Illuminotecnica

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Tutto è partito dalla creatività e  dall’intraprendenza di  alcuni  giovani imprenditori italiani. Negli ultimi 15 anni in diversi settori ci sono state evoluzioni di gran rilievo, ma in quello dell’illuminotecnica si è verificata una vera e propria rivoluzione. All’inizio degli anni ’80 il panorama dei produttori di luci importanti nel mondo era molto  ristretto rispetto a  ciò che offre  oggi  qualsiasi fiera  internazionale.  Fra  tali  aziende già  ne  primeggiavano alcune italiane,  che  non  solo  dominavano  il  mercato,  ma  creavano  le  novità  tecniche  ed orientavano  le  tendenze di  un settore  che  conosceva  un costante  evolversi  di  tecnologie, mode ed esigenze.  In quel periodo gli apparecchi più diffusi cominciavano ad  essere comandati da una scheda elettronica dotata di un microfono incorporato che  li azionava a tempo di musica. Questi effetti luminosi, dalle potenti prestazioni  per  il periodo, erano gli antenati dello scanner, che oggi troviamo in  show di  grande, media  e  piccola  dimensione. Nella seconda metà degli anni ’80 si cominciarono ad applicare le infinite potenzialità dell’elettronica digitale al settore dell’illuminazione e nacquero i proiettori intelligenti  o scanner. L’introduzione del segnale seriale digitale DMX512 è una grandissima trovata del periodo e permette, con  un semplice cavo  microfonico  a  3 fili, di inviare le notevoli quantità di istruzioni necessarie ai proiettori per attivare le funzioni di cui erano dotati. Tutte queste novità furono grandiose, ma oggi come allora, resero necessarie abilità e fantasia per poter ricavare da tante opzioni un vero e proprio show luci. Oggi più che mai, con l’attuale sofisticazione degli apparecchi, è importante il know-how per poter sfruttare al meglio tanta tecnologia.

Alimentazione

Col  termine “alimentazione” si intende  l’operazione di fornire corrente elettrica agli apparecchi  utilizzatori.  Uno dei vincoli cui ci si trova di fronte  nell’affrontare  un allestimento è la quantità di potenza disponibile sul luogo, perché da questo dipenderà la quantità di apparecchi utilizzabili e  la luminosità del tutto. Per calcolare la potenza  disponibile  bisogna conoscere le tre unità di misura dell’elettricità: volt, ampere  e  watt.

Definita la corrente elettrica come un flusso di elettroni, o spostamenti di cariche (elettroni, ioni) all’interno di un corpo conduttore, le tre unità si definiscono nel modo seguente: Volt  (V): è  l’unità  di  misura del potenziale elettrico  (cioè del rapporto  tra l’energia  potenziale di una carica in un punto e la carica posta nel punto stesso.  V=U/q). Più che  il valore assoluto è importante conoscere la differenza di potenziale V tra due punti poiché è questa differenza (che si chiama tensione) che fa muovere e viaggiare le cariche elettriche da  un punto all’altro. Ampere (A): è l’unità di misura dell’intensità di corrente (cioè la quantità di carica  elettrica che  fluisce in  un conduttore  nell’unità di  tempo t.  i=q/t).  Affinché l’intensità della corrente rimanga costante è necessario che agli estremi del conduttore sia mantenuta una certa differenza di potenziale, in modo che ci sia un campo elettrico che, agendo  sulle  cariche,  le faccia  scorrere nel conduttore.  A tal fine i due  estremi  sono collegati ad un dispositivo detto generatore di forza elettromotrice che serve a creare e a mantenere costante la differenza di potenziale. Watt (W): è l’unità di misura della potenza dissipata in  un circuito (e  quindi anche  della  potenza disponibile  e  dissipabile  di  un circuito).  Se consideriamo  un circuito alimentato  da  un generatore  di  forza elettromotrici che mantenga ai suoi capi una differenza di potenziale V e sia percorso da una corrente stazionaria di intensità  i, allora la potenza disponibile  sarà:  W=iXV.

