firenze da 300 anni in qua: questa corre il sesto mese che sta in letto con febbre continua che adesso dicono i medici essere divenuta etica, e si è tanto consumata che non si riconosce; e con tutto ciò ha una vivacità e fierezza particolarmente nel parlare che dà stupore, mentre che d’ora in ora si sta dubitando che quel poco spirito (che par ridotto tutto nella lingua) si dilegui e s’abbandoni il già consumato corpo: è poi tanto svogliata che non si trova niente che gli gusti, o per dir meglio, che lo stomaco possa ricevere, eccetto un poco di minestra di brodo, ove siano bolliti sparagi salvatichi secchi, dei quali in questa stagione se ne trovano alcuni pochi con gran difficoltà, onde io andavo pensando se forse il brodo di starna, con quel poco di salvatico che ha, gli potesse gustare. E già che costì ve ne sono in abbondanza, come Vostra Signoria mi scrive, potrebbe mandarmene qualcuna per lei e per Suor Luisa, che, quanto al pervenirmi ben condizionate, non credo che ci fossi molta difficoltà, giacché la nostra Suor Maria Maddalena Squadrini ebbe a questi giorni alcuni tordi freschi e buoni che gli furono mandati da un suo fratello priore del Monastero degli Angeli, che è dei canonici regolari vicinissimo a Siena. Se V. S. potessi per mezzo nessuno far questo regalo, adesso che mi ha aguzzato l’appetito, mi sarebbe gratissimo.
Questa volta mi conviene essere il corvo con tante male nuove, dovendo dirle che il giorno di S. Francesco morì Goro lavoratore dei Sertini, e ha lasciato una famigliuola assai sconcia, per quanto intesi dalla moglie che fu qui ieri mattina a pregarmi che io dovessi darne parte a V. S., e di più ricordargli la promessa che V. S. fece al medesimo Goro e alla Antonia sua figliuola, cioè di donargli una gamurra nera quando ella si maritava: adesso è alle strette, e domenica, che sarà domani, dice che si dirà in Chiesa; e perché ha consumati que’ pochi danari che aveva in medicamenti e nel mortorio, dice ritrovarsi in gran necessità, e desiderar di sapere se V. S. può farle la carità: io gli ho detto che gli farò sapere quanto V. S. mi risponderà.
Non saprei come darle dimostrazione del contento che provo nel sentir ch’ella si va tuttavia conservando con sanità, se non con dirle che più godo del suo bene che del mio proprio, non solamente perché l’amo quanto me medesima, ma perché vo considerando che se io mi trovassi oppressa da infermità, oppur fossi levata dal mondo poco o nulla importerebbe, perché a poco o nulla son buona, dove che nella persona di V. S. sarebbe tutto l’opposito per moltissime ragioni, ma in particolare (oltre che giova e può giovare a molti) perché, con il grande intelletto e sapere che li ha concesso il Signor Iddio, puù servirlo ed onorarlo infinitamente più di quello che non posso io, sì che con questa considerazione io vengo ad allegrarmi e goder del suo bene più che del mio proprio.
Il Sig. Rondinelli si è lasciato rivedere adesso che le sue botti si sono quietate; rende i saluti a V. S. e similmente il sig. Ronconi.
Assicuro V. S. che l’ozio non mi dà fastidio, ma più presto la fame cagionata, credo io, non tanto dal molto esercizio che fo, quanto da freddezza di stomaco che non ha il suo conto intieramente del dormire il suo bisogno, perché non ho tempo. Fo conto che l’oximele e le pillole papaline supplischino a questo difetto. Intanto gli ho detto questo per scusarmi di questa lettera che apparisce scritta molto a caso, essendomi riconvenuto lasciare e ripigliare la penna più di una volta avanti che io l’abbia condotta, e con questo li dico addio.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Conforme a che V. S. mi impone nell’altra sua comparsami dopo che aveva scritto, scrivo alla signora Ambasciatrice. Non so se le tante occupazioni mi avranno tanto cavato dal seminato che io non abbia dato in nulla; V. S. vedrà e correggerà, e mi dica se gli manda anco il crocifisso di avorio.
Spero pur che questa settimana V. S. averà qualche risoluzione circa la sua spedizione, e sto ardendo di desiderio di esserne partecipe ancora io.