Le tre unità sono in relazione secondo una semplice formula che permette di ricavare una misura dalla  conoscenza delle  altre due:

volt=watt/ampWatt=volt  x ampamp=watt/volt

Dal  punto di vista  applicativo  si distinguono la corrente continua  e  quella  alternata,  a seconda che l’intensità e la direzione siano costanti o variabili nel tempo. Quella che si usa comunemente è corrente alternata. La tensione (differenza  di potenziale)  varia da  paese a paese; in Italia è di 220V per le utenze domestiche e 380V per quelle industriali (fra cui i teatri).  La distribuzione  avviene sempre  con  il sistema trifase (380V con  un cavo  per ciascuna fase più uno per il neutro) e solo dai trasformatori finali si hanno derivazioni con il sistema monofase  domestico a  220V. In teatro o negli altri luoghi di spettacolo viene effettuato un allacciamento alla rete trifase di 380 volt. Dalla rete la corrente viene portata al quadro  di  distribuzione del teatro  che  la distribuisce ai singoli dimmer alimentandoli.

Il sistema dei dimmer

Il  dimmer  è  un regolatore  elettronico  di  precisione  per  l’intensità  luminosa.  Il  dimmer utilizza come elemento variabile un semiconduttore, il tiristore o raddrizzatore controllato al silicio, che permette di ottenere una regolazione in base ai segnali che vengono inviati direttamente da una console. Ad ogni scheda dimmer viene collegato un apparecchio illuminante. In pratica queste schede alimentano e  regolano l’intensità della  luce di ogni singolo proiettore o diffusore in base agli ordini  che  ricevono dalla  console. Ogni singola scheda ha una o due prese per la connessione  degli apparecchi  illuminanti  e  contiene  un fusibile di protezione da 10 o più ampere. Il tipo base sostiene e regola apparecchi  fino a 2/3kW di potenza ma ci sono anche schede da 5 e da 10kW. Il segnale che va dalla console     ai dimmer può essere  analogico  o digitale. Il sistema tradizionale è  quello analogico,  col quale viene inviato un segnale elettrico a basso voltaggio (che varia da  0 a  +  10 volt)  a ciascun dimmer attraverso il proprio conduttore individuale. Ciò  significa  che  un armadio di 32 unità deve  essere  collegato alla  console da  32 cavi (che, dato il basso voltaggio che  devono portare, possono essere molto sottili e  raccolti in  un unico grosso cavo). Il nuovo sistema digitale, che  ha  ormai  sostituito  quasi  completamente  l’analogico,  permette di inviare il segnale con un codice binario attraverso un cavo con due o tre conduttori e una schermatura, del tipo usato di solito per i microfoni. Data la complessità e la quantità di informazioni che si possono  comunicare tramite  quel  codice, diventa  possibile controllare con un singolo cavo una  gran quantità di dimmer. Tutte le console sono  costruite  oggi in modo da  emettere  un segnale digitale (o  addirittura prevedono entrambe le possibilità) mentre alcuni dimmer lavorano ancora solo con  il segnale analogico.  Esistono  comunque delle unità (chiamate demux o demultiplex) in grado di  trasformare il segnale digitale che giunge dalla console in analogico. I dimmer digitali presentano dei vantaggi rispetto ai tradizionali analogici.  Danno  in  genere  una  risposta più  veloce e  offrono una  regolazione più stabile e precisa, possono regolare direttamente anche lampade  di basso voltaggio (12  o 24 volt) e regolano meglio (anche se non perfettamente) le lampade a fluorescenza. Il protocollo, o linguaggio,  del segnale più  diffuso  è il DMX512.

Il banco  di controllo

Il banco di controllo (console o mixer luci) è l’unità dalla quale si controllano tutti gli apparecchi  illuminanti  e  quindi lo stato  luminoso della  scena (che è  l’insieme  degli apparecchi accesi contemporaneamente e ad intensità  ben  definite in una  data scena). La console può essere manuale, a memorie computerizzate o avere entrambe le possibilità. Nonostante la console computerizzata sia ormai la norma in qualsiasi teatro, molti piccoli gruppi o compagnie di giro utilizzano ancora quella manuale. I vantaggi di questa sono la maneggevolezza, il basso costo, la semplicità d’uso  e  di impostazione.  Una console manuale  è costituita da due gruppi (o preset A e B) consistenti in una  fila di 12, 24 o più cursori ciascuna. Ogni cursore  numerato regola un dimmer (un  circuito o canale)  e  quindi ogni cursore accende e regola l’intensità di un singolo faro. I preset A e B sono  identici (cioè il cursore n°1 di A controlla lo stesso dimmer del n°1 di B) ma non sono in funzione contemporaneamente. Mentre lo stato  luminoso che  si vede  in scena è  regolato ad  esempio dal gruppo A, il gruppo B è “spento” ed è libero per poter impostare lo stato luminoso successivo. Al momento opportuno un cursore generale (transfert cross fade) permette di incrociare i due  gruppi, cioè di sfumare il gruppo  A e  di inserire contemporaneamente il B.  A quel cursore  ne  è  associato un altro,  il temporizzatore (timer)  che  permette di  impostare un tempo di incrocio; lo stato A e lo stato B si possono infatti incrociare automaticamente ad una  velocità variabile e  regolabile da  un secondo ad  alcuni  minuti. Oltre a  tutto  ciò c’è sempre  un  cursore  master  che  regola  l’intensità  generale,  cioè  lo  stato  luminoso  che vediamo sulla scena nel suo insieme. Nella console computerizzata il numero del circuito del dimmer viene digitato e gli viene assegnata l’intensità di funzionamento indicandola con una percentuale (da 1% a 100%). Una volta composto uno stato luminoso lo si memorizza con il tasto  record assegnando alla  memoria un numero, un tempo di entrata in scena e  uno di uscita. Quando tutti gli stati luminosi sono stati memorizzati si possono  richiamare  in scena uno via l’altro semplicemente premendo il tasto start nei punti dello spettacolo precedentemente decisi. Gli stati luminosi entreranno e usciranno di scena con i tempi loro assegnati. Oltre ad incrociare due stati contemporaneamente è possibile sfumarne uno in un tempo e far entrare il successivo con un tempo diverso. Le possibilità offerte da una console computerizzata sono  molte: un estrema precisione nella  regolazione  dei  singoli  circuiti  e nella creazione degli stati luminosi; la possibilità di entrare e uscire  degli effetti  in tempi diversi e anche a velocità molto lente (impossibile manualmente); la memorizzazione di una grande quantità di stati luminosi complessi e  la possibilità di richiamarli  uno di seguito all’altro  in  tempi  brevissimi;  la  possibilità  di  memorizzare  tutto  il  programma  su  un dischetto estraibile in  modo  da  riprodurlo con  altri apparecchi  compatibili, modificarlo con un semplice personal  computer  o stamparlo; la possibilità di  controllare  accessori come i cambi colori motorizzati, le macchine per il fumo o il movimento dei proiettori motorizzati (usati soprattutto nei musical, nella danza moderna e  nei concerti pop-rock). Oggi molti banchi di controllo uniscono i pregi di entrambe i sistemi; al computer viene infatti    associato un sistema a cursori manuale molto utile durante le prove per impostare e modificare  velocemente dei semplici  stati luminosi.

Gli  apparecchi illuminanti

L’apparecchio illuminante è sostanzialmente un contenitore in lamiera o alluminio  che alloggia al suo interno una fonte di luce (lampada), un riflettore a specchio per recuperare i raggi che questa manda all’indietro, ed un sistema di lenti più o meno sofisticato per il controllo e  la  concentrazione della luce.

Una prima distinzione fra apparecchi è quella tra emettitori di luce “dura” e concentrata (i proiettori) ed emettitori di luce “morbida”, ampia ed uniforme (i diffusori o flood). Al primo gruppo appartengono proiettori con  quattro  sistemi  ottici differenti: i  sagomatori,  o profile spot; i proiettori a  lente  piano-convessa;  i proiettori a  lente  di Fresnel; i par  cans o beamlight. Ogni tipo di apparecchio fornisce una diversa qualità di luce rispetto a  parametri quali l’ampiezza del raggio emesso, la sua intensità, la consistenza dei suoi margini e l’uniformità della luce. All’interno di ciascuna famiglia c’è poi la possibilità di scelta dell’angolazione del raggio emesso e della potenza dell’emissione. Gli apparecchi vengono montati per mezzo di ganci su  barre metalliche (americane) che  vengono  poi sollevate, oppure su stativi (piantane) appoggiati a  terra.  Per ognuno di essi è  possibile un movimento sia orizzontale (pan) che verticale  (tilt)  che  consente di orientare il raggio di luce nella direzione desiderata. Ciascun  apparecchio  infine  ha,  nella  parte anteriore, un alloggiamento per i filtri colorati che vengono  precedentemente  montati in appositi telai. Sagomatori o profile spot Questi apparecchi emettono un fascio di luce dai bordi molto netti e definiti che forma un disegno perfettamente circolare. Per produrre ciò adattano una lente che fa da condensatore (per concentrare la luce) e  una  o due  lenti  piano-convesse aggiuntive (zoom). Gli apparecchi  a  lente  singola  producono un raggio con  apertura fissa  mentre la seconda lente, movendosi indipendentemente dalla prima, permette di variare  l’angolazione  (effetto zoom). In questi ultimi è la messa a fuoco a fissare la misura del raggio e  la nitidezza dei margini. I  modelli più  sofisticati  adottano  anche  una  terza  lente  per  ottenere  un raggio ancora più incisivo e margini ancora più netti. Quasi tutti i modelli hanno un regolatore o “aggiustatore di campo” posto sotto la lampada che permette di avere o il massimo della luminosità al centro (peaky), o una  luminosità diffusa su  tutto  il raggio (flat).