115.

A Siena

San Matteo, ultimo giorno di ottobre del 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ho tardato a scriver questa settimana perché desideravo pur di mandar gli ortolani, dei quali finalmente non se ne trovano, e intendo che finirono quando cominciorno i tordi. Se pur io avessi saputo questo desiderio di V. S. alcune settimane indietro, quando andavo pensando e ripensando a quello che avessi potuto mandare che gli fossi grato; pazienza! Ella è stata sventurata negli ortolani, come io fui nelle starne, perché feci fino smarrir l’astore.
Geppo tornò ieri da San Casciano, e portò le due scatole che V. S. mi ha mandate ben condizionate; e già che da lei ne fui fatta assoluta padrona, mi sono prevalsa di questo titolo, non mandandone altrimenti la metà alla cognata, ma sì bene ne ho mandate due torte e due biricuocoli al signor Geri, dicendogli che V. S. desiderava ne partecipasse anco la Sestilia: del restante ho avuto caro di farne parte al signor Rondinelli, il quale si dimostra in verso di noi tanto amorevole e cordiale, e anco a molte amiche; son cose veramente di gran bontà, ma anco di gran valore, che per questo non sarei così pronta un’altra volta a far simile domanda, alla quale la liberalità di V. S. ha corrisposto quadruplicatamente, e io centuplicatamente ne la ringrazio.
Alla moglie di Goro ho fatto intendere il desiderio che V. S. ha di pareggiare con lei e farle la carità al suo ritorno; se poi essa tornerà a domandare, esseguirò quanto V. S. ordina, e il simile farò a Tordo.
Il Ninci sta assai ragionevolmente di sanità e sodisfattissimo dell’assistenza del nostro Geppo. Suor Luisa comincia a sollevarsi alquanto dal letto; Suor Caterina Angela si morì; la giovane si va trattenendo, ma in cattivo stato.
Il vino da San Miniato non è venuto, credo io per essere stato il tempo molto piovoso, che per questo non si sono ancora poste le fave nell’orto, ma si porranno il primo giorno che sia bei tempo; si è ben seminata lattuga e cavoli, e anco vi sono delle cipolle; i carciofi sono belli; dei limoni ve ne sono comodamente, ma pochi aranci.
La muletta ha avuto un poco di scesa in un occhio, ma adesso sta bene, e similmente la Piera sua governatrice, la quale attende a filare e pregar Iddio che V. S. torni presto: è ben vero che non credo che lo faccia tanto di cuore quanto lo fo io. Se bene, mentre che sento che V. S. sta così bene, non so che mi dire se non che il Signore corrisponde alla gran fede ch’Ella ha nelle mie povere orazioni, o per meglio dire in un’orazione che fo continua col cuore, perché con la voce non ho tempo. Non gli mando pillole perché il desiderio mi fa sperare che V. S. deva in breve venire da per sé a pigliarle: starò a sentire la risoluzione che ella averà questa settimana. La commedia [nessuna traccia rimane di questa commedia di Galileo], venendo da Lei, non può essere se non bella; fino a qui non ho potuto leggere altro che il primo atto. Non mi manca materia da dire, ma sì bene il tempo; e per questo finisco, pregando Nostro Signore e la Madonna Santissima siano sempre in sua compagnia, e la saluto caramente in nome delle solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

116.