Nella parte centrale dell’apparecchio, fra il condensatore e le altre lenti, si trova un’apertura dove sono inserite  quattro lamelle  sagomatrici indipendenti che servono a  tagliare il raggio di luce su quattro lati. In questa apertura può essere alloggiato un diaframma fatto ad iride  che  serve a  ridurre al minimo l’ampiezza del raggio mantenendo  la forma circolare.

Nell’apertura possono essere inseriti anche dei gobos, mascherine metalliche che una volta tagliate  permettono di  proiettare  le  forme  di  luce  desiderate. In  commercio ne  esistono anche di preformate,  con  disegni  di finestre, alberi, foglie, edifici, ecc.  Il sistema permette di sagomare la luce in ogni modo, così da ottenere delle figure geometriche molto precise e definite; in sostanza  è  l’apparecchio che  permette il massimo controllo del raggio  luminoso.

Proiettori a lente piano-convessa

Sono apparecchi molto più semplici ed economici dei sagomatori.  Producono un fascio  di luce dai margini abbastanza  netti, anche se più morbidi   e sfuocati rispetto ai sagomatori; adattano infatti un’unica lente piano-convessa leggermente zigrinata sul lato piano per addolcire i margini. L’angolo di emissione del raggio di luce è regolabile con un escursione abbastanza estesa da stretto (spot) a largo (flood) spostando la lampada rispettivamente più lontano o vicino alla lente. Alla parte anteriore dell’apparecchio possono essere applicate delle alette paraluce  esterne  per tagliare il raggio, anche  se  ciò avviene in modo molto meno preciso rispetto ai sagomatori. Sono molto usati per la loro praticità  (dimensioni  ridotte, maneggevolezza, facilità  di  montaggio  e  di  regolazione) e  la loro economicità.  Il più diffuso  è  il modello per lampade  da  1000 W  ma si usano  di frequente anche  il 500 W  o il 2000 W .

Proiettori a lente di Frensel Differiscono dal tipo precedente solo per il fatto che  adottano  un tipo di lente particolare che prende il nome dal suo  inventore. E’ una  lente  piano- convesso con il lato piano zigrinato e il lato convesso profondamente inciso, in modo da presentare una serie di gradini circolari. Questi apparecchi producono un fascio di luce dai margini molto morbidi, con un centro luminoso che  sfuma  molto  dolcemente. Grazie a questa caratteristica vengono usati principalmente per creare insiemi di luce per l’area di recitazione o per creare morbidi controluce. Possono anch’essi essere  regolati in posizione spot o flood e  anche ad  essi possono essere  montate delle  alette paraluce.

Par cans/beamlight Introdotti negli anni ’70, hanno avuto un grande impatto sia in teatro che nella danza, nel musical, nei concerti pop-rock. Sono apparecchi molto semplici; l’elemento principale e  originale è  il fatto di adottare una  lampada  PAR  sigillata in un contenitore simile al faro di un’ automobile, con una lente davanti e un riflettore sul lato posteriore. La lampada  è  alloggiata  in  un apparecchio  molto  semplice, senza nessun’altra lente  o apparato di regolazione. Non essendoci una lente non è possibile una messa a fuoco né un dimensionamento del raggio di luce. I margini del fascio di luce emesso sono morbidi e  il centro è  molto  luminoso, denso  e  particolarmente  concentrato. La forma  del raggio è piuttosto ovale, ma questo ovale può essere direzionato a piacere semplicemente ruotando la lampada. L’angolazione di apertura del raggio è  fissa e  dipende dalla  lampada preconfezionata. In commercio ne  esistono con  varie angolazioni prefissate  e  vengono sostituite nello stesso apparecchio a seconda delle esigenze. L’unità più  comune in  teatro  è quella da  1000 W  per il modello par 64, disponibile  con  quattro angolazioni diverse: CP60 (9° x 12°); CP61 (10° x 14°); CP62 (11° x 24°):  CP95 (70° x 70°). I  par sono  apparecchi molto usati (nei concerti pop-rock sono l’unità base) per il loro basso costo, la facilità di trasporto, di montaggio e  regolazione e  soprattutto per la densità della  luce emessa,  ottima per proiettare i colori più scuri e profondi (quindi con filtri che  assorbono molta luce). I beamlight producono una luce molto simile ai par ma adottano una lampada comune e  un riflettore doppio per dirigere la luce. Nella parte anteriore vi è un sistema di lame ad anelli concentrici che impedisce alla luce di allargarsi una volta uscita dall’apparecchio e quindi permette l’emissione di un fascio luminoso dai margini pressoché  paralleli.  I  beamlight possono essere usati in batteria, uno di fianco all’altro, per creare pareti di luce di grande impatto drammatico. Questo uso è stato sviluppato dal designer ceco Josef Svoboda che ha prodotto degli apparecchi che portano il suo nome, formati da due file di beamlight alternati     e  assemblabili a piacere.

Diffusori o flood Sono costituiti semplicemente da una lampada e da un riflettore a specchio retrostante  che  può essere  simmetrico o asimmetrico.  Non  c’è  nessuna  lente  e  quindi l’angolo di emissione non è modificabile. Possono solo essere ruotati orizzontalmente e verticalmente. La luce prodotta è molto morbida e omogenea e si estende su una larga area anche a distanza ravvicinata. Vengono perciò utilizzati, soprattutto in batteria, per l’illuminazione omogenea di fondali, panorami o pareti di grande dimensioni. Il riflettore asimmetrico è particolarmente utile quando  l’illuminazione  dei fondali  deve  essere  fatta dall’alto o dal piano del palcoscenico. Un diffusore molto semplice ed economico è la “Campanella”, o pinza. E’ un porta lampade con  una  campana metallica internamente riflettente che può contenere lampade fino a 500 W . E’ dotata di una pinza che permette di appenderla  ovunque  con estrema facilità.

Le lampade

All’interno di ogni apparecchio si trova una lampada che è la fonte che produce la luce. La potenza della lampada determina la luminosità dell’apparecchio. Per l’illuminazione delle scene si adottano lampade che generano luci nei due  modi possibili  e  cioè per incandescenza e  per scarica nei gas. Le due  famiglie differiscono oltre che  per il modo in cui viene prodotta la luce, per   la temperatura colore, l’intensità e la qualità della luce emessa e per il modo in cui vengono alimentate e  regolate le lampade.  E’ importante  conoscere le temperature colore delle lampade utilizzate. Quando queste vengono miscelate tra di loro bisogna infatti  saper prevedere  un insieme equilibrato  e  quanto più possibile omogeneo.

Lampade a incandescenza (o  al tungsteno  con  alogeno) Sono le lampade  più comuni in teatro. Sono costituite da  un bulbo di vetro contenente  un filamento  di tungsteno  sostenuto ai due estremi e tenuto sottovuoto o in un gas inerte. Quando viene attraversato da corrente elettrica il filamento,  opponendo  una  certa  resistenza,  si surriscalda,  diviene  incandescente ed  emette luce. La quantità di  luce emessa  è  controllabile variando il voltaggio  applicato, ed è  ciò che  avviene nell’uso  teatrale  tramite  i dimmer. Le lampade di questo tipo producono luce con  una  temperatura  colore che  va  dai 2800 K (per quelle  della  classe  T)  ai 3200 K (per quelle della classe CP). Rispetto  alle  lampade  domestiche, che  funzionano allo stesso modo  ma hanno  una  temperatura  colore troppo bassa, quelle  per  uso  teatrale  contengono, oltre al gas di riempimento, un alogeno (di solito iodio) che previene l’oscurarsi del bulbo di vetro dovuto ai vapori emessi dal tungsteno. L’alogeno permette una resa superiore della lampada ad alta potenza, una durata maggiore e il mantenimento di una temperatura colore accettabile (non troppo bassa). I vantaggi di queste lampade consistono nelle  ridotte dimensioni, nell’accensione immediata e nella  possibilità di una  regolazione precisa dell’intensità tramite i comuni dimmer. Gli inconvenienti consistono nel fatto che  la temperatura colore è piuttosto basso rispetto alla luce bianca (soprattutto se  le lampade  non sono  usate al 100% di intensità), nell’elevato  consumo di energia  (solo il 10% viene convertito in luce mentre il 90% si disperde in calore) e  nella  durata di vita relativamente breve rispetto alle  lampade  a scarica.