A Siena

San Matteo, 5 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Se V. S. potessi penetrar l’animo e il desiderio mio come penetra i Cieli, son sicura che non si lamenterebbe di me, come fa nell’ultima sua; perché vedrebbe e s’accerterebbe ch’io vorrei, se fosse possibile, ogni giorno ricever sue lettere e ogni giorno mandarne a Lei, stimando questa la maggior sodisfazione ch’io possa dare e ricevere da Lei, fino che piacerà a Dio che ci possiamo goder di presenza.
Credo nondimeno che da quelle poche ch’io gli scrivo così acciarpate, V. S. possa comprender che sono scritte con molta strettezza di tempo, il quale sabato passato mi mancò affatto per poter mandarle il tributo debito; il che (sia detto con sua pace) ho caro che seguissi, perché in quelle sue lamentazioni scorgo un eccesso di affetto dal quale son mosse, e me ne glorio. Supplii nondimeno la vigilia d’Ognissanti mandando la lettera al signor Geri, la quale, perché credo che gli sarà pervenuta, non replico quanto ai quesiti che ella mi fa in questa ultima, se non quanto all’aver ricevuto il plico per messer Ippolito [Mariano, il Tordo], il quale V. S. non mi ha mandato altrimenti; e quanto a Geppo dicendole che egli, dopo che mi portò le scatole, non è tornato a San Casciano, perché il Ninci non aveva più bisogno di lui: tornerà ad ogni modo a rivederlo un giorno di questa prossima settimana. La buona fortuna ha corrisposto al mio buon desiderio facendomi trovar gli ortolani che V. S. desiderava, e in questo punto consegnerò la scatola, dentrovi della farina, al ragazzo, dandogli commissione che vada a pigliarli al serbatoio, ch’è in Boboli, da un uccellatore del Granduca che si chiama il Berna o il Bernino, dal quale gli ho per grazia a una lire il paio, ma per quanto mi dice il medesimo Geppo che ieri fu a vederli, sono bellissimi e a’ poliaiuoli intendo che valgono fino in due giuli: il signor Rondinelli poi per sua grazia ne favorirà di accomodarli nella scatola, perché il ragazzo non avrebbe tempo da riportarli qui e poi riportarli un’altra volta in giù, ma li consegnerà ad un tratto al signor Geri. V. S. se li goda allegramente, e mi dica poi se saranno stati a sua sodisfazione: saranno 20 come ella desiderava.
Son chiamata all’infermeria, onde non posso dir altro se non che la saluto di cuore insieme con le solite raccomandate, e in particolare di Suor Luisa la quale sta assai meglio, Dio lodato, il quale a V. S. conceda vera consolazione.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

117.

A Siena

San Matteo, 7 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Guccio oste, qua nostro vicino, viene in coteste bande per suoi negozi, e io con quest’occasione scrivo a V. S. questi pochi versi, dicendole che se nell’ultima ch’io gli scrissi, mi lodavo della fortuna che mi fece trovar gli ortolani, i quali allora mi pareva d’aver in pugno; adesso me ne lamento perché non volse che fossero il numero ch’io desideravo, siccome a questa ora V. S. averà veduto ed anche inteso dal signor Geri: la causa fu perché tra quelli che aveva il Berna non ne furono dei buoni altro che quelli di quegli 11 ; e poi che Geppo aveva fatto l’errore di pigliar questi pochi, dopo aver io fatto cercare degli altri qui in paese e in Firenze, mi risolvei a mandarli, inanimita dal guardaroba qui del Poggio Imperiale, il quale disse che erano gran presenti di questo tempo che non se ne trovano; basta: V. S. accetterà se non altro la mia buona volontà.
Messer Ippolito mandò per li 4 scudi, e glie li mandai subito.
Il vino di San Miniato non comparisce. L’orto non si può ancora lavorare, perché è troppo molle. Il ragazzo è andato oggi a rivedere il Ninci.
Suor Luisa sta meglio, ma non bene affatto; saluta caramente V. S., e il simile fanno Suor Arcangela, Madonna, Suor Cammilla e il suo babbo, il quale è un pezzo che non s’è lasciato vedere mediante il cattivo tempo, ma scrive spesso. Nostro Signore la conservi.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

118.