Lampade a scarica  nei gas  Questa  famiglia  include  lampade  tubolari fluorescenti,  lampade ai vapori di mercurio, lampade al sodio ad alta e bassa pressione, lampade ad alogenuri e le lampade  chiamate HMI  e  MSR. Poche  di queste sono  utilizzate con  regolarità  in teatro mentre altre si usano solo eccezionalmente. Le lampade di questo tipo funzionano grazie al passaggio di corrente elettrica attraverso un gas tra due terminali. L’arco iniziale che  si crea porta gli atomi di gas ad un movimento così ampio e vorticoso da emettere luce. Questo processo si chiama  ionizzazione. Le lampade  di  questo tipo richiedono  una  quantità di energia elevata per causare la ionizzazione iniziale ma, una volta accese, consumano pochissimo e trasformano quasi tutta l’energia  elettrica  assorbita in  luce. Il basso consumo è alla base del loro diffuso utilizzo industriale e  civile (illuminazione di strade,  grandi capannoni, impianti sportivi, ecc.) A favore dell’uso teatrale di queste lampade è il fatto che, rispetto  al  basso  assorbimento  di  energia,  esse  sono  estremamente  luminose  e  potenti; inoltre producono luce con una temperatura colore molto alta, al punto da superare  il limite della  luce “bianca”, e  sono  quindi l’ideale per riprodurre la luce del sole in scena. Il più grosso handicap  consiste  nel  fatto  che  l’accensione  di  queste lampade  richiede  un certo tempo (non è immediata) e che non sono regolabili  con  i convenzionali dimmer analogici teatrali. Queste lampade  possono essere  parzialmente regolate solo tramite  i nuovi e sofisticati dimmer digitali. Questi inconvenienti ne limitano notevolmente l’uso teatrale. Le lampade  più utilizzate sono  quelle  HMI  da  2,5, 4 e  6kW  nei seguipersone, nei fondografi e in proiettori fresnel davanti ai quali viene montata una saracinesca che funziona come una persiana che, attenuando la fuoriuscita della luce, sostituisce in qualche modo la regolazione tramite dimmer. La miscela di alogenuri di terre rare con la quale sono riempite permette di ottenere una temperatura colore di 6000 K, molto vicina a quella della luce diurna. Queste lampade, come tutte quelle  a  scarica, richiedono per il funzionamento un dispositivo  di innesco (accenditore)  e  un alimentatore che  stabilizzi  la  corrente  una  volta entrata  in funzione la  lampada.  L’accenditore  (starter) si trova generalmente  unito al  corpo  del proiettore  mentre  l’alimentatore  (o  ballast)  è  esterno  e  collegato  tramite  un  cavo  al proiettore che adotta queste lampade. Gli apparecchi con lampada a scarica sono molto più utilizzati nel  cinema  o in  televisione  dove  devono  restare  accesi  molto  tempo e  la regolazione è  molto  meno importante.

Lampade a basso voltaggio Le lampade a basso voltaggio sono molto comuni, in particolare per l’uso domestico e  per le insegne luminose. Queste lampade  sono  del tipo ad incandescenza ma funzionano a 12 volt. Ciò significa che non possono essere collegate direttamente alla rete normale (220 volt) ma necessitano di un trasformatore che abbassi il voltaggio.  Sono costituite  da  un filamento  di  tungsteno  estremamente sottile  circondato  da un riflettore dicroico e commercializzate con varie misure predefinite del raggio di emissione della  luce (da 8°  a  60°) e  della  potenza (da 20W  a  75W).  Talvolta  possono essere usate anche in teatro; sono molto efficienti e  luminose, hanno  una  temperatura colore spesso superiore a  quelle  delle  normali incandescenti  e  sono regolabili con i convenzionali dimmer teatrali. Date le dimensioni  molto  ridotte possono essere  inserite  in parti  di scenografia (pareti mobili, praticabili, pavimenti, ecc.) L’apparecchio in cui normalmente si trovano alloggiate è in un mini par can. Come  per normali par  cans, anche  in questo caso se  si desidera cambiare la potenza o il raggio di emissione della luce, basta sostituire la lampada. Anche gli apparecchi conosciuti con  il nome di Svoboda adottano  lampade  a  basso voltaggio. Ne contengono infatti nove da 250 W a 24 volt. Per concludere riassumiamo lo schema di funzionamento di un impianto teatrale  tipo nel suo  insieme:  la corrente elettrica  di alimentazione viene prelevata dalla rete a 380 volt e da  qui portata al quadro di distribuzione nel retropalco e smistato ai vari dimmer. Ai dimmer sono collegati tutti gli apparecchi utilizzatori, generalmente uno per ogni circuito-scheda. I dimmer infine sono controllati dalla  console posta in una  cabina di regia o comunque in una  posizione  dalla quale  sia possibile seguire  lo spettacolo.