A Siena

San Matteo, 12 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Con l’occasione che mi si porge della venuta costì del lavoratore di messer Santi Bindi, scrivo di nuovo a V. S. dicendole in prima che mi maraviglio ch’ella in quest’ultima non tratti di aver avute lettere di Roma, né risoluzione circa il suo ritorno, il quale pur si sperava quest’Ognisanti, per quanto mi disse il signor Gherardini. Desidero che V. S. mi dica come veramente passa questo negozio per quietar l’animo, e anco sopra che materia sta scrivendo di presente: se però è cosa ch’io possa intenderla, e non abbia sospetto ch’io cicali.
Tordo ha avuto li 4 scudi, come gli scrissi giovedì passato, e li signori Bini mi hanno mandato a domandare per Domenico lavoratore i danari del fitto della casa: ho risposto che si darà sodisfazione subito che V. S. ne sarà consapevole e me ne darà l’ordine.
Nell’orto non s’è potuto lavorar altro che una mezza giornata fino a qui, mediante il tempo che va tanto contrario, il quale credo che sia buona causa che V. S. travagli tanto con le sue doglie.
Le due libbre di lino che mandò per Geppo mi paiono del medesimo di quello che vale 20 crazie, il quale riesce buono, ma secondo il prezzo credo che potrebbe esser migliore; quella libbra sola di quattro giuli è finissimo e non è caro.
Messer Giulio Ninci sta bene affatto, per quanto intendo da Geppo, e ci ha mandate delle amorevolezze: e particolarmente Messer Alessandro suo cugino mi mandò un cedro, del quale ne ho fatti questi 10 morselletti che gli mando, che per esser un poco aromatici saranno buoni, se non per il gusto, per lo stomaco. V. S. potrà assaggiarli, e, se li giudica a proposito, presentarli a Monsignor illustrissimo insieme con la Rosa. Il pinocchiato con quei due pezzi di cotognato gli ho avuti dalla mia signora Ortensia, alla quale in contraccambio mandai una di quelle torte che mi mandò V. S.
Non mando pillole perché non ho avuto tempo a riformarle, oltre che non sento che gli bisognino.
Al ritorno del latore di questa sarà conveniente che io gli usi amorevolezza avendolo richiesto; avrò caro che V. S. mi avvisi quel che potrò dargli per sodisfarlo e non soprapagarlo: già egli vien costì principalmente per servizio suo proprio.
Finisco con far le solite raccomandazioni, e dal Signore Iddio prego vero contento.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

La pioggia continua non ha concesso a Giovanni (che così si chiama il latore di questa) ch’egli possa partire questa mattina ch’è domenica, e a me lascia campo per cicalar un altro poco, e dirgli come poco fa mi sono cavata un dente mascellare grande grande, ch’era guasto e mi dava gran fastidio; ma peggio è che n’ho degli altri che fra poco faranno il simile. Dal signor Rondinelli intendo che i due figliuolini di Vincenzio Landucci, di presente, hanno buon governo da una donna che gli ha tolti in casa a questo effetto, da poco in qua: lui è stato male di febbre, ma va migliorando. Desidero sapere come Vincenzio nostro scrive spesso a V. S.
Per rispondere a quel particolare ch’Ella mi dice, che le occupazioni sono tanto salutifere, io veramente per tali le riconosco in me medesima: che se bene talvolta mi paiono superflue e incomportabili, per esser io amica della quiete, con tutto ciò a mente salda veggo chiaramente questo esser la mia salute, e che particolarmente nel tempo che V. S. è stata lontana da noi, con gran providenza ha permesso il Signore ch’io non abbia mai si può dire un’ora di quiete, il che m’ha impedito il soverchio affliggermi. Il che a me sarebbe stato nocivo, e a Lei di disturbo e non di sollevamento. Benedetto sia il Signore, dal quale spero nuove grazie per l’avvenire, sì come tante ce ne ha concesse per il passato. Intanto V. S. procuri di star allegra e confidare iti Lui ch’è fedele, giusto e misericordioso, e con esso la lascio.

119.

A Siena

San Matteo, 18 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ho ricevuta la sua gratissima insieme con li quattro biricuocoli, quali ho consegnati alla Piera acciò li dispensi alle vicine. Mi son grandemente rallegrata di sentir che V. S. esca fuori della città a pigliar aria, perché so quanto gli sia utile e dilettevole. Piaccia pur a Dio ch’Ella possi venirsene presto a goder la sua casetta, per il fitto della quale ho mandato stamani ai Padroni li scudi 17 e 1/2, perché facevano instanza d’averli, e a V. S. mando la nota delle spese fatte per la medesima casa, dicendole ancora come il fabbro ha reso li 3 barili di vino che ci doveva: è di quello del Navicello ed è buono abbastanza per la servitù; sicché adesso si è riavuto tutto quello che si era dato, e per dir meglio prestato.
La verdea non è ancora in perfezione, ma quando sarà procurerò di averne della esquisita, e quest’uomo ci farà servizio di portarla. Volevo mandargli delle melarance dell’orto, ma dalla mostra che me ne ha portata la Piera ho veduto che non sono tanto fatte. Se la buona sorte faceva che V. S. trovassi almeno una starna o cosa simile, l’avrei avuto carissimo per amor di quella poverella giovane ammalata, la quale non appetisce altro che a qualche selvaggiume: nel plenilunio passato stette tanto male che se li dette l’olio santo, ma adesso è ritornata tanto che si crede ch’arriverà alla nuova luna. Discorre con una vivacità grande, e piglia il cibo con agevolezza purché siano cose gustose. Ier notte stetti da lei tutta la notte, e mentre li davo da mangiare, mi disse: «Non credo già che quando si è in termine di morire si mangi come fo io, con tutto ciò non mi curo di tornare in dietro; ma sia pur fatta la volontà di Dio.» Il quale io prego che a V. S. conceda la sua santa grazia, e la saluto in nome delle solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

120.

[?]

San Matteo, 23 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Sabato sera mi fu resa l’ultima di V. S. insieme con una della signora Ambasciatrice di Roma, piena di affettuosi ringraziamenti del cristallo, e di condoglianza mediante la privazione che per ancora V. S. ha di potersene venire a casa sua. E veramente ch’Ella dimostra d’esser quella gentilissima signora che V. S. più volte mi ha dipinta. Non mando la lettera perché sto in forse se devo riscrivergli, ma prima aspetterò di sentir che risposta abbia V. S. di Roma.
Non lascio di far diligenza per trovar le pere che V. S. desidera, e credo che farò qualcosa. Ma perché intendo che quest’anno le frutte non durano, non so se sarà meglio che, quando io le abbia, le mandi e non aspetti il suo ritorno, che potrebbe indugiar qualche settimana a seguire, o almeno il desiderio me ne fa temere.
Il signor Geri ci ha fatto parte di tutte le frutte dell’orto, delle quali ve ne sono state poche e poco buone, per quanto ho inteso da Geppo che andava a corle; e particolarmente delle melagrane la maggior parte è stata la nostra; ma, come li dico, stentate e poche.
Domenica prossima cominciamo l’Avvento, onde se V. S. ci manderà i biricuocoli ci saranno grati per far colazione la sera, ma basteranno di quelli più dozzinali, come quelli che mandò alle vicine, le quali dice la Piera che insieme con lei ringraziano V. S. e se li raccomandano; ed il simile facciamo noi tutte pregando Nostro Signore che la feliciti.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