Apparecchi motorizzati e  da proiezione

Apparecchi motorizzati Le esigenze dello spettacolo moderno hanno portato lo sviluppo tecnologico  verso la  motorizzazione  degli apparecchi  e  l’automatizzazione  di  diverse funzioni. Le principali innovazione riguardano la motorizzazione dei fari per produrre spettacolari effetti di luce in movimento e il cambio automatico dei colori.  Il movimento dei fari  si può basare su  due  sistemi  diversi. Il primo  è  quello più semplice ed  economico; si tratta di  una  forcella all’interno  della  quale può essere  montato  un comune proiettore  da teatro  (PC, fresnel  o sagomatori).  La forcella è  dotata  di  due  motori interni, controllabili dalla console, che permettono di muovere il proiettore sia sull’asse orizzontale (pan) che su quello verticale.

Quando si intendono proiettare diapositive con immagini fotografate o dipinte è invece necessario ricorrere ad appositi apparecchi  da  proiezione. Ne esistono molti modelli;  si va dal piccolo Kodak Carousel per diapositive comuni da 35 mm con una lampada da 250 W,   al più potente PANI che adotta una lampada a scarica HMI da 4000 W per diapositive di 18 x 18 cm. A parte il piccolo Carousel, i proiettori hanno una serie di ottiche (obiettivi) intercambiabili  allo scopo  di  proiettare  immagini  più  o meno  ingrandite  così  da  adattarsi alla  distanza  cui vengono  posti  rispetto allo schermo.  Le proiezioni rendono  al meglio  se fatte sugli appositi schermi, disposti di solito come fondale. Gli schermi possono essere  bianchi,  neri o in varie tonalità di grigio, ed  esistono nella  versione  per proiezioni frontali  e in quella  per  retroproiezione. L’impiego  delle  proiezioni negli spettacoli  teatrali  presenta alcuni problemi ed  è  un’operazione  tecnicamente  piuttosto  delicata. La retroproiezione è quella che dà il risultato migliore quanto a luminosità e definizione ma può essere fatta solo    in pochi casi; è raro infatti che dietro la scenografia ci sia lo spazio sufficiente per mettere il proiettore ad una distanza che consenta di proiettare immagini di grandi dimensioni (anche adottando un obiettivo grandangolare). Nella maggior parte dei  casi si deve  quindi ricorrere alla proiezione frontale che presenta però un altro problema. Se dietro la scena è  possibile mettere il proiettore al centro dello schermo e in  asse con  esso (perpendicolarmente), non si può fare altrettanto davanti, ponendo un apparecchio nel bel mezzo della scena. Il proiettore deve  necessariamente essere  posizionato in  alto e  puntato verso  il basso  oppure  di  lato (dietro  le  quinte o dietro  l’arco di  proscenio)  e  puntato verso il centro. In  ogni  caso  il risultato sarà quello di avere una distorsione dell’immagine. La correzione di questa aberrazione deve essere  fatta quando  si fotografa l’oggetto  da  proiettare,  ricorrendo a complessi calcoli geometrici oppure fotografando l’oggetto esattamente dallo stesso punto di vista da cui verrà riprodotto. Un altro aspetto da curare è il bilanciamento del rapporto fra lo schermo  e  l’area di  recitazione.  Se l’area di  recitazione  è  molto  luminosa l’immagine proiettata risulterà sbiadita e poco presente, ma l’immagine non può neanche essere predominante al punto da rendere difficoltosa la visione degli attori. Bisogna inoltre fare attenzione che  la luce dell’area  di  recitazione  non vada  mai a  toccare  direttamente lo schermo. Anche la luce riflessa danneggia lo schermo, ma questo inconveniente può essere ridotto studiando le posizioni e i puntamenti dei fari; al posto della luce frontale, che viene riflessa dal pavimento sullo schermo, si può adottare, ad  esempio, la luce di taglio (laterale) che  viene riflessa  sul lato opposto senza toccare  lo  schermo.  Anche il colore di  quest’ultimo è determinante. Uno schermo bianco darà l’immagine un po’ più luminoso ma sarà sensibilissimo  ad  ogni  piccolo  riflesso  e  sarà  un elemento  della  scena  sempre  molto presente; viceversa uno schermo nero sarà un po’ meno luminoso ma anche molto meno sensibile ai riflessi e,  una  volta spenta la proiezione, diventerà  praticamente inesistente.