V. S. volti carta.

Mercoledì sera vicino alle 24 ore, dopo che avevo scritto la prossima faccia, comparve qui Giovanni e mi recò le lettere di V. S. Al signor Geri non fu possibile di mandarle prima che la mattina seguente, come feci di buon’ora. Ebbi ancora il paniere entro 12 tordi: gli altri 4, che avrebbero compito il numero che V. S. mi scrive, bisogna che qualche graziosa gattina se gli sia tolti per assaggiarli avanti a noi, perché non v’erano, e il panno che li copriva aveva una gran buca. Manco male che le starne e le accieggie erano nel fondo, delle quali una e due tordi donai all’ammalata che ne fece grande allegrezza, e ringrazia V. S. Un’altra, e medesimamente due tordi, ho mandati al signor Rondinelli, e il restante ci siamo godute insieme con le amiche.
E ho avuto gran gusto di scompartire il tutto fra molte persone, perché cose buscate con tanta diligenza e fatica è stato bene che siano partecipate da parecchi, e perché i tordi arrivarono assai stracchi, è bisognato cuocerli in guazzetto, e io tutto il giorno sono stata lor dietro, sì che per una volta mi son data alla gola davvero.
La nuova che V. S. mi dà della venuta di quelle Signore mi è stata tanto grata, che, dopo quella del ritorno di V. S., sto per dir che non potrei aver la migliore; perché essendo io tanto affezionata a quella, con la quale abbiamo tanto obbligo, desidero sommamente di conoscerla di vista. È ben vero che alquanto mi disturba il sentir ch’esse m’abbiano in tanto buon concetto, essendo sicura che non riuscirò in voce quale mi dimostro per lettera. E V. S. sa che nel cicalare, o per dir meglio, nel discorrere io non sono da nulla; ma non mi curo per questo di scapitar qualche poco appresso di persone tanto benigne che mi compatiranno, purché io contragga servitù con la mia cara signora. Andrò intanto pensando a qualche regalo da povera monaca.
Avrò caro che V. S. vegga di farmi aver i cedrati, perché io non saprei dove gli buscare, e mi sovviene che il signor Aggiunti gliene mandò parecchi bellissimi l’anno passato, sì che V. S. potrà tentare anco adesso, e io poi mi metterò a bottega a far i morselletti, con mio grandissimo gusto d’impiegarmi in questo poco per servizio di Monsignor illustrissimo, e mi pregio grandemente di sentir che questi siano anteposti da Sua Signoria a tutte l’altre confetture. Saluto di nuovo V. S. e li prego felicità.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

121.

A Siena

San Matteo, 26 novembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Giovedì passato scrissi a V. S. lungamente, e ora scrivo di nuovo solo per dirli che ieri venne dieci barili di vino da San Miniato al Todesco. Intendo dalla Piera che ci fu a venderlo imbottare il servitore del signor Aggiunti; ed anco che lo pagò, ma ella non sa dirmi quanto per appunto: se ne è piena una botte interamente, e credo che sia di 6 barili: l’altra di 5 e mezzo, perché non resti così scema, ho detto che si finisca di empiere con di quello che bevono di presente che è ragionevole, ma prima che ne cavino parecchi fiaschi avanti che sia mescolato per riempier l’altra di 6 barili. E anco noi ne piglieremo qualcuno, perché è vino leggieri, e mi par buono per l’estate per V. S.; a me piace anco di questo tempo: la botte che non è mescolata si contrassegnerà per lasciarla stare, e l’altra potrà servire per la servitù. Questo per ora mi occorre dirgli: finisco con le solite raccomandazioni, e prego Nostro Signore che la conservi.

figliuola Affezionatissima
S. Mar. Celeste.

122.

A Siena

San Matteo, 3 dicembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Ho ancor io conosciuta la dappocaggine del mio ambasciator Giovanni; ma il desiderio ch’avevo di mandar a vedere V. S., è stata causa che non ho guardato a nulla; tanto più che il favore di potermi servir di lui l’ho ricevuto dalle madri Squarcialupi, le quali adesso son tutte mie; e tanto basti. Tordo mandò ieri per li 4 scudi e gli ebbe.
La madre Achillea manda il mottetto. È ben vero che in contracambio desidererebbe qualche sinfonia o qualche ricercata per l’organo; il quale gli ricorda che negli alti non serve, perché gli manca non so che registro, sì che le sonate per farvi sopra vorrebbono più presto andar ne’ bassi.
Mi giova di sperare, e anco creder fermamente, che il signor Ambasciatore, quando partirà di Roma, sia per portar a V. S. la nuova della sua spedizione, e anco di condurla qua in sua compagnia. Io non credo di viver tanto ch’io giunga a quell’ora. Piaccia pure al Signore di farci questa grazia, s’è per il meglio.
Con che a V. S. mi raccomando con tutto l’affetto insieme con le solite.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

123.