Fonte  Stefano Mazzanti

Effetti Luce

Scelte  ed  utilizzo: le analisi, le osservazioni ed  i suggerimenti degli esperti

Siamo spesso a contatto con le problematiche, in particolare riguardanti l’impianti luci, di chi produce un light show e si è  trovato davanti  a  scelte o a  decisioni da  prendere che  sono sempre diversi e mai semplici. Non pretendiamo, con questo, di suggerire la soluzione di qualsiasi  problema,  ma  pensiamo  di  potervi  consigliare  come  comportarvi  in  certe situazioni. Ci auguriamo che per gli allestimenti vi siate avvalsi dell’esperienza e della professionalità certificata (più che mai necessaria oggi) di uno o più installatori. Per la scelta degli effetti  di  illuminazione e  per  la loro installazione abbiamo  tracciato  una  semplice tabella di comportamento che vi aiuterà ad investire in modo più oculato e mirato alle reali esigenze.

La scelta ed il posizionamento dei proiettori è di fondamentale importanza per  valorizzare l’allestimento.

Scegliere i proiettori e le centraline di comando con l’ausilio di un installatore professionale e richiedere sempre diversi preventivi, non dimenticando che:

l’Italia è il primo fabbricante al mondo di questi prodotti; esistono  sul mercato tantissime alternative di  buona  qualità; i prodotti acquistati  possano essere  utilizzati e  sfruttati al meglio.

Richiedere  l’intervento  dei tecnici delle  case produttrici se  l’installatore non è in grado di soddisfare le richieste  di programmazione  del vostro datore luci.

Una volta che tutto sarà installato e funzionante, occorrerà provvedere spesso alla manutenzione dei  proiettori,  i  cui  peggiori  nemici  sono  la  polvere ed  il fumo che  spesso sono nell’ambiente. La polvere ed il resto devono essere  periodicamente rimossi  dall’interno dei proiettori, onde  evitare guai seri  alle  componenti elettroniche o elettromeccaniche.

Bisogna però rispettare alcune  regole:

accertarsi che  gli apparecchi siano spenti;

non eseguire operazioni delicate in condizioni precarie di lavoro;

non usare mai prodotti  chimici non idonei;

leggere sempre attentamente i manuali di istruzione prima di intervenire.

Un altro aspetto da non sottovalutare è l’eccessiva temperatura che talora si determina nell’ambiente in cui operano gli effetti luce. In  proposito,  mai installare un apparecchio  in spazi angusti  e  poco  arieggiati.  Se il proiettore  utilizza  lampade  a  scarica  molto  potenti come le 575 o le 1200W, controllare periodicamente il funzionamento delle ventole di raffreddamento, al fine di evitare shock termici alle  componenti e  di ridurre in modo  notevole la vita delle lampade. In base alle norme CEE vigenti, tutti i proiettori dovrebbero essere equipaggiati con sensori termici in grado di interrompere il funzionamento in caso di surriscaldamento. Per evitare grossi problemi di sicurezza, esigete sempre il rispetto di tale norme.

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PLDA, AIDI, APIL, PLASA, IES, ACCADEMIA DELLA LUCE, ALD, ILDA, AILD

Bibliografia

  • Mario Bonomo, Guida alla progettazione dell’illuminazione stradale e urbana, Mancosu Editore, Roma, (2006).
  • Pietro Palladino, Manuale di Illuminazione, Tecniche Nuove, Milano: (2005).
  • Mario Bonomo, Teoria e tecnica dell’illuminazione d’interni, Maggioli Editore, Milano: (2009).
  • Gianni Forcolini, Illuminazione LED, Hoepli, Milano: (2008).
  • Donatella Ravizza, Progettare con la luce”, FrancoAngeli Editore, Milano:(2001).
  • Donatella Ravizza, Architetture in luce”, FrancoAngeli Editore, Milano:(2006).
  • Stefano Mazzanti, Luce in scena, Lo scarabeo, Bologna: (1998).
  • Cristina Grazioli, Luce e ombra. Storia, teoria e pratiche dell’illuminazione teatrale, Laterza, Roma-Bari, 2008.
  • Marco Piscopo e Lorenzo Quercioli, L’Illuminotecnica: libro da colorare in CMYK, Lafregna, Bari-Sesto Fiorentino, 2012.
  • Fabrizio Crisafulli,Luce attiva. Questioni della luce nel teatro contemporaneo ,Titivillus, Corazzano 2007;
  • Marco Frascarolo (a cura di), Manuale di progettazione illuminotecnica, Mancosu, Roma 2011


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