A Siena

San Matteo, 9 dicembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Il signor Francesco Lupi, cognato della nostra Suor Maria Vincenzia, passando di costì per andarsene a Roma sua patria, si è offerto di portare a V. S. lettere o altro ch’io volessi mandare; onde io, accettando la cortesia, gli mando una scatola dentrovi 13 morselletti, che tanti e non più ne sono riusciti delli 6 cedrati che mi mandò il signor Rinuccini, perché furono piccoli e tutti da una banda magagnati: di bontà credo che saranno eccellenti, ma quanto alla vista potrebbono esser più belli, perché, mediante il tempo tanto umido, mi è bisognato asciugarli al fuoco. Mando anco una rosa di zucchero acciò che V. S. vegga se gli piacessero alcuni fiori di questa sorte per adornare il bacino che faremo in occasione di quelle nozze che V. S. sa, ma fiori più gentili e piccoli assai più di questa.
Ebbi da maestro Agostino la scatola con li 6 biricuocoli, e la ringrazio insieme con quelle che ne hanno partecipato, che sono le solite amiche.
Intendo che in Firenze è voce comune che V. S. sarà qua presto; ma fino a che io non l’intendo da lei medesima, non credo altro se non che gli amici suoi cari dichino quel tanto che l’affetto e il desiderio gli detta. Io intanto godo grandemente sentendo che V. S. abbia così buona ciera, quanto mi disse maestro Agostino che mi affermò non averla mai più veduta colla migliore. Tutto si può riconoscere, dopo l’aiuto di Dio benedetto, da quella dolcissima conversazione ch’ella continuamente gode di quell’illustrissimo Monsignor Arcivescovo, e dal non si strapazzare né disordinare com’ella fa qualche volta quando è in casa sua. Il Signor Iddio sia sempre ringraziato, il quale sia quello che la conservi in Sua grazia.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

124.

A Siena

San Matteo, 10 dicembre 1633

Amatissimo Signor Padre.
Appunto quando mi comparve la nuova della spedizione di V. S. avevo preso in mano la penna per scrivere alla signora Ambasciatrice per raccomandarle questo negozio; li quale vedendo andar in lungo, temevo che non fossi spedito anco quest’anno, sì che l’allegrezza è stata tanto maggiore quanto più inaspettata: né siamo sole a rallegrarci, ma tutte queste monache, per loro grazia, danno segni di vera allegrezza, sì come molte hanno compatito ai miei travagli.
La stiamo aspettando con gran desiderio, e ci rallegriamo in vedere il tempo tanto tranquillo.
Il signor Geri partiva stamani con la Corte, e io a buon’ora l’ho fatto avvisato del quando V. S. torna qua; ché quanto alla spedizione egli la sapeva, e me ne aveva dato parte ier sera.
Gli ho anco detto la causa per la quale V. S. non gli ha scritto, e lamentatami perché egli non potrà ritrovarsi qua all’arrivo di V. S. per compimento delle nostre allegrezze, essendo veramente persona molto compita e di garbo.
Serbo la canovetta della verdea, che il S[igno]r Francesco non poté portare per aver la lettiga troppo carica. V. S. potrà mandarla nella lettiga che sarà di ritorno: i morselletti già gli avevo consegnati. Le botti per il vino bianco sono all’ordine.
Altro non posso dire per carestia di tempo, se non che a lei ci raccomandiamo affettuosamente.

sua figliuola Affezionatissima
S. M. Celeste.

Suor Maria Celeste muore il 2 aprile 1634.

Fonte: B  I  B  L  I  O  T  H  E  C  A    A  U  G  U  S  T  A  N  A


REFERENTI DEL PROGETTO DI ALTERNANZA DEL LICEO SCIENTIFICO GALILEI DI POTENZA PER UN MUSEO VIRTUALE DELLE MASCHERE E DEL TEATRO:
ANTONIO DE LISA, GRAZIA LEOCI, ROCCO DELLE DONNE

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MUSEO VIRTUALE DELLE MASCHERE E DEL TEATRO POPOLARE

MASK VIRTUAL MUSEUM

https://museodellemaschere.org/

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